CINEMA: Amabili resti

Insomma, non mi sono divertito. E poi ci sono troppi effetti speciali. Il cinema rischia di diventare presto (o forse lo è già diventato) un grande gioco sperimentale, tra reale e immaginario, con immagini finte e immagini vere, attori in carne ed ossa accanto ad attori sintetici. In certi casi il risultato è buono (vedi Avatar, per me un gran bel film) in altri meno (vedi, appunto, Amabili resti).
Certo, la storia, tratta da un libro di successo, si prestava: una povera bambina, vittima di un bruto, viene orribilmente assassinata (non ci sono scene di violenza, quasi tutto viene fatto abilmente immaginare); è morta, ma rimane nel limbo. Viaggia come spettro tra l’aldilà e l’aldiquà. Vede i genitori, la sorella, il fratellino, lo spasimante, il bruto … però rimane confinata in un paesaggio da fantasia (ed è qui che Peter Jackson si scatena con gli effetti speciali e colori mai visti).
Parallelamente, nel mondo dei vivi, la storia continua, ed è il meglio del film. Qui Jackson c’è (c’è pure in un bel cameo di stampo hitchcockiano). La vita della sua famiglia prosegue, anche se non nel migliore dei modi, le indagini vanno avanti, il bruto mette in atto altri crimini. Tutti splendidi attori a partire da un irriconoscibile Stanley Tucci, serial killer dalla borghese vita ordinaria, Susan Sarandon, nonna libertina/libertaria, Rachel Weisz, madre intellettuale persa nel suo dolore. Perfetta pure la ragazzina vittima dell’assasino, la giovane Saoirse Ronan. A non convincermi, oltre all’eccessivo utilizzo degli effetti speciali, sono certe sdolcinatezze da pellicole d’adolescenti, fuori luogo per un film con una tematica così dura. Il primo David Lynch forse avrebbe fatto meglio.

Viene voglia di leggere il romanzo Amabili resti di Alice Sebold, in Italia edito da e/o, editore molto presente al cinema in questo periodo (Il riccio); manca solo un bel film con L’Alligatore di Carlotto.
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