Buon viaggio Albert
Come saprete, martedì notte è partito per l’ultimo viaggio Albert Hofmann. Aveva 102 anni, ma non sarà ricordato solo per questo record, egli infatti è lo scopritore dell’LSD. Scoperta quasi casuale, avvenuta nella primavera del 1943, che ha influito in maniera determinante sull’arte e la scienza del secolo scorso. La Cultura, soprattutto la Cultura Rock, non sarebbe stata la stessa senza di lui. Ecco perché mi pare giusto riproporre un mio racconto, già apparso sul sito di Smemoranda in occasione del compleanno n.100 di Albert Hofmann: Un bambino difficile ma esemplare.
Si tratta di una cover di un famosa novella di fantascienza di Fredric Brown. Parte del titolo è preso in prestito da LSD, Il mio bambino difficile, magnifico libro dello stesso Hofmann, nel quale lo scienziato svizzero ci parla della sua fortunosa scoperta, facendoci partecipi dei successivi test, degli incontri con artisti e scienziati, delle ricerche in Messico per cercare la stretta parentela tra LSD e funghi allucinogeni, delle sue perplessità sull’uso ludico del prodotto. Da leggere assolutamente questo libro.
INTANTO LEGGI LA MIA COVER
Si tratta di una cover di un famosa novella di fantascienza di Fredric Brown. Parte del titolo è preso in prestito da LSD, Il mio bambino difficile, magnifico libro dello stesso Hofmann, nel quale lo scienziato svizzero ci parla della sua fortunosa scoperta, facendoci partecipi dei successivi test, degli incontri con artisti e scienziati, delle ricerche in Messico per cercare la stretta parentela tra LSD e funghi allucinogeni, delle sue perplessità sull’uso ludico del prodotto. Da leggere assolutamente questo libro.
INTANTO LEGGI LA MIA COVER
Un bambino difficile ma esemplare
Finalmente un lavoro anche per me, bambino difficile alle soglie dei trent’anni. Chiamarlo lavoro è forse un’esagerazione, ma non mi viene in mente nessun altro termine al momento e allora lascio la pagina così.
L’avevo trovato sul giornale nella rubrica LAVORO&IMPIEGO, per l’appunto.
Diceva:
ANNUNCIO VIETATO
ai figli di papà;
agli sfaticati;
ai mediocri.
RISERVATO A
giovani determinati;
svegli;
con le palle
Non è che m’interessasse particolarmente lavorare per un tipo che spediva un annuncio del genere, ma desideravo tanto vederlo in faccia. Doveva essere un cazzone di quelli belli grandi ‘sto qua, però dotato di fantasia. Si fantasia, avete capito bene. Dico questo, perché i cazzoni come lui solitamente si limitavano a scrivere il classico quanto assurdo e poco coraggioso ASTENERSI PERDITEMPO, in fondo all’annuncio. Lui no, desiderava far sapere ai suoi futuri dipendenti che li voleva giovani, determinati, svegli, e soprattutto con due palle grosse così. Niente figli di papà, sfaticati e mediocri, per carità. Meglio capirsi al volo. In questo modo non si rischia di perdere tempo. Come si dice? Il tempo è denaro, no?
Così decisi di andarlo a vedere questo cazzone.
Baffettini grigi, capelli radi e pancetta nascosta male. Un architetto che stava ristrutturando delle casupole, dove vi aveva dimorato della povera gente fatta allontanare con la forza. Voleva costruire un grosso centro commerciale con tanto d’appartamentini fichi per gente fica.
“È la tua prima occupazione, mi hai detto?” s’informò lui dopo le solite presentazioni.
“Si. Ho lasciato l’università e da allora non ho fatto più nulla di concreto… a parte qualche lavoretto.”
“Bravo, è così che si deve fare. Anche questo è un lavoretto, non so se mi spiego… Insomma, per farla breve, tu devi ripulire per bene questi appartamenti: staccare prese, lampadari, ecceteraeccetera, e gettare tutto dalla finestra. Devono venire svuotate completamente queste catapecchie. Ci metterai un paio di giorni… tre al massimo. Ti pagheremooo… alla fine. Ti pagheremooo…” non gli veniva la parola.
“In nero.” l’aiutai a completare la frase.
