sabato 29 novembre 2008

Carta, abbonarsi ad un giornale morto ammazzato

L'ALTRO GIORNO HO RICEVUTO QUESTA E-MAIL
Caro Alligatore, sono Gianluca Carmosino, redattore di Carta, settimanale al quale sei stato in passato abbonato e che, come forse saprai, ha promosso una campagna dal titolo «Abbonatevi a un giornale morto ammazzato». Ti scrivo per spiegarti gli obiettivi della campagna, naturalmente nella speranza di invogliarti a ritentare l'esperienza, ma anche per raccogliere la tua opinione. In poche parole, il bilancio di una cooperativa povera ma indipendente come Carta soffre principalmente a causa del sistema della distribuzione in edicola che maltratta i piccoli giornali. Per questo, se noi avessimo, ad esempio, 3/4 mila abbonati, e non 2 mila, potremmo progressivamente ridurre la tiratura, quindi risparmiare sui costi di carta, stampa e distribuzione, e ad esempio andare in edicola solo nelle grandi città e in altre città solo su richiesta, magari cercando anche «punti vendita» alternativi, botteghe o associazioni. Proponiamo allora «abbonatevi a un giornale morto ammazzato» [dal governo che ha deciso di eliminare - anche se non da subito - i finanziamenti all'editoria cooperativa] ma diciamo anche «abbonatevi per due anni», cioè scommettete con noi che saremo in grado di spedirvi il settimanale anche l'anno prossimo e quello dopo. O ancora «abbonatevi in compagnia», ovvero regalate l'abbonamento a un amico. In questi due casi il prezzo dell'abbonamento sarà più basso, per incoraggiare a fare questo passo. In cambio, oltre a pagare la tariffa di posta prioritaria [per far arrivare puntuale il settimanale], offriamo agli abbonati alcuni servizi aggiuntivi, oltre al tradizionale omaggio [specialmente cose buone da mangiare], di cui trovi notizie sul sito http://www.carta.org/campagne/editoria/15235
Per qualsiasi informazione puoi comunicare anche con Andrea dell'Ufficio Abbonamenti[abbonamenti@carta.org, tel. 06 45495659].

Ti chiedo comunque di rispondere anche brevemente a questo messaggio, per capire meglio quali sono i motivi per i quali decidi di abbonarti oppure no. Nel suo piccolo, anche questo vuole essere un modo per migliorare il nostro lavoro. In ogni caso grazie davvero per l'attenzione.

Gianluca Carmosino, CARTA

Tutto sulla campagna

IO HO RISPOSTO CON QUESTE PAROLE

Ciao Gianluca. Devo dire che nell'ultimo periodo ho pensato molto ad abbonarmi a Carta, sia per la crisi economica che attraversate, sia perchè ho ben presente che una crisi economica è anche una crisi di democrazia e in questo periodo il rischio è alto, sia perchè Carta mi piace, come stile e contenuti. Non misono ancora abbonato e forse non lo farò per motivi di tempo e anche economici. Purtroppo, bisogna dirlo, la Rete mangia tempo e spazio alla stampa tradizionale e ho paura (tempo fa non ci credevo) che si stia avvicinando sempre di più la tanto paventata scomparsa della stampa su carta. Spero di sbagliarmi, spero sia possibile una pacifica convivenza tra i due, ma da quello che si vede sembra sempre più vicina.
Alligatore

SUA RISPOSTA

Caro Alligatore, prima di tutto grazie per la risposta. La relazione tra web e stampa è un tema importante: anche per questo dedichiamo tante attenzioni al sito http://www.carta.org/ [a differenze di qualsiasi altro giornale e settimanale di sinistra che va in edicola], ma è chiaro che anche il lavoro in rete ha bisogno di un sostegno economico.


Un saluto da collettivo di Carta
Gianluca Carmosino

IL DIBATTITO E' APERTO...

