Ho trovato utile e necessario
Cosa voglio di più. In questa Italia dominata dal gossip e da una crisi economico-politica-culturale senza precedenti,
Soldini prende due borghesi piccoli piccoli (si sarebbe detto negli anni Settanta), che in realtà sono ormai dei proletari, e racconta la loro storia di sesso e fuga dagli obblighi matrimoniali senza moralismo e inibizioni. Ad accompagnarlo splendidi interpreti, a partire da
Favino e dalla
Rohrwacher, attrice del nostro cinema più colto, per la prima volta sexy e carnale.
Ho detto raccontare, ma ho usato un termine sbagliato per
Soldini: i suoi film sembrano pezzi di vita che ci sono prima dell’inizio della narrazione e continuano dopo (fateci caso), ma non per questo sono dei documentari. Non è un entomologo che osserva la vita dell’impiegata annoiata, del marito pacioccone (
Giuseppe Battiston il nostro
Orson Welles) la cui massima trasgressione è leggere la biografia di
Jim Morrison sognando un viaggio a Parigi sulla sua tomba, dell’amante di lei, cameriere tuttofare per tirare avanti la famigliola con moglie e due bambini. Soldini molto semplicemente piazza la cinepresa nella sua Milano per riprendere le cose mentre avvengono, come un
Truffaut con la sua camera-stilo.
A differenza di
Truffaut e di tantissimi bravi registi italici, gira però, con scioltezza e perfezione, scene di sesso senza timidezza, ma con il giusto rigore e la perfetta geometria. Dai baci dietro al portone, al primo rapporto interrotto nell’ufficio di lei, al motel con tanti specchi (viene in mente il bagno di Palazzo Grazioli), alla fuga in un paese esotico, non c’è un centimetro di carne in più e manco uno in meno. Metafora della nudità della classe media senza più nulla? Sarebbe troppo facile. È la storia che aveva davanti in quel momento, molto semplice.
Altro merito del regista milanese, e non da questo film, è il raccontare il mondo femminile come quasi nessuno mai (forse
Truffaut). Non solo la protagonista, ma anche le altre donne della pellicola sono il vero motore di tutto. Mentre gli uomini sono passivi, giocano di rimessa, fanno gli spettatori, sono le donne a prendere l’iniziativa. Sono loro che vogliono di più. Non è quindi una domanda “Voglio di più?”, ma un’affermazione… di libertà, di ricerca della felicità proprio oggi, con la crisi e tutte le balle che ci girano attorno: vogliamo il pane e le rose e i tulipani. Da qui nasce lo scontro, da qui può nascere una nuova narrazione.
Parlando sul blog con alcuni musicanti, dicevo che le loro canzoni mi ricordavano il cinema di
Mazzacurati e di
Soldini. Devo dire di aver trovato conferma di questo guardando
Cosa voglio di più. Non solo per il brano di
Battisti all’origine del titolo, ma perché ogni pezzo di film potrebbe ispirare una canzone di una giovane band: i trentenni di oggi, la fuga, una vita noiosa da cambiare, lui e lei contro tutto/tutti, il sesso, un viaggio lontano, il lavoro che non c’è, il lavoro pagato poco. Pure la colonna sonora richiama certo pop-rock intimista di casa nostra. Del resto una canzone registra le cose mentre avvengono, che poi continuano anche quando è finita … come un film di
Soldini.
In analisi finale, ho trovato il film anche molto politico, senza la pesantezza del cosiddetto film-impegnato. Come detto prima, piazzando la cinepresa in un punto della città si possono mostrare cose senza voler dimostrare nulla, ma alla fin fine facendolo. Mi spiego: mostrare dei personaggi che tradiscono nonostante la crisi economica, e sono costretti a fare delle acrobazie economiche (non solo fisiche) per farlo, è, oggi, intrinsecamente politico; nel Palazzo del potere, almeno quello filtrato dal gossip dell’ultimo anno, fanno di tutto e di più senza badare a spese. Altra scena emblematica è quella del marito cacciato dalla moglie, costretto a vivere in auto (tragica realtà per molti, non per tutti, sottolineo, non per tutti). Da vedere assolutamente, come il
Draquila in uscita oggi (l’altra faccia della stessa medaglia?).
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