Ho immaginato un ponte
ideale tra le radici partenopee e il sentimento di grande vicinanza culturale,
di fratellanza che lega Napoli ai ritmi e alle melodie del Brasile. Volevo
raccontare la similitudine tra le melodie napoletane e le forme musicali
popolari brasiliane, come lo chorinho e il samba, attraverso brani originali,
scritti in napoletano e portoghese, e alcune personalissime rielaborazioni di
grandi autori brasiliani, come Joao Bosco, Jacob do Bandolim,Chico Buarque de Hollanda.
Perché questo titolo?
Terre del finimondo è un
titolo mutuato da un famoso romanzo di Jorge Amado, il più grande scrittore
brasiliano del Novecento. Napoli e Rio de Janeiro sono terre di un metaforico
finimondo, terre di incontri di mille razze, luoghi di diversità e di
integrazione, in cui convivono luci e ombre, salvezza e perdizione. In ogni
brasiliano scorre un sangue ricco di fermenti europei, africani, indios e
meticci, proprio come in ogni napoletano ci sono le tracce delle culture che
hanno dominato a Napoli, greci, spagnoli, francesi, arabi. E sono appunto
questi aspetti a rendere queste terre così uniche e impossibili da dimenticare.
Come è stata la genesi dell’album, dall’idea iniziale alla
sua realizzazione finale?
Inizialmente avevamo
preso in considerazione anche alcuni classici della canzone napoletana
dell’Ottocento, poi durante la lavorazione la nostra vena creativa, mia e di
Piero De Asmundis, produttore artistico insieme a me e arrangiatore del disco,
ci ha suggerito di scrivere quasi esclusivamente brani originali, e sono nati
altri brani che ci hanno entusiasmato al punto da sostituirli ai classici.
Qualche episodio che è rimasto nella memoria durante la
lavorazione di Terre del finimondo?
Nessun episodio in
particolare, piuttosto se ripenso ai tre mesi della lavorazione in studio, mi
viene in mente il clima di grande gioia ed entusiasmo che ha caratterizzato la
partecipazione di ogni musicista ospite del disco: ben 22 musicisti che hanno
contribuito con la loro bravura e professionalità a rendere speciale il
risultato finale e i giorni vissuti insieme.
Se fosse un concept-album su cosa sarebbe? … anche a
posteriori?
Il mio precedente album,
Io sono Ulisse, era un concept, e mi
rendo conto che in qualche modo fa parte di me la ricerca di un senso omogeneo,
quindi anche nel caso di Terre del
finimondo c’è in fondo un concetto che emerge in tutti i brani, ed è il
bisogno di rinascita, la capacità di ritrovarsi dopo i momenti bui della vita,
di scoprirsi forti e ancora in grado di cogliere la bellezza e di splendere.
C’è qualche pezzo che preferisci? Qualche pezzo del quale
vai più fiera dell’intero disco? … che ti piace di più fare live?
Ogni brano ha un posto
speciale per me, conquistato grazie al duro lavoro di studio, di arrangiamento
e di realizzazione, Lassame sta
perché è il brano più ispirato, Tarsila
perché è il mio primo brano composto in portoghese, Nasco ddoje vote perché è una vera sfida vocale, tecnicamente molto
impegnativa...
Chi citare a livello produttivo? Chi ti ha aiutato di più a
realizzare il disco?
Terre del finimondo è un
disco autoprodotto, e come ho già detto, Piero De Asmundis ne è il produttore
artistico e arrangiatore insieme a me, quindi ringrazio la nostra capacità,
confermata anche nei miei precedenti dischi, di essere sempre in profonda
sintonia e di ispirarci reciprocamente nel totale rispetto delle nostre
identità musicali.
Molto particolare la copertina, ricca di colori, disegni,
come del resto il libretto interno e anche il cd stesso. Come è nata? Chi
dietro la grafica del disco?
Studio Zeta, ovvero
Mario Zenga, autore anche della copertina di Io sono Ulisse, è l’autore della meravigliosa grafica di questo
disco. Siamo partiti dalla pittura modernista brasiliana, poi man mano il
nostro è diventato un caleidoscopico e coloratissimo contenitore in cui far
confluire tutti i simboli della cultura napoletana e brasiliana.
Come presenti dal vivo il disco Terre del finimondo?
Con enormi difficoltà, a
causa delle misure restrittive per l’emergenza coronavirus, le rassegne e i
festival hanno ridotto comprensibilmente i loro budget, quindi anch’io mi sono
adattata. Avremmo voluto presentarlo in sestetto, ma al momento viaggiamo in
trio, per fortuna il repertorio si presta anche a piccole formazioni.
Altro da dichiarare?
