NOTE
SINTETICHE ALL’ASCOLTO DEL DISCO
GENERE: funk, techno-soul, nu-disco,
world grooves, elettronica
DOVE ASCOLTARLO (in parte o tutto) QUI
LABEL: Irma Records
PARTICOLARITA’: “Giuriamo di produrre groove,
nient'altro che groove”
CITTA’: Dolomiti
DATA DI USCITA: 1 aprile 2016
Come è nato Erasing Rock?
L’album è nato con l’intenzione di fare qualcosa che
piacesse in primo luogo a noi stessi, senza troppi pensieri, a partire dalla
nostra passione per il funk. A dir la verità, il funk è una cosa molto
particolare, meno genere che stile, meno hamburger che melanzane alla
parmigiana. Noi lo vediamo come un modo di fare musica dove l’enfasi risiede
nel collettivo e dove, al tempo stesso, sarebbe impossibile concepire un
collettivo senza il contributo indispensabile di ogni individuo. Erasing Rock ha così preso forma, forse
tardivamente (Michele, Elisa ed io, Carlo, ci conosciamo da tanti anni e in
passato abbiamo collaborato a vari progetti), da interessi più o meno comuni e,
sostanzialmente, da una profonda stima reciproca.
Perché questo titolo? …
Erasing Rock, il brano che dà il titolo all’album, è nato durante
una jam col tastierista dei The Hoo, Anthony Malka, col quale ci siamo
divertiti a immaginare un supereroe che si era imposto di cancellare i generi
musicali fintantoché fossero motivo di diatribe. Secondo questo personaggio di
fantasia, ognuno avrebbe dovuto sentirsi libero di suonare quello che voleva a
seconda dell’ispirazione e con l’unico imperativo del groove, senza temere
ostracismi o ripercussioni ideologiche. Siccome era uno tosto, ha deciso di
cominciare col cancellare il rock, vera pietra filosofale dell’autenticità
secondo un certo gotha della critica musicale.
Erasing Rock ha però
almeno una seconda lettura, che si rifà alla nostra origine alpina e vede
nell’erosione della roccia una metafora del passare del tempo come disfacimento
di cose e certezze. In certi casi, il tempo, in maniera insperata, riesce a
produrre capolavori come le Dolomiti.
Come è stata la genesi del cd, dall’idea iniziale alla sua realizzazione
finale?
La nostra intenzione era di realizzare un lavoro che
rispecchiasse il nostro interesse per la musica elettronica e il funk senza
sacrificare né la scrittura di canzoni né quegli aspetti della performance non
pienamente riducibili in bit. Abbiamo quindi cercato di dare enfasi alla
vocalità di Elisa e agli strumenti acustici ed elettrici – in particolare,
Michele al basso e io a vari strumenti a corda (chitarra, mandolino e saz) e al
talkbox, un effetto vocale che in alcuni brani fa da controcanto o da armonia
alle parti di Elisa. Tutto questo senza utilizzare quantizer, autotune o altri
trucchi mefistofelici. Per le parti elettroniche – sintetizzatori, strumenti
virtuali, no-input mixer e processori hardware e digitali – invece non ci siamo
posti alcun limite.
Qualche episodio che è rimasto nella memoria durante la lavorazione del
disco?
Lavorare in un home studio, con un vicino che ti suona
per dirti di parcheggiare meglio la macchina, non è il massimo del glamour. Le
collaborazioni però possono sempre portare una ventata di novità nella routine
di una band, come quando da piccolo all’inizio del nuovo anno scolastico ti
ritrovavi in classe un nuovo compagno. Tra i momenti più memorabili cito la
collaborazione con Mauro Andreolli (Das Ende der
Dinge), che ha curato sapientemente e meticolosamente il mastering,
quella con Marco Pisoni ed Emiliano Tamanini, che hanno dato ulteriore
incisività al groove di Motorbike con
i loro fiati, e quella con Chris “Agenda” Lartey, voce narrante in Motorbike. Poiché Chris ama raccontare
le sue avventure giovanili in Ghana, un giorno gli ho proposto di registrare
alcune di queste storie. Una di esse, a proposito di un viaggio in motocicletta
attraverso le strade del suo paese natale alla ricerca di una donna misteriosa,
ha fornito lo spunto letterario per Motorbike.
