lunedì 31 maggio 2010

Intervista agli Isteresi

L'isteresi, leggo sul mio dizionario, è il ritardo dell’effetto in seguito a variazione della causa. Usata in fisica, per descrivere il comportamento di alcuni materiali magnetici e ferromagnetici, e nell'elasticità, può essere utilizzata anche per descrivere fenomeni biologici ed economici. Anche politici, a pensarci bene. Isteresi è pure il nome del progetto musicale presente questa sera sul blog, il gruppo in divenire fondato da Alessandro Rocchetti. Alessandro, dopo la separazione dai Dilemma nel lontano 2001, è diventato autonomo autore delle sue musiche e dei testi, curati assieme agli arrangiamenti e alla produzione per la sua recente uscita, Transizioni.
Transizioni è un cd fatto quasi tutto da solo, cantato in italiano e realizzato con la collaborazione di Stefano Parodi (chitarre, voce in un pezzo), Stefano Marchetti (voce e cori). Transizioni colpisce per certi testi immediati e diretti, da rabbia giovane direi, e per un approccio non convenzionale alle musiche. I singoli pezzi sono stati composti partendo dalla linee di basso e parlano dei cambiamenti che avvengono ogni giorno … ma non voglio dire troppo. Lascio la parola, anzi, la scrittura ad Alessandro. Lo vedo pronto con le cuffie nello studio di registrazione…
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sabato 29 maggio 2010

Ciao Dennis

Gioventù bruciata, Il gigante, Easy Rider, Apoclaypse Now, L’amico americano, Velluto blu, basterebbero questi film per entrare nella Storia del Cinema, almeno la mia personale, e poi Colors, Nick mano fredda, Rusty il selvaggio, American Way – I folli dell’etere, La vedova nera, The Hot Spot, Basquiat, Blackout, Palermo Shooting …sono solo altri suoi titoli che mi vengono in mente di questo estremista della celluloide. Radical da giovane, era finito, dopo gli eccessi dei sixty, dalla parte dei repubblicani, tipico esempio del riflusso. Ecco il comunista, diceva John Wayne quando lo vedeva arrivare sul set de Il grinta. Si sarebbe sorpreso di vederlo tra i sostenitori di Bush, salvo una retromarcia nel finale, simpatizzante di Obama.
Il mio primo suo ricordo è la sua presenza, negli anni ‘80, come ospite ad una puntata del Fuori Orario di Ghezzi e Giusti delle origini. Raccontava del suo ritorno ad Hollywood, dopo un periodo di disintossicazione. Diceva di aver ritrovato quasi tutti i suoi vecchi amici integrati nel sistema che poco prima contestavano e al quale poco dopo pure lui si sarebbe accodato. Nonostante queste giravolte da politica italica, Dennis Hopper mi è sempre stato simpatico per la sua fedeltà al Cinema ed oggi ne piango la scomparsa. Non sono lacrime di coccodrillo, io sono un alligatore.

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mercoledì 26 maggio 2010

Intervista a Dino Fumaretto

L’intervista di questa sera è con Dino Fumaretto, ma potrebbe intervenire a suo nome Elia Billoni, visto che il surreale cantautore mantovano ha nominato Elia quale suo unico e fedele interprete almeno dal 2005. Oppure interverranno entrambi, o solo Dino Fumaretto…confusione. E chi è il musicante ritratto nella foto? Dino o Elia? O Nanni Moretti da giovane?... o Elio Germano? Partire con delle domande nella presentazione vuol dire fare la presentazione nelle domande? Non sarà facile, me la sento.
Di sicuro è che La vita è breve e spesso rimane sotto è firmato da Dino Fumaretto (anche se, leggo nel libretto interno, voce, pianoforte, tastiere e armonica a bocca sono di Elia Billoni), la label è La Famosa Etichetta Trovarobato e il disco, uscito da pochi mesi è stato registrato da Andrea Rovacchi al Bunker Studio di Rubiera (dove è passato Enrico Gabrielli che ha prestato per un intero pomeriggio le sue orecchie). Insomma, come si capisce, a dominare è il surreale, come nelle canzoni di Dino/Elia… Jekyll/Hyde? Bruneri/Canella? Siamo ancora nel Novecento? Aiuto, ci siete? Uno, due, tre …
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lunedì 24 maggio 2010

