A dicembre vado poco al cinema, troppe cazzate sui pochi schermi rimasti. Infatti saranno un paio di settimane che diserto la sala. A gennaio riprendo. Questo 2009 ho visto parecchi buoni film però, da poter sopportare un po’ di astinenza. Due di questi sono stati poco lodati per l’aspetto filmico, invece molto alto. In alcuni casi ho letto pure delle pessime critiche, delle stroncature ingiuste. Penso a
Nemico pubblico, una delle migliori pellicole di
Mann in assoluto, con un
Johnny Depp perfetto, come del resto tutto il cast. Impossibile non fare il tifo per lui, rapinatore/gentiluomo, grande esperto di fughe dal carcere, innamorato alla follia di una guardarobiera con sangue indiano incontrata una sola volta (…da cinema).
Questo film è la storia di
John Dillinger, ma è anche la storia del nascente FBI di
Hoover, che si sviluppa/ingrassa proprio grazie alla “guerra” al crimine, è la storia di nuovi metodi di investigazione (ad esempio, il controllo delle conversazioni telefoniche), è la “solita” storia del dualismo bene/male (dove sta?) del cinema di
Mann.
È un film molto cinematografico, ricco di scene madri: una sparatoria in un bar nel bosco che sembra un dipinto,
Dillinger a spasso per la centrale di polizia mentre fuori tutti lo cercano, il gangster al cinema a vedere un film con
Clark Gable, il pestaggio della sua ragazza punita solo per il rapporto con lui, la gente che lo applaude come un eroe pop…già un eroe, perché rapinava le banche negli anni ’30, gli anni della
Depressione. Non amavano molto le banche in quel periodo, come oggi del resto. Lo vediamo anche nell’altro film sottovalutato, uscito in questi ultimi mesi dell’anno, l’anno della crisi non più nascosta:
Capitalism – A Love Story di
Michael Moore.
Sì, una storia d’amore quella del capitalismo, amore a senso unico, dove a prendere sono sempre quelli (i ricchi, sempre più ricchi) e a dare tutti gli altri (i poveri, sempre più poveri). Analisi semplicistica? Meglio che non sia complicata come quelle teorie economiche alla base degli investimenti bancari (investimenti?) responsabili dell’attuale crisi. Gli stessi economisti interpellati da
Moore non riescono a spiegarle (anche se l’avevano inventate/sostenute loro). Sembra di vedere un film demenziale, invece è la realtà: grosse compagnie che stipulano polizze sulla vita dei propri dipendenti per guadagnarci, fabbriche produttive chiuse (ma gli operai si organizzano e ridanno vita al loro lavoro), la “paura” usata da
Bush Jr a fine mandato per far votare dal parlamento dei finanziamenti alle banche, piloti d’aerei sottopagati costretti a fare altri lavori…la fine del sogno americano.
Obama sarà il nuovo Franklin Delano Roosevelt? E Roosevelt è stato veramente un grande? Di sicuro aveva ben in mente cosa serve ad una nazione per prosperare e non ricadere nella crisi: lavoro per tutti, dignità, diritti sindacali, sanità garantita, servizi pubblici…è un immagine bella quella proposta a fine film di un filmato del 1944 con il presidente di allora serio e convincente a dettare questa “carta dei diritti”, bruciata dopo la sua morte.
Una bella immagine da contrapporre ad un’altra pessima all’inizio, quella con Ronald Reagan a Wall Strett nei primi anni ’80. Accanto a lui uno sconosciuto (un potente uomo d’affari, ci dice Moore), che comanda al Presidente Usa di sbrigarsi: avanti, taglia, taglia (il discorso). Si nota sul volto del presidente-cowboy un attimo di turbamento; solo un attimo però. Poi riprende il suo sorriso di sempre da bravo attore. Una maschera al servizio del capitale. Questo sono stati i politici (dopo Roosevelt), dice il film. Altro messaggio semplicistico. Ma forse non è il messaggio il meglio del cinema di Moore. È il modo di muoversi del suo corpaccione da americano medio (pre-crisi) sulle miserie della società che impressiona. Non è un rivoluzionario, ma lo sembra. Questo è il problema.
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