giovedì 11 dicembre 2008

Intervista a Samuel Katarro


Se vi piace il blues sporco e maledetto, se vi piace perdervi dietro il lato oscuro della luna, Samuel Katarro, da Pistoia (sì, da Pistoia) è il vostro uomo. Ancora una volta un giovane musicante su questi schermi: solo ventitré anni (stento a crederci) e un talentaccio incredibile. Ti viene in mente Syd Barrett, ti viene in mente Captain Beefheart e a tratti Tom Waits o Devendra Banhart, i nostri Jennifer Gentle (c’è pure qui lo zampino di Marco Fasolo e del suo magggico Ectoplasmic Studio) e tutti i grandi vecchi del blues. Ti viene in mente il peyote e Albert Hofmann… mi spiego?
Un album composto undici lamenti spiattellati con una maturità incredibile, giochi di voce e di chitarra che presuppongono un allenamento intenso, testi in inglese intrisi di disperazione (ma anche speranza) grotteschi e fantasiosi. È solo al primo disco (produce l’indi Angle Records), non oso immaginare i seguenti. Ma non voglio caricarlo di stupide responsabilità e paragoni esagerati. A parlare è la sua musica. A parlare è il suo Beach Party. A parlare sarà lui, tra qualche istante… ci sei Samuel?

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