In palude con Fiesta Alba
NOTE SINTETICHE ALL’ASCOLTO DEL DISCO
E’ sempre difficile catalogare una band in un genere preciso soprattutto all’esordio discografico, questa volta però l’incasellamento diventa particolarmente problematico nel momento in cui i Fiesta Alba manifestano il fastidio, se non la repulsione, a essere inseriti in un genere musicale identificato. E allora parliamo di contaminazione di vari generi: il math rock di radice statunitense (quello figlio del post-rock e dell’hardcore per intenderci), l’afrobeat minimalista a là Fela Kuti, vengono miscelati insieme al minimalismo, l’elettronica anni ’90, il dub, l’hip hop, il post-punk, il progressive. Ogni brano risente di una specifica influenza prioritaria rispetto alle altre. Qualcuno ha scritto dei Fiesta Alba che fanno post-math rock, e tutto sommato ci può stare.
L’ep d’esordio (uscito ufficialmente il 29 marzo del 2023 e anticipato dal video “Laundry” https://www.youtube.com/watch?v=UDtqnxPVjLs) si può ascoltare su tutte le piattaforme digitali (Spotify, Bandcamp, Deezer, etc.). Si può anche richiedere il cd fisico sulla mail della band contattabile sul loro sito, oppure tramite bandcamp. Anche un messaggio su Instagram, Messenger, va bene. L’ep si può richiedere inoltre sul bandcamp della “neontoaster multimedia dept.” l’etichetta presso cui è stato pubblicato. La neontoaster è una piccola label italo-tedesca che cura alcuni progetti e pubblica lavori di alta qualità che hanno ricevuto notevoli riscontri dalla critica.
4 dei 5 brani che compongono l’ep sono stati interpretati vocalmente da vocalist differenti provenienti dalle periferie di diversi paesi del mondo dall’Europa all’Africa passando per i ghetti di New York. Infatti la band pur avendo base tra Roma e Torino, possiede una vocazione internazionalista che la porta a collaborare e a contaminarsi con i luoghi più disparati del pianeta.
Per conoscere meglio i Fiesta Alba:
FB https://www.facebook.com/fiestaalbaofficial/
INSTAGRAM https://www.instagram.com/fiestaalbaofficial/
L’INTERVISTA
Come è nato questo vostro ep d’esordio?
Fiesta Alba
nasce dentro un garage della periferia di Roma durante un periodo nefasto in
cui le libertà individuali venivano soffocate in favore della sicurezza
collettiva. Durante la pandemia, mentre altri progetti che ci coinvolgevano come
musicisti subivano una battuta d’arresto date le condizioni, in quel garage abbiamo
avviato una profonda riflessione sulla composizione musicale e sulla
contemporaneità del rock e della musica in generale. Abbiamo sentito
un’insoddisfazione rispetto alla considerazione del rock come genere stanco e
ripetitivo nelle forme, e rispetto alla omologazione dei generi che impera, dovuta
soprattutto alle piattaforme digitali e agli algoritmi che le gestiscono. Ci
siamo voluti prendere il lusso di dire la nostra in una forma implicitamente
conflittuale con tutto questo e abbiamo manifestato questa conflittualità
calandoci delle maschere da lottatori messicani.
Come mai senza titolo? … per dire: noi siamo le nostre canzoni?
Ritenevamo
logico che un ep d’esordio stilasse una sorta di mappa genetica della band, un
DNA che identificasse i Fiesta Alba o, se vuoi, un piccolo manifesto di quello
che volevamo comunicare nel panorama musicale in cui ci siamo inseriti. Essendo
quindi un lavoro di identificazione, di perimetro musicale, abbiamo ritenuto
opportuno chiamarlo con il nome stesso della band.
Come è stata la genesi dell’Ep, dall’idea iniziale alla sua realizzazione finale?