“Proprio così. Mi hai rubato le parole di bocca. Poi, la settimana prossima, se avremo bisogno ancora di te, ti richiameremo ecceteraeccetera. Lascia i tuoi dati alla segretaria: nome, cognome, indirizzo ecceteraeccetera… e non ti preoccupare se in giro vedi qualche squatter. Gli abbiamo scacciati dai nostri appartamentini, qualcuno di loro forse tenterà di rientrare… Comunque, in zona ci saranno sempre delle volanti pronte ad intervenire… A dire la verità, lo squatter è solo uno. Gli altri sono tutti dei vecchietti ecceteraeccetera che non hanno opposto nessuna resistenza. Non ti preoccupare, non rischi la pelle ecceteraeccetera.”
“Non vorrei rischiare le palle…sono giovane, determinato e…” buttai lì per ridere.
“Si, si,” disse senza darmi ascolto. “Vai pure dalla segretaria, poi al lavoro. Sono contento per te e un po’ t’invidio, giovane alle prime armi…ah, ah, ah!”
M’invidiava l’architetto Ecceteraeccetera. Chissà se m’invidiava pure il puzzo di chiuso degli appartamentini, i ragni giganteschi che vi dimoravano con le loro artistiche ragnatele e la brutta impressione di toccare qualche scorpione ogniqualvolta raccattavo su qualcosa. Sarà stata forse una paura assurda la mia, ma quando prendevo in mano giornali impolverati, libri ammuffiti o quadri incollati ai muri, temevo sempre di svegliare dal suo letargo quel temibile insetto.
Nel primo appartamento il Che mi fissava dalla parete. Un Che Guevara moltiplicato per nove. Non quello classico, in nero su sfondo rosso, divenuto uno dei poster più gettonati della storia, ma uno in stile pop-art, alla maniera di Andy Warhol. Forse una riproduzione di un suo lavoro, chi lo sa? Un Che Guevara di tutti i colori, privato della mitica scritta HASTA LA VICTORIA SIEMPRE.
Molto probabilmente mi trovavo nell’ex dimora del temutissimo squatter: qualche libro di filosofia, alcuni volumi di fantascienza con Philip K. Dick a farla da padrone, musicassette doppiate di musica etnica, una foto di Genova 2001 con dei giovani che portavano un’enorme bandiera del Che (quello classico, stavolta). Niente armadio e niente comodini nell’enorme stanza da letto. Solo un lettone matrimoniale al centro e un vecchio pesantissimo comò accanto.
Anche la sala da pranzo, l’annesso salottino, il piccolo bagno, si presentavano quasi completamente spogli. Meglio così: liberai il tutto in fretta e furia ricevendo i complimenti dell’architetto Eccetteraeccetera passato a controllarmi.
Dopo la prima, sistemai la catapecchia di un anziano signore. Anche questa appariva molto piacevolmente nuda; solo logori mobili distribuiti male e una parete rivestita quasi completamente dalle foto in bianco e nero di una giovane donna. Poteva benissimo essere la moglie dell’anziano ex inquilino, quella donna. Non vi si trovavano foto recenti, ma solo immensi sorrisi d’epoca in bei vestiti preparati per l’occasione.
Che fosse morta da parecchi anni?
Non c’erano né libri né riviste, che tristezza. A rendere la dimora ancora più fosca notai alcune gabbie vuote per uccelli, un mazzo di strane carte e un’infinità di scatolette di medicinali. Controllai tutte le scatolette con una pignoleria inedita: alcune di queste presentavano una data di scadenza molto vecchia. Ne trovai una prodotta in Svizzera addirittura nel 1964. Si leggeva a malapena il nome: DELYSID (ndr nome commerciale dell’LSD quando veniva legalmente venduto dalla casa farmaceutica elvetica Sandoz).
A cosa serviva? mi domandai incuriosito.
Non l’avevo mai vista prima questa medicina. La lunga e stretta confezione del DELYSID conteneva alcune fiale incolori da 0,1 mg. Mentre cercavo di estrarne una dal suo alloggiamento, la scatola lunga e stretta mi sfuggì di mano, scivolò sul pavimento rompendosi dannatamente in mille fragili vetri. Il liquido gironzolava libero e gioioso dopo molti anni di prigionia. Se ne poteva trovare un po’ sulle mie scarpe, qualche goccia sui jeans e tutto il resto deliziosamente per terra.