Rising Appalachia, un’apparizione ad Esposta

I migliori concerti sono quelli visti per caso, senza programmazione, trascinati da una forza interiore misteriosa, direi zen. Prendete l’altra sera, ero andato a vedere un reading di Capossela (del quale forse scriverò in un altro post) e poi, gironzolando con l’amico di Parma in libera uscita, sono finito nei locali dell’Associazione Culturale Esposta, uno dei pochi luoghi di cultura viva della mia città.
Sapevo di un concerto di Mattia Coletti, giovane musicante underground della scena radical più sperimentale e coraggiosa (in questo la sua esibizione non ha deluso le aspettative), ma non sapevo delle Rising Appalachia, altre ospiti di Esposta della notte.
Ospiti a sorpresa, arrivate lo stesso giorno per qualche concerto in giro, senza una vera e propria programmazione (se le vedete nella vostra città non perdetevele), si sono rivelate una novità piacevole, un’apparizione mistica e sensuale.
Due sorelle colte e stravaganti come le Cocorosie, ma, sulla lunga distanza, meglio. Due belle voci intense, personalità e colore, banjo e violino, che volentieri si scambiano e un ragazzo dietro a loro seduto su di una scatola, che è pure il suo strumento a percussione (l’altro è la bocca, a dettare il ritmo grazie a dei giochi con il microfono). Tutto questo per creare immagini di un America folk e primitiva, tra fiumi e montagne. È l’America del mito e del miscuglio culturale, quella positiva e pacifista. Quella che piace a me.
Segnatevi il loro nome: Rising Appalachia, le sorelle Leah e Chloe Smith, dalla Lousiana. Tatuaggi e braccialetti, abbigliamento tra l’orientale e il cinema exploitation, un sogno sentirle a due passi da me nell’intima e buia cornice dell’Esposta. Del ragazzo, componente aggiunto, non conosco il nome. Una versione moderna di James Dean. Al bar ci siamo fatti qualche birra insieme, alla faccia dei limiti alcolici (negli States, dicono, molto ma molto più severi dei nostri; incredibile e assurdo, come si fa?).
PER ASCOLTARE
MATTIA COLETTI http://www.myspace.com/zenomattia
RISING APPALACCHIA http://www.myspace.com/risingappalachia
ESPOSTA: http://www.myspace.com/esposta,

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venerdì 21 maggio 2010

Intervista a The Child of a Creek

The Child of a Creek non è una band, non è un progetto, non è il titolo di un film con gli indiani, The Child of a Creek è un uomo solo al comando. Ovviamente mi riferisco alla musica, questa sera il ciclismo non c’entra e manco la politica.
The Child of a Creek è un uomo in giro per le montagne, tra la neve e il silenzio. Scatta foto e fissa su carta le sue emozioni. Le lascia decantare e poi si chiude nella sua taverna con una chitarra acustica 12 corde, chitarre acustiche di vario tipo e genere, chitarre elettriche, un vecchio zither tedesco degli anni ’70, un flauto, un piano elettrico, una piccola balalaika russa, sintetizzatori e percussioni, cibarie varie e del buon Chianti.
The Child of a Creek esce solo quando ha finito, ha capelli e barba lunghi e un cd di rara bellezza, Find A Shelter Along the Path, dato alle stampe per la Red Birds Rec/Seahorse, la stessa particolare label dei Clerville, su questi schermi martedì.
The Child of a Creek fa musica densa e stratificata, tipica di uno abituato a camminare in mezzo alla neve. Può ricordare certe belle stranezze alla Devendra Banhart o alla Jethro Tull, ma è l’ennesimo toscano (non ricevo finanziamenti dalla Regione Toscana, lo giuro) ad approdare sul blog. Dalla provincia di Livorno.
The Child of a Creek, pronto?
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giovedì 20 maggio 2010