Dalle
riflessioni cui accennavo poco sopra, abbiamo ricercato nuove forme di
composizione approdando così a un bel po’ di materiale contraddistinto da una
stratificazione chitarristica, ad opera di Octagon, debitrice di un certo
minimalismo sia di matrice classica contemporanea (Reich, Glass) che rock (King
Crimson, Battles). Su questa tessitura chitarristica è intervenuto il basso di
Fishman che ha innervato le composizioni con una marcata africanità e il
drumming funk rock di Pyerroth. Una volta registrata la sezione ritmica, i
brani sono arrivati a Torino nelle mani di Dos Caras che ha selezionato il
materiale, ha aggiunto le parti sintetiche e dato corpo e forma alle
composizioni cui nel frattempo erano arrivati i contributi delle voci dalle
altre parti del mondo. Il risultato sonoro era quello che speravamo, e forse è
andato anche al di là delle nostre aspettative.
Qualche episodio che è rimasto nella memoria durante la lavorazione del disco?
Non sempre il
rapporto con i vocalist è filato liscio. Avevamo sentito il lavoro di dj
Sensational con i Weight and Treble e ne eravamo rimasti colpiti, così lo
abbiamo contattato. Dj Sensational è un personaggio particolare, una sorta di
bohemien di Brooklyn con un passato tosto, fatto di strada e presidi sanitari.
Una volta stabilito l’accordo però le sue richieste sono diventate sempre più
esigenti tanto che abbiamo dovuto interrompere la collaborazione senza essere
riusciti ad avere una traccia vocale isolata come avevamo pattuito. Siamo
quindi dovuti ricorrere ad un escamotage tecnologico per estrarre la sua voce e
utilizzarla sul pezzo, e per evitare ulteriori problemi non abbiamo potuto
citarlo nei credits ufficiali dell’ep. Ma alla fine ne è valsa comunque la
pena!
Se Fiesta Alba fosse un concept-album su cosa sarebbe? … tolgo il fosse?
Non ritengo
Fiesta Alba un vero e proprio concept-album classicamente inteso, cioè una
serie di brani uniti da un’idea centrale. Piuttosto come ti dicevo è un
manifesto in cui dovevamo tracciare il il perimetro della nostra concezione di
musica, connotare quello che facciamo con una specifica cifra stilistica.
Certamente poi alla base della nostra musica sono riconoscibili alcuni concetti
tra cui il rifiuto del conformismo musicale, la vitalità della contaminazione
dei generi, il rifiuto della cultura massificata anche laddove vengono spese le
parole “underground” o “indie”, la differenza tra musica rivoluzionaria (o
quantomeno innovativa) da quella reazionaria, e più in generale una critica al
modello di sviluppo e consumo attuale che sovradetermina la nostra cultura.
C’è qualche pezzo che preferite? Qualche pezzo del quale andate più fieri dell’intero disco? … quello più da live?
Il nostro
lavoro è molto eterogeneo e ci siamo subito sentiti di affrontare la sfida di
rimanere riconoscibili al di là delle diverse influenze che connotano i pezzi
dell’ep. Proprio la differenza di influenze dei brani, alla fine, è risultata
la ricchezza del lavoro e ha fatto sì che a tutti piacessero episodi differenti
dell’ep. Per quanto ci riguarda è successo che via via che li componevamo, li
suonavamo e li ascoltavamo, abbiamo preferito nel tempo l’uno o l’altro brano,
senza poi andare più fieri di un brano in particolare. Proprio avendo
caratteristiche diverse alcuni brani sono migliori da ascoltare (Burkina phase,
Juicy lips) e altri da suonare (Laundry, Dem say o Octagon).
Thomas Sankara perché? Lo vogliamo fare conoscere alle nuove generazioni?
Ci piacerebbe molto
che il nostro lavoro contribuisse alla conoscenza di un pezzo di storia del
continente africano, un pezzo di storia luminoso e ancora molto attuale e nel
nostro mondo ancora troppo poco conosciuto. Far ascoltare la voce di una delle
più grandi figure del riscatto post-colonialista è un modo per riflettere sui
rapporti, non troppo cambiati, delle nazioni occidentali nei confronti delle
nazioni dei paesi in via di sviluppo. Ma anche per celebrare uno dei grandi
miti della fine del secolo scorso, cristallino nei suoi intenti e tragicamente
simbolico nel suo martirio. E poi, forse non tutti sanno che Sankara suonava la
chitarra elettrica, e anche se non ho mai sentito una sola nota suonata da lui,
sono sicuro che sia stato il più grande chitarrista di tutti i tempi.
