Se avete voglia di canzoni andate al cinema lasciate perdere la tv. In questi primi mesi dell’anno ho visto due film “ispirati” da una canzone meritevoli di una visione.
La prima cosa bella di
Virzì, per esempio, pellicola adatta a saziare il vostro appetito nazionalpopolare: canzonette pop del passato come quella del titolo, sagre strapaesane, rotocalchi rosa, amanti focosi e/o impacciati davanti a donne innocenti e un po’ puttane.
È il mondo visto dal piccolo
Mastandrea (per questo da grande diventa un fallito e triste poeta pulp?), e dalla sorellina/
Claudia Pandolfi (per questo da grande diventa una moglie repressa di un vigile logorroico che tradisce con il suo capo?). La madre di questi due, da giovane è
Micaela Ramazzotti, ormai specializzata in donne di popolo, rozze e goderecce, ma alla fin fine molto umane. Da anziana è interpretata da
Stefania Sandrelli, ormai morente, ma sempre pronta a divertirsi con niente e a ficcarsi nei guai.
Tra presente e passato
Virzì racconta questa donna frivola e bella, cacciata dal marito e alla disperata ricerca di un tetto (per questo disponibile con i molti uomini che ne approfittano). Il film ha un buon ritmo, passa agevolmente dall’Italia anni ‘70° a quella di oggi, grazie anche a delle facce giuste e a una colonna sonora spiazzante e diversa dal solito (non i grandi pezzi dei Settanta, ma canzonette da musica leggera, quelle preferite dalla protagonista).
La prima cosa bella si mantiene sul livello della commedia all’italiana classica. Certo, non inventa nulla, ma ricorda quel misto di cinismo e umanità dei
Monicelli e dei
Risi ai quali si ispira (e omaggia pure direttamente). Come sempre cult
Marco Messeri.
Una perfetta commedia europea è invece Soul Kitchen, di Fatih Akin. Qui, per sfortuna, la canzone dei Doors ispiratrice del film non c’è (costi vertiginosi ne hanno impedito l’inserimento, ha detto il cineasta in un’intervista), ma c’è un protagonista che assomiglia al vecchio Jim Morrison (è Adam Bousdoukos, autore assieme al regista della sceneggiatura).
Scenario del film è il Soul Kitchen, ristorante che sembra un Centro sociale occupato. È gestito da Zinos, giovane di origine greca perseguitato dalla sfiga: la bionda fidanzata se ne va a fare la giornalista in Cina, il fratello esce dal carcere e sconvolge la sua vita, un nuovo chef con idee innovative sconvolge i suoi clienti e un fottuto mal di schiena lo tormenta.
Si ride dall’inizio alla fine, si ride di pancia, si ride fino alle lacrime. Mi sono sorpreso a ridere sguaiatamente senza inibizioni di fronte alle sventure del protagonista; non mi succedeva da anni al cinema. Memorabile la scena del massaggio con imbarazzante erezione o quella nella sala d’attesa dello strano guaritore da dove provengono urla impressionanti (è capitata pure a me una cosa simile: io però ero quello che urlava).
Giustamente premiato al festival di Venezia con il Premio Speciale della giuria (finalmente si premia il cinema comico) è un cult-movie con la forza trascinante di Blues Brothers. Tra una risata e l’altra ti racconta la nostra Europa multiculturale nell’Amburgo in trasformazione, con speculazione edilizia, tentativi di fottere il fisco (in tutti i sensi), locali notturni di tendenza, giovani musicanti…
Occhio alla massaggiatrice interpretata dall’attrice ungherese Dorka Gryllus (era presente pure nel memorabile Irina Palm): sarà risolutiva. La prossima volta che avrò mal di schiena cercherò lei.
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