Se questo cd fosse un concept-album su cosa sarebbe? … anche senza volerlo.
Non saprei, se intendi un filo comune a livello di
testi mi verrebbe da dire che varie canzoni trattano il tema della precarietà: Motorbike ha a che fare con quel labile
senso di vergogna che a volte accompagna i ricordi, Falling Apart tratta dell’ineludibile ma pur sempre tardivo
tramonto di despoti, tiranni e premier arroganti, Like the Dolomites, più pragmaticamente, affronta le difficoltà del
precariato dei lavoratori della cultura. Ammettere però che la precarietà sia
il collante di un’idea così forte come quella del concept album sembrerebbe una
contraddizione. Preferisco quindi pensare a un concept a livello di sound e
intenzione, un “giro del mondo in ottanta groove”.
C’è qualche pezzo che preferite?
Qualche pezzo del quale andate più fieri dell’intero album?… che vi piace di
più fare live?
Esprimere delle preferenze sarebbe ingiusto, prima di
tutto nei nostri stessi confronti. Se avessimo considerato qualche brano inferiore
avremmo fatto un EP invece di un album. Non voglio sembrare presuntuoso, al
contrario: se una canzone non ci piacesse e ciononostante pretendessimo che
altri la ascoltino, quello sì sarebbe arrogante.
Stando comunque al gioco, scelgo il primo brano che
abbiamo realizzato, Run, con una
parte vocale e un testo da brividi scritti da Elisa, e l’ultimo in ordine
temporale, Falling Apart, un gospel laico
concepito, registrato e aggiunto in extremis alla playlist quando l’album era
già in dirittura d’arrivo. In mezzo ci metto Motorbike, un brano che potrebbe star su da solo togliendo tutto
tranne la linea di basso di Michele.
Dal vivo, ci siamo recentemente divertiti parecchio a
rifare Controversy di Prince (quanto ci
manca!).
Il cd è uscito con la prestigiosa e
sofisticata Irma Records … come vi siete trovati? Altre realtà attorno al disco
da citare assolutamente?
L’album in realtà è nato senza pensare al mondo
discografico. Questo forse si intuisce già a un primo ascolto, siccome, come ci
hanno fatto notare, il suo contenuto è piuttosto inclassificabile: sforzandomi
di essere analitico, riconosco che possa presentarsi come uno stravagante
pot-pourri di soul, musica elettronica, jungle, colonne sonore di Bollywood, jazz, disco e techno. Eppure, per una
fortunata coincidenza (a questo proposito dobbiamo ringraziare Antonia Peressoni dell’agenzia stampa Sbam), il disco è giunto in Irma Records, che ha
deciso di prenderci sotto le sue ali protettive. Inutile dirlo, per noi, che
siamo cresciuti a pane, Jestofunk e “Fight da Faida”, è stata una grande
soddisfazione, anzi, un vero e proprio traguardo inseguito a lungo, siccome già
una decina di anni fa, con un progetto diverso, provammo a farci ingaggiare
dall’etichetta bolognese. Insomma, la Irma rappresenta parte fondante della
storia della musica e per noi è motivo di orgoglio essere accostati a essa.
Copertina magica, direi in linea con la vostra musica. Come è nata e chi è l’autore? Prima o dopo il disco? … durante?
Il design della copertina e il nostro logo sono stati
realizzati da Marco Ricci (Reifeströmung) e
hanno il merito di contribuire artisticamente al progetto musicale. Sebbene la
copertina sia stata realizzata quando il master era già pronto, io stesso,
quando ascolto i brani con quella stella multicolore su sfondo bianco davanti
agli occhi, come per effetto di una sinestesia ho la sensazione che i beat
siano più carichi, le parti vocali più incisive, le canzoni più multiformi che
mai. Marco è un artista a tutto tondo, oltre che grafico è anche musicista e ciò
lo rende particolarmente intuitivo riguardo alle potenzialità di una buona comunicazione
in ambito musicale.
