Questa è la seconda pellicola che ha rotto la mia astinenza da sala cinematografica assieme a Pranzo di Ferragosto. Si tratta del ritorno al film di Pappi Corsicato dopo un sacco di anni, troppi per uno così in gamba (sette), con una commedia almodovariana com’è nelle sue corde, Il seme della discordia.
L’intreccio, liberamente tratto da von Kleist (La marchesa von O), è semplice: una coppia in carriera non riesce ad avere figli e allora decide di sottoporsi a delle analisi per vedere chi dei due è sterile. Le analisi dicono che è lui (un Alessandro Gassman freddo e “veloce” in casa quanto focoso fuori), mentre lei rischia di rimanere incita solo a guardarla (Caterina Murino, da guardare assolutamente). Proprio in quel momento lei si accorge di essere in dolce attesa. Lui, ferito nell’onore, l’abbandona.
Dopo un periodo di smarrimento (di vero culto l’illusione di essere una nuova madonna fecondata dallo spirito santo, illusione subito delusa dopo aver parlato con una finta suora sboccata), la donna pensa ai suoi ultimi giorni, e capisce, un po’ per volta, di essere incinta di qualcuno che ha abusato di lei quando era svenuta dopo un tentativo di rapina. Indaga scopre chi è. È … Decide così di abortire.
Ho trovato la pellicola perfetta, con citazioni alte e citazioni basse, un’atmosfera sospesa di rara bellezza tra certi Hitch-movie acidi e il Legami! di almodovariana memoria. Il cast è strepitoso, soprattutto quello femminile: della Murino ho già detto (che altro dire?), Gassman ha trovato la parte della sua vita (sembra nato per fare il rappresentate di fertilizzanti, non me ne voglia e non me ne vogliano i rappresentanti di fertilizzanti). Poi c’è Isabella Ferrari, in un ruolo più leggero del solito, la pappicorsicatiana Iaia Forte dall’orgasmo ritardato (ma devastante), Martina Stella che sembra un manichino (è un complimento), Michele Venitucci agente della sicurezza che sembra un omino della lego (idem), Angelo Infanti, Valeria Fabrizi, Lucilla Agosti, Cristina Donadio, Rosalia Porcaro, Monica Guerritore … tutti/e con una recitazione antinaturalistica tipica del cinema di Corsicato.
Il finale, con la donna ritornata insieme al marito e con un bambino fatto da loro (grazie all’inseminazione artificiale nella libera Spagna?), a prima vista può sembrare consolatorio, chiesto dalla produzione. Forse è così, o forse è una presa in giro del mucciniano Ricordati di me (ricordate?) con infanti scorazzanti in un magazzino natalizio.
Müller ha fatto bene a prenderlo in concorso a Venezia. Il cinema italiano non deve essere solo film carini e politicamente corretti.
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