Alligatore in bici

Quest’anno con la bici non riesco a trovare la pedalata giusta. Ho fatto solo qualche giretto (il primo ufficiale ieri), ma il clima non mi soddisfa ancora. Non c’è il caldo da alligatori. Infatti lungo la strada ho trovato lucertole, tre ramarri, un serpente schiacciato, il lago alto e corsi d’acqua gonfi.
E pure il Giro d’Italia ho seguito pochissimo: solo un arrivo di tappa e un dopogiro o come si chiama: sapete quando le miss baciano il vincitore (a proposito, che cosa retrò, l’unica che resiste assieme al chinotto; però mi piacerebbe un sacco essere il ciclista sul podio). Per fortuna c’è Carla … cioè Guido Foddis, che sta seguendo il Giro d’Italia con la sua ironia sulle miserie del presente. È l’inviato al Giro d’Italia in bolletta. Vi invito a seguire le sue divertenti pagine facebook: Guido Foddis al Giro d'Italia in bolletta e La Repubblica delle Biciclette.
La Repubblica delle Biciclette è uno spettacolo musicale con brani dedicati alla due ruote, musicanti con le maglie storiche del Giro (rosa, verde, ciclamino …) e l’idea di rilanciare la bici come alternativa possibile. Chi poteva avere una così geniale idea, se non Guidone Foddis? Lo spettacolo sarà presentato domani, venerdì 21 maggio alle 21,30 in Piazza Municipale a Ferrara, in occasione dell’arrivo del Giro nella città estense. Io intervisterò sul blog un musicante di Livorno, ma chi può andare, vada, vada …
ALTRE INFO QUI http://www.repubblicabiciclette.it/

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martedì 18 maggio 2010

Intervista ai Clerville

Per molti Clerville è la città fantastica di Diabolk, ma da questa sera potrebbe diventare anche il nome del proprio gruppo preferito. Me lo auguro, perché la musica del terzetto di Catania merita di essere diffusa e ascoltata il più possibile. Post-rock? Alternative? Punk? Sono solo etichette, i Clerville fanno dei pezzi quasi esclusivamente strumentali da gioventù sonica. Molto intriganti, ti entrano dentro misteriosamente e non ti lasciano più. Manco l’esorcista, manco l’esorciccio …
Da un po’ di tempo ascolto il loro recente Killing Polar Bears, seconda loro uscita data alle stampe per l’indipendente Red Birds Rec/Seahorse Recordings e mi prende sempre di più. Giro per la cameretta muovendo ritmicamente la coda come quando la musica mi piace. Ogni volta che lo faccio partire ho la sensazione di tuffarmi nell’acqua. Musica liquida? Forse è la definizione più adatta a descriverla. Chitarre stordenti, elettronica al servizio dell’uomo, rock d’avanguardia, forse un omaggio indiretto al grande Sanguineti che oggi ci ha lasciati … ma sto cominciando a sbrodolare.
Meglio sentire se i Clerville sono pronti. Ci siete?
VAI AL LORO MYSPACE http://www.myspace.com/clerville