Come e dove avete
presentato/presenterete l’album? …
Nel live, che stiamo inaugurando in questi giorni, ci
siamo posti l’obiettivo di utilizzare l’elettronica senza rinunciare
all’estemporaneità: il funk è anche libertà e non va tenuto sotto costrizione,
sarebbe come chiudere un uccello in una gabbia. Vorremmo essere liberi di
modificare entro certi limiti le strutture dei brani, di improvvisare e, in
genere, di lasciare quel grado di imprevedibilità indispensabile per costruire
un rapporto col pubblico hic et nunc.
La performance, dopo tutto, implica una reciprocità tra artista e pubblico e
bisogna avere il coraggio di mettersi in gioco introducendo degli elementi di
rischio. Al tempo stesso, vorremmo essere fedeli alle canzoni che presentiamo,
poiché ognuna di esse ha una sua ragion d’essere legata anche al momento in cui
è stata concepita: si tratta quindi di trovare il giusto equilibrio tra
programmazione ed emancipazione espressiva – un equilibrio che contiamo di
raggiungere con questo live.
Altro da dichiarare?
Siccome mi sembra sempre di non parlarne abbastanza,
vorrei aggiungere qualcosa a proposito del funk.
Il funk è il risultato dell’interazione
delle diverse menti musicali, che, pur restando ben distinte l’una dall’altra, possono
ambire a un’unità di intenti grazie a disciplina e ascolto reciproco. Ci sembra
quindi che il funk rappresenti la
possibilità di un amalgama tra senso della collettività e unicità
dell’espressione individuale, una sorta di utopia sonora. La musica parte dal movimento e quando ritorna al movimento
succede qualcosa di magico: il ballo, senza cui la musica sarebbe incompleta, è
groove che si fa materia. Per questo,
abbiamo un rispetto particolare per tutte le musiche popular destinate primariamente al ballo – dall’hip-hop alla house music, dalla techno
alla disco, dalla salsa al reggaeton, dal bhangra all’highlife, dal samba al boogaloo.
D’altronde, alcuni tendono ad attribuire un valore culturale più alto alle
musiche che pretendono un ascolto attivo cerebralmente ma passivo
corporalmente, non rendendosi conto che in questo modo stanno promuovendo un
consumo musicale classista, eurocentrico e individualista. Forse dovremmo tutti
lasciarci più andare: come dicevano gli Chic, “Feel the rhythm, check the ride
/ Come on along and have a real good time”.
Etichette: Antonia Peressoni, Chic, Dolomiti, Elettronica, Erasing Rock, Funk, In palude con ..., Intervista, Irma records, Les Jeux Sont Funk, nu-disco, Prince, SBAM, techno-soul, Trentino Alto Adige, world grooves
9 Commenti:
Musica veramente coinvolgente, continuo a cantare alcuni pezzi, battendo la coda con ritmo, dopo averlo ascoltato tre volte questa sera ...
Sì, un disco veramente coinvolgente, dinamico, con tanti generi che vi faranno torcere e urlare ... in un certo senso.
Pezzi preferiti? Verrebbe da dire tutti, ma, con la solita pistola puntata alla testa dico: il pezzo che apre il disco Shyam, dal passo lento, una bella voce di donna che poi ci accompagnerà per quasi tutti gli altri pezzi, e un'atmosfera da sogno (Thievery Corporation?), e momenti arabeggianti ... poi il pezzo che chiude, Like the Dolomites danzereccia dedica alle Dolomiti, tanto care alla band (ti sembra di vederli scalare). Stupende anche le canzoni poste a metà, tipo Falling Apart, con superbo organo soul, e Jamming on the One grandi vibrazioni date anche da una chitarra molto malinconica. E poi, come non citare la title-track?... dalla voce robotica.
E voi? ... ascoltate e dite, orsù ..
... e poi, wow, che cover!
Il funk mi piace, mi piace quindi tutto l'album, nessuna canzone esclusa. Diverso da ciò che conosco (molto poco, come noto), eppure mi ricorda la mia giovinezza, come se fosse stato lì, fra le mie compilation di allora.Torno a volteggiare ringiovanita, ciao. Bravissimi tutti!
... e l'Alligatore rinvigorito volteggia con te! In palude ...
Da ballare, da divertirsi....bel prodotto...Bravi!
Bacio Alli!
Grazie Nella!
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