Ogni nuovo disco è la
prosecuzione di un percorso e di una necessità interiore rivolti a nuove
declinazioni. Nonostante Lumen abbia
radici comuni con i precedenti lavori, trovo che sia profondamente diverso da
quello che ero e apra delle porte che erano ancora socchiuse.
Perché l’hai intitolato così?
Il Lumen è l’unità di misura del
flusso luminoso. Solo un titolo così luminoso poteva abbracciare questi brani.
Come è stata la genesi dell’album, dall’idea
iniziale alla sua realizzazione finale?
Lumen è la terza tappa di un percorso di scrittura e quindi non ha una genesi
diversa dai precedenti lavori, tutto inizia con l’esigenza di scrivere canzoni.
Una volta scritti alcuni pezzi ho capito e deciso in quale territorio sonoro
dovevo attingere per dar loro la veste finale. Quello che desideravo per Lumen era una commistione tra un suono sixty con una venatura psichedelica con
gli strumenti che lo caratterizzano e che amo, come il piano rhodes e il
mellotron, l’attitudine di un certo tipo di musica dei ‘90 e il cantautorato
italiano della vecchia scuola, Endrigo e Tenco tra i primi. A differenza dei
precedenti dischi ho lavorato molto anche in fase di arrangiamento con i
musicisti che mi seguono e che adesso fanno parte del contenitore Hibou moyen (Nico
Pistolesi, Giuliano Franchi e Stefano Giuggioli) potendo, anche grazie a loro,
realizzare l’amalgama sonoro che avevo in testa, lasciando loro lo spazio per
apportare il proprio contributo artistico. Gli
scheletri delle comete e Ogni buio
sono due brani scritti a più mani con Nico e Giuliano ad esempio. In fase di
registrazione e mixaggio mi sono rivolto ad Andrea “Duna” Scardovi con cui
avevo già collaborato in Fin dove non si
tocca affidandomi alla sua professionalità e pazienza. Amando il calore
dell’analogico abbiamo usato tutti strumenti vintage registrandoli su nastro,
voce inclusa, e persino molti effetti nel mix lo sono. Ad esempio i riverberi
del piano e della voce sono stati creati ripassando le tracce, attraverso un
trasduttore, in un “primitivo” riverbero a molla ottenendo un calore e una
profondità dal gusto retrò.
Qualche episodio che è rimasto nella memoria durante
la lavorazione di Lumen?
I ricordi e gli aneddoti sono molti ma parlerei di sensazioni più che di
ricordi. Ho scritto molti brani per Lumen,
è stato un momento di creatività molto fervido, poi ho scelto quelli che meglio
rappresentavano un continuum narrativo e sonoro, sia per una volontà artistica
che per mancanza di risorse economiche. Produrre un disco suonato con strumenti
veri costa molto e se non hai finanziatori alle spalle non puoi permetterti
grandi slanci. Sono molto orgoglioso del risultato finale, soprattutto
considerando che tutti gli strumenti e la voce li abbiamo registrati in quattro
giorni e mixati in altri quattro. Una vera e propria gara a staffetta.
Le poche risorse rischiano di appiattire l’interiorità della fase di
scrittura e il processo di produzione in studio, ma Lumen aveva una sua struttura forte e la professionalità e la
competenza di chi ci ha suonato sono riuscite a contrastare questi limiti.
Inoltre è intervenuto Emanuele Biggi, caro amico e collega naturalista che presenta
Geo, finanziando il progetto, che ha reso possibile il risultato che puoi
ascoltare.
Se fosse
un concept-album su cosa sarebbe? … tolgo il fosse?
No, non è un concept-album. Ogni canzone ha una sua identità precisa e
bastevole a se stessa, ma il suono crea un continuum che rappresenta il filo rosso
che lega gli undici brani.
C’è qualche pezzo che preferisci? Qualche pezzo
del quale vai più fiero dell’intero disco? … che ti piace di più fare live?
Sono molto legato a Uragano, il
primo brano che ho scritto per Lumen,
Ruggine dei campi e La preghiera dei lupi, dove ritorna la
mia vena folk, e Avaria. Dal vivo mi
divertono molto Avaria e Bambina vipera. Ruggine dei campi è forse il brano che più amo per quello che
rappresenta per me. Serotonina invece
è un brano a cui tengo particolarmente che descrive un mio vissuto profondo. Il
senso di inadeguatezza è il male di questi tempi e si materializza come uno
spettro di angosce che, sole, colmano i periodi bui delle esistenze più
fragili. Avendo vissuto sulla mia pelle l’esperienza degli attacchi di panico
ho scritto questo brano per esorcizzare una pena che non trova mai conforto
nelle parole. Il grido liberatorio finale chiude il cerchio.