Spero che l’Italia torni
ad occuparsi di cultura, arte e musica, perché la politica di questi ultimi
decenni ha mortificato la categoria degli artisti in modo vergognoso. Un paese
che non cura questo aspetto è un paese morto.
Copertina magnifica, colorata e fiabesca come le canzoni del disco, un bel concentrato di parole e suoni di quelle terre, che, come dice la Selo nell'intervista, hanno più di una relazione.
Molto sensuale, giocoso, che piacerebbe molto a Jorge Amado Doce de coco, bozzetto brasileiro con percussioni a iosa, chitarra classica, ukulele basso, bandolim ... e la voce di Brunella Selo. Magia pura.
Ciccibbacco (quante doppie, non riesco manco a pensarle), cantato in napoletano, con cuore e ironia tipica dei partenopei e un'intro di mandolino importante. Direi pure filmica, per un film tra Woody Allen e Troisi (forse lo potrebbe fare Turturro).
Da segnalare anche De frente pro crime, pezzo sostenuto da fiati impressionanti, che ti portano a Rio, come il cantato di Brunella e Robertinho Bastos (anche percussioni).
Veramente forte l'interpretazione della solenne Shinà di C. Buarque de Hollanda con archi a iosa, la chitarra classica a dare il ritmo e una voce al massimo della sua estensione...
Ma è tutto un disco da ascoltare, respirare, amare ...e molto belle le parole di Brunella Selo a chiusura dell'intervista, che faccio mie: spero che l’Italia torni ad occuparsi di cultura, arte e musica, perché la politica di questi ultimi decenni ha mortificato la categoria degli artisti in modo vergognoso. Un paese che non cura questo aspetto è un paese morto.
Mi piace molto la cultura napoletana. Sto cercando di aprire Spotify solo per ascoltare questa musica. Spero di riuscirci. Mi piace anche la tua intervista multicolore. Un abbraccio
Critico rock del web. Pacifista integrale.
Collaboratore del sito della nota agenda
Smemoranda dalla lontana estate del 2003 e del Frigidaire cartaceo dall'autunno 2009. Dall'aprile 2017 collabora anche con Il Nuovo Male, e dall'estate del 2017 con il portale I Think Magazine, dall'autunno 2018 con MeLoLeggo.it. A gennaio 2018 fonda con Elle il sito L'ORTO DI ELLE E ALLI . Metà veneto, metà altoatesino (la mamma è dello stesso paese di Lilli Gruber), è nato nei primi anni Settanta, il giorno del compleanno di Jack Kerouac.
11 Commenti:
Bellissimo avere in palude questa sera calda Brunella Selo, che ci delizia con questo disco tra cultura napoletana e brasiliana.
Copertina magnifica, colorata e fiabesca come le canzoni del disco, un bel concentrato di parole e suoni di quelle terre, che, come dice la Selo nell'intervista, hanno più di una relazione.
Unidici pezzi magici, cantanti in napoletano e portoghese, tra i quali è molto difficile scegliere ...
Come dice lei, il pezzo più ispirato è Lassame sta: intenso, cantanto in napoletano, sembra un classico della canzone italiana del boom.
Molto sensuale, giocoso, che piacerebbe molto a Jorge Amado Doce de coco, bozzetto brasileiro con percussioni a iosa, chitarra classica, ukulele basso, bandolim ... e la voce di Brunella Selo. Magia pura.
Ciccibbacco (quante doppie, non riesco manco a pensarle), cantato in napoletano, con cuore e ironia tipica dei partenopei e un'intro di mandolino importante. Direi pure filmica, per un film tra Woody Allen e Troisi (forse lo potrebbe fare Turturro).
Da segnalare anche De frente pro crime, pezzo sostenuto da fiati impressionanti, che ti portano a Rio, come il cantato di Brunella e Robertinho Bastos (anche percussioni).
Veramente forte l'interpretazione della solenne Shinà di C. Buarque de Hollanda con archi a iosa, la chitarra classica a dare il ritmo e una voce al massimo della sua estensione...
Ma è tutto un disco da ascoltare, respirare, amare ...e molto belle le parole di Brunella Selo a chiusura dell'intervista, che faccio mie: spero che l’Italia torni ad occuparsi di cultura, arte e musica, perché la politica di questi ultimi decenni ha mortificato la categoria degli artisti in modo vergognoso. Un paese che non cura questo aspetto è un paese morto.
Mi piace molto la cultura napoletana. Sto cercando di aprire Spotify solo per ascoltare questa musica. Spero di riuscirci. Mi piace anche la tua intervista multicolore. Un abbraccio
Mi fa piacere, che a distanza di qualche mese si ascolti e commenti il post. Spero che tu sia riuscito ad ascoltare il disco Clarke.
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