Copertina molto
suggestiva, modernissima. Come è nata? Chi l’ha pensata così?
Il concept della copertina è opera di Octagon e si basa su un’architettura di un palazzo realmente esistente in Cina, vagamente rassomigliante ad uno ziggurat. E’ stato poi ridisegnato da un giovane e promettente fumettista italiano (Andrea Frittella) e successivamente elaborato in modo tale da sfalsare i livelli del disegno. A tutti gli effetti è una rappresentazione grafica della nostra musica in cui prevalgono le geometrie caleidoscopiche della realtà, o meglio dire della contemporaneità, e in cui i livelli si sovrappongono e conferiscono un grado di surrealtà, di dissonanza alla struttura architettonica. L’ispirazione potrebbe essere Escher o la psichedelia basata sull’arte della ripetizione (come nel minimalismo della musica contemporanea) ma qui è tutto basato sul reale e su una delle forme in cui si manifesta la società contemporanea.
Come presentate dal vivo il disco?
Il materiale del disco sarebbe troppo poco per sostenere un live e quindi i nostri concerti saranno basati non solo sui brani dell’ep ma anche su tanto altro materiale che costituirà poi la sostanza del prossimo lavoro che vorremo pubblicare in un futuro prossimo. Dal vivo tutto sarà più semplificato e d’impatto, prevarrà senz’altro la parte chitarristica e strumentale e Dos Caras (l’attuale componente che si occupa della parte sintetica e digitale) sarà incarnato invece da un chitarrista per suonare le stratificazioni di chitarra caratterizzanti del lavoro. Stiamo in questo periodo preparando il live per poter fare alcune esibizioni in autunno dato che sull’onda delle ottime critiche che abbiamo incassato, sono arrivate anche alcune richieste di concerti.
Altro da dichiarare…
Grazie dell’intervista e di questo spazio libero che curi.
La lucha libre sigue!
Etichette: Fela Kuti, Fiesta Alba, Hardcore, Hip Hop, In palude con ..., Intervista, Math-Rock, Roma, Thomas Sankara, Torino
10 Commenti:
Torna l'intervista in palude, torna con un altro esordio sul quale mi va di rischiare, quello dei Fiesta Alba con l'omonimo Ep.
Cinque brani con voci del mondo, 4 dalle periferie rivoluzionate del mondo, 1 da un grande rivoluzionario del secolo scorso Thomas Sankara.
Dall'iniziale Laundry, politico-poetico con brio, ritmo sghembo con una chitarrina insistente al finale...
... al finale sulfureo, sperimentale, d'avanguardia di Octagon, ossessivo e intricato come può esserlo il pezzo di chiusura.
In mezzo, mi va di citare per prima Burkina phase perché incessante elettronica con la voce di uno dei più importanti rivouluzionari del secolo breve, Thomas Sankara. Chitarrina acida e fiati elettronici mai così veri. Sono estratti da "Summit panafrcano del 1987", ed è bello pensare, dopo questa intervista, che a suonare la chitarra elettrica ci sia Sankara stesso.
Juicy lips è un pezzo dal ritmo sostenuto, elettronica da stop al panico con ancora una bella chitarra e un rappare dinamico/dinamitardo. Sembra un Frank Zappa a Brooklyn oggi.
Dem say è saltellante e ipnotica elettronica che si avvicina ai ritmi dell'afrobeat per narrare della Madre Africa con la voce della Nigeria.
Be', è stato un piacere ospitare in palude questo nuovo progetto, che va contro le convenzioni musicali, nazionali e si apre al mondo, anche con la copertina/progetto grafico del già conosciuto in palude Andra Fritella.
Interessante. Decisamente piacevole il pezzo proposto!
Grazie, immaginavo ti sarebbe piaciuto, e anche il resto...
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