L’ospite inatteso di Thomas McCarthy
Vi verrà voglia d
’imparare a suonare il tamburo dopo aver visto il film e vi chiederete cosa è successo alla nostra società dal 2001 in poi.
Uno spento professore universitario da alcuni anni vedovo, si reca ad un convegno a New York. Trova il suo appartamento occupato da una bella coppia di immigrati senza permesso di soggiorno, affittato loro da un truffatore. Dopo un attimo di smarrimento decide di dare ai due ospitalità in attesa di una nuova sistemazione. Impara così a suonare il tamburo (lui, che stava imparando a suonare da cani il piano) e sviluppa una bella amicizia. Ma un brutto giorno, uno dei due immigrati cade vittima di un controllo, finendo poi in un centro di permanenza temporanea. Il professore lotta con tutte le forze per ottenere la liberazione dell’amico, conosce la sua bella madre, si scontra con una politica assurda, antiumana.
Il film ha fatto il giro dei festival, è stato lodato e amato. Finalmente è giunto a noi. Non è bello perché è buono, ma per il rigore nell’esecuzione, nei personaggi perfetti (su tutti
Richard Jenkins, caratterista conosciuto per i film con i fratelli Coen, qui nella parte della sua vita e
Hiam Abbass, attrice che abbiamo visto recentemente e vedremo in molti film d’autore) nell’atmosfera di cinefilia pura tipo le prime pellicole di Scorsese e Coppola, o nei personaggi del Jack Nicholson più indipendente. E poi il fascino beat del Greenwich Village, volete mettere…
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Il giardino di limoni di Eran Riklis
Grande metafora sullo stallo (a dire poco) del problema dei palestinesi cacciati dalle loro terre, abbandonati dalla comunità internazionale, non aiutati dai vicini arabi, con dei politici neanche lontanamente somiglianti al leader Arafat, che tra errori umani aveva portato loro un po’ di speranza. C’è tutto questo e altro ancora nella kafkiana vicenda della povera donna (ancora interpretata da
Hiam Abbass), costretta ad estirpare la sua piccola piantagione di limoni perché il suo nuovo vicino di casa è il ministro della difesa israeliano. Poi c’è l’assurdità di un muro in costruzione (la scena finale, che non racconto, è da antologia della Storia del cinema, ed è lì la grande metafora), la solidarietà tra donne, la burocrazia di uno stato militare, i pregiudizi, la mancanza d’amore della nostra società, il sesso e la politica … Non è un film carino, educato (come potrebbe, visto l’argomento?), ma forte e deciso. Un film come lo girerebbe Buñuel se fosse vivo oggi in Palestina…
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La felicità porta fortuna di Mike Leigh
Non ci resta altra via che il disordine, cantavano i Soon alcuni anni fa. Sembra pensarla così la dolce ed estroversa maestra trentenne interpretata da
Sally Hawkins (premiata a Berlino 2008), libera e gioconda come un personaggio del Free Cinema inglese. Affronta e supera le difficoltà della vita ridendo come una pazza: dal furto della sua bici, al rapporto difficile con l’insegnate di guida frustrato e paranoico, dai problemi con i bambini ai quali insegna al fisioterapista che l’aggiusta. Si diverte con le amiche e con la collega con la quale divide l’appartamento, frequenta un corso di flamenco, inizia una bella storia con l’assistente sociale della scuola, cerca di capire un barbone incontrato di notte, ride della sorella tutta perfettina, con il maritino e il figlio in arrivo …tutti episodi di una vita che scorrono senza sosta, senza farsi ingabbiare nel film. Questa è la forza della commedia scoppiettante diretta da un maestro come Mike Leigh, che guarda ai maestri Lindsay Anderson, Karel Reisz, Tony Richardson … Liberatorio.
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