Private Stanze ancora una volta a produrre. Non riesco a immaginarti con
un’altra etichetta. E tu? Altre realtà dietro a Lumen da citare?
Con Luca Spaggiari, il fondatore dell’etichetta, siamo
amici e non abbiamo bisogno di arrivare a compromessi quindi avrei preteso di
uscire con la compartecipazione di Private Stanze anche se mi avesse offerto un
contratto la Parlophone. (ride) Del resto non essendo una musica modaiola non
c’era la fila delle etichette per accaparrarselo.
Copertina inedita: non c’è un disegno o una foto
di un paesaggio, ma un uomo di profilo. Sei tu? Come è nata questa copertina?
Sì, sono io. Ho sempre pensato che arrivato al terzo disco ci avrei messo
la faccia e così ho fatto. Avevo varie prove di copertina, ma alla fine sono
tornato all’idea iniziale della foto e così è stato. Matteo Bencini, caro amico
e grafico con cui lavoro da anni, ha fatto il resto.
Come presentate dal vivo il disco?
Dal vivo presentiamo il disco in formazione modulare a seconda delle
esigenze. Non è facile portare in giro un album in formazione completa, è un problema
comune alle band indipendenti. I brani però hanno un’ottima resa in quattro, in
duo e in solo. Del resto sono nati con chitarra e voce.
Anzi, senza forse: il suo disco migliore, senza se e senza ma ... 11 bei pezzi di rock vintage, acido e forte, con chitarre, hammond, e una voce cattiva a cantare cose piacevolmente sconce in italiano.
Undici pezzi che mi prendono bene a partire da Uragano, primo singolo, pop psichedelico molto fab four, per passare a Gli scheletri delle comete (che bel titolo), piacevole beat dal testo sfrontato e Bambina vipera, altro testo sfrontato con ottimi intrecci piano e hammond.
Critico rock del web. Pacifista integrale.
Collaboratore del sito della nota agenda
Smemoranda dalla lontana estate del 2003 e del Frigidaire cartaceo dall'autunno 2009. Dall'aprile 2017 collabora anche con Il Nuovo Male, e dall'estate del 2017 con il portale I Think Magazine, dall'autunno 2018 con MeLoLeggo.it. A gennaio 2018 fonda con Elle il sito L'ORTO DI ELLE E ALLI . Metà veneto, metà altoatesino (la mamma è dello stesso paese di Lilli Gruber), è nato nei primi anni Settanta, il giorno del compleanno di Jack Kerouac.
9 Commenti:
Piacere ospitare in palude amici musicanti come Hibou Moyen, qui al terzo passaggio con il terzo disco, Lumen, forse il suo disco migliore ...
Anzi, senza forse: il suo disco migliore, senza se e senza ma ... 11 bei pezzi di rock vintage, acido e forte, con chitarre, hammond, e una voce cattiva a cantare cose piacevolmente sconce in italiano.
Undici pezzi che mi prendono bene a partire da Uragano, primo singolo, pop psichedelico molto fab four, per passare a Gli scheletri delle comete (che bel titolo), piacevole beat dal testo sfrontato e Bambina vipera, altro testo sfrontato con ottimi intrecci piano e hammond.
E siamo solo ai primi tre pezzi ...
Che dire di Ogni buio, gran intro chitarra/piano e una voce ispiratissima per un folk-rock intenso, con un testo a metà strada tra Bukowski e Tenco?
Che dire di L'eruzione, inno alla rivoluzione cantato al piano, surreale e iconoclasta con un testo da mandare a memoria e una melodia che prende?
Che dire Era estate omaggio a Sergio Endrigo per una canzone d'amore senza tempo con chitarre, violini, organi e tanta, tanta malinconia?
Ma vi potevo citare anche Ruggine nei campi, Serotonina, Martha, Avaria, La preghiera dei lupi, cioè tutto il disco.
Consiglio spassionato: rimante chiusi dentro e ascoltatelo bene ... poi, quando sarà possibile uscire, cercate di prenderlo vivo.
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