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domenica 19 ottobre 2008

Beata Ignoranza

La scuola va a rotoli con le riforme del governo Berlusconi? Non sono un genitore, non sono un maestro e manco un professore, ma quello che vedo non mi piace e allora, ripensando a quando andavo alle elementari io, ai tempi del maestro unico, ho buttato giù questo raccontino …


Berna

Adesso che è finita da un bel pezzo mi sembra una cazzata, come fare un buco nel burro con il trapano, ma quando ci andavo non la pensavo così. Quando ci sei in mezzo, le cose hanno una connotazione molto diversa da quando te ne stai con il culo in salvo, abbondantemente lontano dai guai. Su questo mio nipote ha perfettamente ragione, io torto marcio.
La scuola fa vomitare, fa schifo. È un luogo opprimente dove ti costringono ad andare. Ti devi presentare tutte le mattine alla stessa ora, e se non vuoi ci vai lo stesso. Come palestra di vita ci prende in pieno. È perfetta.
Un professore ti sta sulle palle?
Non importa.
Trovi i tuoi compagni di classe insopportabili?
Chi se ne frega.
Tu sei stato assegnato lì, e lì devi andare. Ha forse alternative il condannato a morte? e la mucca nel macello? e il topolino nella tana del serpente?
Mica glielo posso dire al nipote tutte queste cose però. Devo convincerlo ad andarci con piacere: la scuola è bella, la maestra ci vuol bene e s’imparano tante cose… tutte quelle balle lì.
Devi eseguire sempre i compiti, devi comportarti da ragazzo maturo, devi alzare la mano quando sai le risposte. A pisciare una volta sola (meglio farla nell’intervallo), se ti scappa ancora te la tieni. Mai marinare la scuola, mai rispondere sgarbatamente alle insegnanti, mai...
Bei discorsi, buone intenzioni. Ottime per il libro Cuore.
Capite anche voi che mi è molto difficile risultare convincente quando ripeto queste quattro balle a mio nipotino. Soprattutto il discorso riguardante le berne, cioè il marinare la scuola. Chissà quante berne ho fatto nella mia lunga carriera scolastica. Non si contano. Ho cominciato da piccolo, in seconda o terza elementare.
Me la ricordo come fosse ieri la mia prima volta di berna. Io e il mio amico Goccia, soprannominato così perché aveva sempre la goccia al naso. Il moccio, intendo dire.
Abitavamo vicini io e Goccia. Di conseguenza andavamo a prendere l’autobus insieme. Nel mio piccolo paese non c’era la scuola elementare (non c’è neppure adesso), così eravamo costretti ad emigrare come pendolari. Tutte le mattine sull’autobus. Pioggia, neve, vento, nebbia...
Cinque o sei chilometri sulla corriera blu, in compagnia delle nostre maestre. Tutti ai propri posti, rigorosamente distribuiti a seconda della classe scolastica d’appartenenza: quelli di prima davanti, quelli di seconda subito dietro, quelli di terza … quelli di quinta in fondo. Parlo di un paesino di due, tremila anime, quindi un pullman era più che sufficiente per tutti.
Ogni mattina la stessa storia: sveglia, lavarsi la faccia, fare la cacca e la pipì, colazione, poi di corsa alla fermata della corriera. La nostra era situata davanti all’entrata della casa delle monache, ad uno sputo dalla chiesa. Per raggiungere il bel posto avevamo due strade: una breve e diretta, quella che una persona razionale avrebbe sempre preso, un'altra più lunga e tortuosa, con una salitona sconsigliata ai cardiopatici e difficoltosa pure per un bambino con cartella piena di libroni e quaderni.
Di solito, io e l’amico Goccia imboccavamo quella breve. Naturale. Ma quel giorno, quello della mia prima berna ufficiale, no. Tra l’altro, passando per la via secondaria, si aveva modo di vedere la corriera senza essere visti. Così potevamo osservare l’arrivo del pullman, aspettare si fermasse a raccogliere i nostri compagni e poi vederlo ripartire. Noi saremmo accorsi un minuto dopo, fingendoci dispiaciuti. Il piano appariva perfetto, lineare come una stecca da biliardo: grossa in testa, fine in punta. Troppo fine.
“Mi pare di aver visto la corriera passare,” disse Goccia dopo un paio di minuti di silenziosa attesa.
“Sicuro?”
“Sì, guarda giù in fondo, è passata, mi pare.”
“Allora andiamo…”
“Forse è meglio aspettare ancora un attimo.”
“Si è meglio. Se ci vedono arrivare subito, possono pensare a qualcosa di studiato.”
“No, è che non sono sicuro che sia passata. E poi non ti preoccupare, non possono farci nulla.”
“I carabinieri sì. I carabinieri se non vai a scuola ti ci portano loro.”
“Sì, ma per un solo giorno non ti fanno niente. E poi quando scendiamo alla fermata, mica incontriamo i carabinieri. Al massimo troviamo la mamma di Maddalena che ritorna a casa… Eccola, guarda che arriva. Nascondiamoci.”
La mamma di Maddalena, chiapperi! Credo avesse gli occhi dappertutto. O, più semplicemente, fosse dotata della supervista di Superpippo.
“Cosa fate lì?”
“Niente, lui non trova più un quaderno.”
“E lo cercate nel mio orto?”
“No, è che ci siamo fermati per vedere se l’ha messo in cartella… purtroppo abbiamo perso la corriera.”
Be’ insomma, dopo quattro ciacole con questa signora, poco convinta dai nostri discorsi, ce ne ritornammo a casa. Cosa stupida. A casa c’era ancora mio papà. Ci portò subito a scuola. Anche là parevano poco convinti riguardo alla storia del quaderno di Goccia. I compagni di classe sorridevano, mentre la maestra, ascoltando la nostra versione dei fatti, faceva la faccia seria e un tantinello seccata. Nonostante questo non ci punì. No, niente di brutto o cattivo. Manco una frustata sul culetto. Del resto, che avevamo mai fatto?
Si, come esordio di berna non è un granché, devo ammetterlo. Diventando grande ho imparato a farla meglio. Nel corso degli anni mi sono specializzato, ho affinato l’arte. Nell’ultimo anno delle superiori ne ho architettate molte. Allora non c’era più Goccia, c’era Massimillo. Ma queste sono altre storie. Meglio non scriverle ora, non vorrei mio nipotino le leggesse e tentasse d’imitarmi. È un’attività pericolosa.