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sabato 15 maggio 2010

Massimo Bubola intervista-email

Nella mia città vive Massimo Bubola, un nome storico del cantautorato italico, tra il folk e il rock, tra la poesia e il cinema, tra l’Irlanda e la pianura padana, tra i miti dell’America latina e quelli degli States, tra De Andrè, con il quale ha scritto alcune delle sue migliori canzoni lungo 13 anni di sodalizio e Garibaldi in camicia rossa e avventure sudamericane. Tutte cose che mi rendono fiero, almeno per una volta, di essere veronese (le altre due sono il Chievo e il vino Valpolicella).
È da poco uscito Live in Castiglione, film di un concerto in quel di Castiglione delle Stiviere, dove con la sua Eccher Band al gran completo ha dato vita a momenti di vero rock nostro con pezzi immortali come Fiume Sand Creek, Marabel, Camicie rosse, Il cielo d’Irlanda …per due ore e passa di musica. Per chi vuole rivivere quella grande emozione c’è un’altra occasione speciale. Sarà giovedì 20 maggio al teatro CIAK di Milano dove presenterà il dvd.

Tra una cosa e l’altra Massimo ha trovato il tempo di rispondere a delle mie domande per un’intervista, che metterò presto online completa. Qui un’anticipazione.
ALLIGATOREUn dvd molto rock come questo, un cd con la Barnetti Bros Band molto folk, la riscoperta del liscio con il cd Romagna Nostra … che relazioni ci sono tra questi progetti usciti in un arco di tempo molto ristretto?
BUBOLA
Credo che le mie esperienze di scrittore di canzoni e di produttore di album mi abbiamo dato una visione d'insieme. Come fare l'attore, il regista e lo sceneggiatore contemporaneamente. Ho spesso collaborato con artisti molto diversi tra loro come De Andrè, i Gang o Fiorella Mannoia. Quindi ho una visione dei progetti sia dal punto di vista musicale che poetico.
Credo che in Italia molto lavoro su folk non sia stato fatto negli anno passati e questo sia un grave handicap per tutti. Molti ragazzi che vogliono scrivere canzoni hanno scarsi riferimenti, poiché la gran parte del songwriting nel mondo è legata alla conoscenza del folk e alla rielaborazione di tante vecchie belle canzoni. Basti pensare a Dylan o Nick Cave o Leonard Cohen e al loro profondo legame con le folk -ballads.
Essendo nato in ambiente contadino ho sempre subito il fascino della musica da ballo essendo di fondo ritualistica e durante i miei primi soggiorni irlandesi a metà degli anni Settanta, ho ascoltato e visto ballare su pura poesia. Quindi si possono scrivere canzoni incantevoli non solo per l'ascolto ma ballarle. Come diceva il poeta americano Edward Cummings " Non solo l'auto che mi hai regalato è bella, ma mi porta in giro veloce".
PER ALTRE INFO SULCONCERTO QUI http://www.teatrociak.it/
SUL SITO DI SMEMORANDA LEGGI Intervista a Massimo Bubola

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martedì 11 maggio 2010

Intervista ai Velvet Score

Ritorna un gruppo della città di Firenze sul blog, ritornano i Velvet Score a fare musica, ritorna la Black Candy a produrre dopo un breve periodo di inattività. Tutte cose che mi fanno piacere, perché ho sempre trovato vicini al mio gusto i cd di questa label indipendente (oggi ha pure aperto un negozio di dischi per veri appassionati), perché i Velvet Score hanno fatto un oggettino di culto curato nei minimi dettagli (Goodnight Good Lovers, copertina rossa con un occhio impressionante), perché Firenze è un serbatoio inesauribile per la nostra musica più viva.
Punto forte dei gruppi toscani, come ho notato spesso, è la cooperazione e la profonda amicizia tra le tante ottime band della zona. Prendete i Velvet Score ad esempio: alcuni di loro collaborano con il progetto Canemorto (passato di recente su questi schermi), hanno suonato in altri gruppi (ad esempio i May I Refuse), ospitano nel loro recente cd la voce di Serena Altavilla dei Baby Blue (passati sul blog circa un anno fa). Forse più di un ospite, vista l’intensità della sua interpretazione in alcuni pezzi di questo concept-album sulla guerra. Sì, un disco con canzoni dedicate alla guerra, da Waterloo ai bunker antiatomici, senza voler dare giudizi morali, ma raccontando delle storie…
Come farlo? Già il fatto di “raccontare” la guerra è un prendere posizione. Almeno per me. Sentiamo i Velvet Score. Pronti?
VAI AL LORO MYSPACE http://www.myspace.com/velvetscore

