In palude con Eva Kunt
NOTE SINTETICHE ALL’ASCOLTO DEL DISCO
GENERE lo-fi lounge hip hop
DOVE ASCOLTARLO su tutte le piattaforme tipo qui, qui, qui
LABEL Three Hands Records
PARTICOLARITA’ musica come riciclo emotivo
CITTA’ Bologna
DATA DI USCITA 22 aprile 2025
L’INTERVISTA
Come è nato Plastic Era?
Plastic Era è nato dal bisogno di dare una forma sonora a ciò che sento intorno a me.
La plastica è un materiale che appartiene al nostro tempo: onnipresente, spesso ingombrante, e proprio per questo ci costringe a immaginare alternative e nuove possibilità.
Nel disco l’ho usata come metafora: così come la plastica può essere riciclata e trasformata, anche le emozioni che ci travolgono possono trovare una nuova vita se rielaborate.
La musica, per me, è proprio questo processo di trasformazione.
Come mai questo titolo? Impegno ecologico?
Il titolo gioca sul doppio senso: “era della plastica” come periodo storico dominato dai consumi e dai materiali artificiali, ma anche “era plastica” nel senso di mutevole, trasformabile. C’è un riferimento ecologico, ma non volevo limitarmi alla denuncia: la plastica diventa una metafora della nostra condizione, fragile e resistente allo stesso tempo, che ci invita a cercare alternative e nuovi modi di esistere.
Come è stata la genesi di questo disco, dall’idea iniziale alla sua realizzazione finale?
Tutto è iniziato da un’idea visiva, quasi pittorica, che poi si è trasformata in suono.
Ho creato beat lo-fi, sfruttando le mie influenze lounge e psych, e li ho intrecciati con atmosfere cinematiche che richiamano il mio immaginario pittorico. La realizzazione è stata un processo lento ma fluido, un intreccio di immagini, suoni e stati d’animo.
Qualche episodio che è rimasto nella memoria durante la lavorazione di Plastic Era?
Sì, ricordo bene quando stavo lavorando a Tonite: il concept “singhiozzante” della traccia è nato da un errore del programma, che ha generato un loop “sbagliato”.
Invece di scartarlo, ho sentito che proprio quell’irregolarità poteva diventare la chiave: mi ha suggerito l’asimmetria che dà personalità al brano. È stato un piccolo imprevisto tecnico che si è trasformato in ispirazione, e credo che proprio questo dialogo tra controllo e casualità sia uno degli aspetti più affascinanti della creazione musicale.
Plastic Era è un concept-album?
Sì, assolutamente.
Ogni brano è un tassello di una narrazione più ampia, una sorta di diario sonoro di un’umanità che cerca ancora di connettersi, nonostante il rumore di fondo.
È un concept sull’epoca che viviamo, visto con uno sguardo insieme critico e poetico.
C’è qualche pezzo che preferisci? Qualche pezzo del quale vai più fiera dell’intero disco? Quello più da live?
È difficile scegliere, perché ogni brano ha un ruolo preciso nell’insieme.
Forse sono più legata a Cold Night, che rappresenta bene l’anima del progetto: intimo, malinconico ma con uno spiraglio di luce.
Non ho però concepito Plastic Era pensando ai live: per me era soprattutto un modo di rendere fruibile ciò che faccio in studio, quasi come colonna sonora del mio immaginario.
Detto questo, non escludo che in futuro alcuni pezzi possano prendere nuova vita anche sul palco.
La label del disco è Three Hands Records… chi sono? Come mai con loro?
Three Hands Records è un’etichetta che di base si muove nel mondo della techno, ma ogni tanto apre delle finestre su territori più downtempo quando incontra progetti che considera interessanti e fuori dagli schemi.
Con Plastic Era è stato così: hanno colto subito la particolarità del disco e hanno deciso di sostenerlo senza chiedermi di adattarlo a logiche più convenzionali.
Copertina molto affascinante, bella filmica (ricorda Almodovar, certe sue locandine)… come è nata?
La copertina nasce dal mio immaginario pittorico. Dipingo spesso volti androgini, divinità siderali, figure sospese. Per Plastic Era ho voluto trasformare uno dei miei quadri in un’immagine che unisce cinema e pittura, realtà e sogno. L’estetica richiama i poster filmici perché desideravo che l’album fosse percepito anche come un “film sonoro”.
Dal vivo il disco non lo presenti, da quello che ho capito? … è così?
Sì, in realtà non ho immaginato Plastic Era come un disco da portare subito live.
È nato come esperienza più introspettiva, pensata per essere ascoltata e vissuta come un viaggio sonoro. Al momento non ci sono date in programma, ma non escludo che in futuro possano nascere occasioni per trasformare questo immaginario in una dimensione dal vivo.
Altro da dichiarare…
Vorrei che chi ascolta Plastic Era si prendesse un tempo per sé, per rallentare e lasciarsi attraversare dalle atmosfere. È un disco che parla di fragilità e trasformazione, ma anche di possibilità. In fondo, siamo tutti un po’ “plastici”: segnati dalla nostra epoca, ma ancora capaci di cambiare forma e trovare nuovi sensi.
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