È un bel ritorno alla commedia questo
Happy Family per
Gabriele Salvatores. Un film leggero e spensierato, se volete lo sia, ma in realtà con un’idea forte sulle realtà virtuali da far impallidire il suo
Nirvana (e chi vive al pc, come tutti noi, lo potrà ben capire).
Si può parlare senza imbarazzo di metacinema grazie al personaggio di
Fabio “Buster Keaton” De Luigi, aspirante scrittore di cinema che davanti al suo pc (o dietro) scrive il film in visione, quello di due famiglie strane, strane quasi come i
Tenenbaum di
Wes Anderson. Indimenticabile la variopinta colonna sonora di quel film, forse una delle migliori della storia del cinema, mentre
Happy Family ha “solo”
Simon and Garfunkel, giusto per dare leggerezza e ritmo al film (e ci riesce, la colonna sonora è uno dei punti forti della pellicola).
Metacinema si diceva. Come non dirlo? Senza paura di usare paroloni. Le due famiglie decidono di incontrarsi a cena, perché i loro due figli sedicenni hanno deciso di sposarsi: lui è un dandy secchione (sarebbe un perfetto
Tenenbaum, non solo per l’abbigliamento), lei una dark-baby (
Tim Burton le ha insegnato come vestirsi). A questa cena invitano pure lo scrittore, entrato in contatto con loro grazie ad un incidente con la bici. Sì, i suoi protagonisti lo invitano a cena, interagiscono con lui, parlano, litigano perché vuole finire la storia in modo insulso, reclamano più battute, si innamorano, vanno ad un concerto… insomma, senza scomodare
Pirandello, siamo ad una trovata del miglior
Allen (ma, perché non citarlo, anche di un certo
Nichetti, cineasta troppo dimenticato).
La cena lunga e complessa serve a spengere l’idea assurda del matrimonio e a delineare i caratteri delle due famiglie: quella alto borghese (
Buy/Bentivoglio) con lui avvocato di successo affetto da un cancro maligno e quella proletaria (
Signoris/Abatantuono) con lui libero
spinellatore che consegna in giro per il mondo navi per ricchi nababbi. Insegnerà a
farsi le
canne all’avvocato (non se ne era mai fatta una
Bentivoglio, ma, con quegli occhietti, è difficile crederlo) e lo porterà in un viaggio in barca a vela verso Panama; un viaggio definitivo, bellissimo, da sogno. Ritorna la coppia
Diegone/Bentivoglio per la gioia di molti.
Ma non è finita con i personaggi: c’è la madre dell’avvocato (
Corinna Agustoni, debitamente invecchiata) e la giovane figlia della
Buy (la giovane emergente
Valeria Bilello). La ragazza, pianista molto dotata, vivrà una bella storia d’amore con lo scrittore del suo film. Notevole la scena del concerto, con lei al piano e la città di Milano notturna e in bianco e nero come la
Manhattan di
Woody Allen, però con molti lavoratori, immigrati, poveracci (mi fa venire in mente
Kamikazen, ma non ricordo il perché; dovrò rivedere il secondo film di
Salvatores, un cult da riscoprire, da rivedere tutti).
Happy Family è geometricamente perfetto, nel suo chiudersi come un cerchio, con l’inquadratura dell’appartamento dello scrittore incasinato, pieno di libri, oggetti, dischi (solo
Simon and Gafunkel… Gabriele, quanta buona musica anche oggi, leggi il mio blog!), cioè tutti gli
attrezzi usati per scriverlo (non basta gooooogle), compresa la vicina di casa della quale è segretamente innamorato; chi scrive, più o meno professionalmente, capirà.