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venerdì 7 maggio 2010

CINEMA: Cosa voglio di più

Ho trovato utile e necessario Cosa voglio di più. In questa Italia dominata dal gossip e da una crisi economico-politica-culturale senza precedenti, Soldini prende due borghesi piccoli piccoli (si sarebbe detto negli anni Settanta), che in realtà sono ormai dei proletari, e racconta la loro storia di sesso e fuga dagli obblighi matrimoniali senza moralismo e inibizioni. Ad accompagnarlo splendidi interpreti, a partire da Favino e dalla Rohrwacher, attrice del nostro cinema più colto, per la prima volta sexy e carnale.
Ho detto raccontare, ma ho usato un termine sbagliato per Soldini: i suoi film sembrano pezzi di vita che ci sono prima dell’inizio della narrazione e continuano dopo (fateci caso), ma non per questo sono dei documentari. Non è un entomologo che osserva la vita dell’impiegata annoiata, del marito pacioccone (Giuseppe Battiston il nostro Orson Welles) la cui massima trasgressione è leggere la biografia di Jim Morrison sognando un viaggio a Parigi sulla sua tomba, dell’amante di lei, cameriere tuttofare per tirare avanti la famigliola con moglie e due bambini. Soldini molto semplicemente piazza la cinepresa nella sua Milano per riprendere le cose mentre avvengono, come un Truffaut con la sua camera-stilo.
A differenza di Truffaut e di tantissimi bravi registi italici, gira però, con scioltezza e perfezione, scene di sesso senza timidezza, ma con il giusto rigore e la perfetta geometria. Dai baci dietro al portone, al primo rapporto interrotto nell’ufficio di lei, al motel con tanti specchi (viene in mente il bagno di Palazzo Grazioli), alla fuga in un paese esotico, non c’è un centimetro di carne in più e manco uno in meno. Metafora della nudità della classe media senza più nulla? Sarebbe troppo facile. È la storia che aveva davanti in quel momento, molto semplice. Altro merito del regista milanese, e non da questo film, è il raccontare il mondo femminile come quasi nessuno mai (forse Truffaut). Non solo la protagonista, ma anche le altre donne della pellicola sono il vero motore di tutto. Mentre gli uomini sono passivi, giocano di rimessa, fanno gli spettatori, sono le donne a prendere l’iniziativa. Sono loro che vogliono di più. Non è quindi una domanda “Voglio di più?”, ma un’affermazione… di libertà, di ricerca della felicità proprio oggi, con la crisi e tutte le balle che ci girano attorno: vogliamo il pane e le rose e i tulipani. Da qui nasce lo scontro, da qui può nascere una nuova narrazione.Parlando sul blog con alcuni musicanti, dicevo che le loro canzoni mi ricordavano il cinema di Mazzacurati e di Soldini. Devo dire di aver trovato conferma di questo guardando Cosa voglio di più. Non solo per il brano di Battisti all’origine del titolo, ma perché ogni pezzo di film potrebbe ispirare una canzone di una giovane band: i trentenni di oggi, la fuga, una vita noiosa da cambiare, lui e lei contro tutto/tutti, il sesso, un viaggio lontano, il lavoro che non c’è, il lavoro pagato poco. Pure la colonna sonora richiama certo pop-rock intimista di casa nostra. Del resto una canzone registra le cose mentre avvengono, che poi continuano anche quando è finita … come un film di Soldini.
In analisi finale, ho trovato il film anche molto politico, senza la pesantezza del cosiddetto film-impegnato. Come detto prima, piazzando la cinepresa in un punto della città si possono mostrare cose senza voler dimostrare nulla, ma alla fin fine facendolo. Mi spiego: mostrare dei personaggi che tradiscono nonostante la crisi economica, e sono costretti a fare delle acrobazie economiche (non solo fisiche) per farlo, è, oggi, intrinsecamente politico; nel Palazzo del potere, almeno quello filtrato dal gossip dell’ultimo anno, fanno di tutto e di più senza badare a spese. Altra scena emblematica è quella del marito cacciato dalla moglie, costretto a vivere in auto (tragica realtà per molti, non per tutti, sottolineo, non per tutti). Da vedere assolutamente, come il Draquila in uscita oggi (l’altra faccia della stessa medaglia?).
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martedì 4 maggio 2010