E PER TORNARE SERI, ECCO ALCUNI LINK UTILI
Su Smemoranda
La scuola in lotta
DA VENEZIA UNO DEI TANTI VIDEO DELLA PROTESTA

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giovedì 25 settembre 2008

Facciamolo uscire


Ogni giorno ha la sua pena. Il decreto legge sull’editoria portato avanti dal ministro Tremonti (che in passato, è dura crederci, scriveva ogni tanto su il manifesto), ha previsto dei pesanti tagli alla stampa cooperativa e politica. A farne le spese, tra gli altri, un quotidiano libero e indipendente, di sinistra, come il manifesto.
Per questo, il giornale “da 37 anni dalla parte del torto” ha lanciato la sua campagna di sopravivenza, con una copertina che spiega bene il tutto e fotografa in maniera implacabile la crisi che stiamo attraversando in Italia, tra privatizzazioni, svendite, tagli, divieti, censure. Una crisi economica, culturale, democratica. Per questo vi invito a leggere e, se potete, contribuire a Farlo uscire …
Per sapere tutto leggete qui il manifesto

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martedì 2 settembre 2008

La guerra dei poveri


Sempre più spesso, purtroppo, sono testimone di sfoghi di amici/che musicanti, artisti, creativi ecc. riguardo una bassa considerazione nei confronti del loro lavoro. Sempre più spesso, per i padroni del vapore, dovrebbero lavorare per un pezzo di pane, per il rimborso spese o, ancora meglio, GRATIS (“accontentatevi di far curriculum”, si sentono dire da chi intanto con loro fa i soldi). Certo, questa è la condizione nella quale viviamo quasi tutti, non solo gli artisti. L’epoca del neoliberismo trionfante, della precarietà, dei prezzi che salgono e degli stipendi e salari fermi, di chi non arriva alla terza settimana e di chi manco comincia… però impressiona sentire che anche nel dorato mondo degli artisti succedono cose così. Un buon esempio è il documentario dell’amica Ila, giovane musicante/creativa ideatrice di LA GUERRA DEI POVERI “volevo fare il musicista …”
VAI QUI http://www.myspace.com/laguerradeipoveri PER ALTRE INFO, SCARICARE E DIFFONDERE IL DOC ...

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