Intervista ai Drunken Butterfly

Questa sera nella palude arriva un gruppo fuori dallo spazio e dal tempo come i Drunken Butterfly. Un gruppo di quelli che amano sperimentare, far confluire suoni ed esperienze diverse, incrociare le arti, quasi fossimo ancora negli anni Settanta. Prendete ad esempio la loro recente opera (non riesco a chiamarlo semplicemente cd), L’ultima risata, quarta prova in quasi dieci anni di vita, uscita presso Irma Records.
L’ultima risata, potrei dire banalmente, è la sonorizzazione dell’omonimo film muto di F.W. Murnau, progetto nato sulla spinta dell'Arci di Macerata per la rassegna MutoMaggio, proseguita come spettacolo dal vivo in tour, ora trasformatosi in disco. Un disco autonomo e godibile anche senza la visione del modernissimo film tedesco del1924 (si usò la cinepresa su di un carrello in modo nuovo, leggo sul mio vecchio Sadoul), che con tredici tracce di rock piacevolmente elettronico rilassa, inquieta, fa sognare.
Ascolto dopo ascolto, mi sono venuti in mente i Radiohead. Ma questi paragoni, come sempre, sono solo masturbazioni mentali da critico. Allora lascio la parola ai Drunken Butterfly in diretta da Bologna. Già, altri non bolognesi nella grassa, nella dotta … per fare arte. Pronti?
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sabato 1 maggio 2010

Blues for the Working Class


49 persone
49 persone ai cancelli di una fabbrica/49 persone contro la polizia antisommossa/49 persone e manganelli contro i loro diritti/49 persone e la fame nei loro occhi/49 persone/che cercano di slegare il cappio/49 persone/senza più niente da perdere/49 persone/come me e te/49 persone/come me e te/49 persone e 14 mesi/un lucchetto e un telegramma non possono essere abbastanza/49 persone e 14 mesi di lavoro/un lavoro senza stipendio, lavorando per salvare il loro posto di lavoro/49 persone/che cercano di slegare il cappio/49 persone/senza più niente da perdere/49 persone/come me e te/49 persone/come me e te/49 persone, e 4 di loro su un carroponte/8 giorni di privazioni senza impazzire/8 giorni di una guerra bianca, senza cadaveri/speculatori mandati a casa, una battaglia di cui essere fieri/49 persone/che mostrano come si fa/a ottenere ciò che ci spetta/e a rinascere49 persone/che hanno bruciato la corda del cappio/49 persone/senza più niente da perdere/49 persone/come me e te/49 persone/come me e te
Traduzione di 49 people, il pezzo che il giovane bluesman Daniele Tenca ha dedicato alla splendida vittoria degli operai della INNSE (vedi foto). Nel suo recente cd, Blues for the Working Class, tratta in maniera politico-poetica il dramma del lavoro e del non lavoro. Un opera attualissima, un gioiellino che riporta il blues dove deve stare, cioè tra le persone, con i loro drammi, le paure, le passioni e un sistema oppressivo da battere.
Per saperne di più leggi la mia Intervista a Daniele Tenca sul sito di SMEMORANDA con tanto di link per ascoltarlo… buon PRIMO MAGGIO.

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