Cercai di raccattare la poltiglia per mezzo di una cazzuola. Con la mano, attento a non tagliarmi, spinsi i vetri su di essa. Quindi, gettai tutto in un secchio. Mi accorsi solo alla fine di una piccola ferita dalla quale usciva un po’ di sangue. Inavvertitamente presi a ciucciarmi il dito e poi ricominciai a sfacchinare.
Il lavoro di sgombero, rivelatosi più faticoso del previsto, mi spinse a adagiarmi timidamente sul logoro divano giallo vomito. Temevo fosse infestato da insetti pericolosi, forse anche scorpioni, però la stanchezza prese il sopravvento su di me costringendomi alla resa.
Sonnecchiante e vuoto me ne stavo adagiato nell’attesa della pausa pranzo. Come prime ore di lavoro mi pareva potessero bastare. Mancavano all’incirca una trentina di minuti alle dodici.
Dopo quasi un quarto d’ora una nebbiolina di fumo bluastro inondò la stanza. La sensazione di vuoto e leggerezza si faceva dentro me sempre più concreta. Mi pareva quasi di volare. Le campane annuncianti mezzogiorno risuonarono strambe, monotonamente decise:
DLOON, DLOOON, DLOOOON!
Mai prima d’ora l’annuncio della pausa pranzo mi era parso così intenso e invadente. Si, lo so, prima di allora la pausa pranzo per il sottoscritto non esisteva, essendo io un disoccupato, ma quello che intendo dire è che le campane suonavano diverse dal solito. Esse parevano partire direttamente dall’interno del mio padiglione auricolare e continuare all’infinito in una melodia lunatica, una melodia arricchita da note nuove sconosciute ai più, una melodia densa e terrificante, figlia di qualche geniale mente psichedelica. Syd Barret era forse tornato tra di noi?
DLOON, DLOOON, DLOOOON!
Ad un certo punto, le campane si rivelarono alla mia vista sostituendo il lampadario. Il soffitto mancava ed esse mi sorridevano maligne e splendenti sopra la mia testa: lassù nel cielo, con il batacchio luccicante e tutto il resto a farmi sgradita compagnia.
Che cosa mi stava mai accadendo? Ero forse allergico al lavoro? Mia madre aveva ragione allora.
Scomparse le campane e il loro fastidiosissimo rumore, mi parve di essere ritornato in me. Questa sensazione non durò molto, però. Dopo quel piccolo istante di ritrovata serenità s’innalzò improvvisa ed inaspettata la coda imponente di uno spaventoso scorpione nero. E poi tutto il suo corpo. Sulla sua schiena potevo ammirare un turbinante contrasto di perline colorate. Perline dipinte con una tonalità vivida e potente. Uno scorpione bello da morire. Uno scorpione grande da impazzire. Sempre più vicino a me.
Soffocai un gemito di terrore. Cercai di razionalizzare meglio che potevo. L’impresa si rivelò ardua di fronte a quel bestione magico e impossibile… Si, impossibile. Questa dolce parolina passata quasi per caso nel mio cervello cancellò per sempre l’immagine dello scorpione, liberando la mente mia dall’allucinante sequestro.
Mi ritrovai sul divano giallo vomito, tranquillo e sereno come non mai. Dopo le campane e lo scorpione mi potevo aspettare qualsiasi cosa. Nonostante la ritrovata serenità non riuscivo a muovermi normalmente. Mi sembrava di possedere delle gambe molli e allungate. Faticavo da matti a scorgere i miei piedi laggiù in fondo, però non mi preoccupavo della cosa perché le mani, anch’esse mostruosamente allungate, riuscivano a toccare i lacci. Quei lacci rossi e lucenti che presero l’inedita iniziativa di staccarsi dalle mie clark per imprigionarmi al divano. Mi legarono orribilmente ad esso impedendomi qualsiasi movimento autonomo. Poi nella stanza atterrò un’astronave. Una navicella spaziale di tipo classico: tondeggiante, variopinta e silenziosissima. Ne discesero due strani esseri. Il loro corpo era formato da grandi rotelle di liquirizia spruzzate di verde smeraldo.
“È vero che avete rapito la sorella di Fox Mulder?” mi saltò in mente di chiedergli non appena li vidi.
“Non conosciamo Fox Mulder,” mi rispose uno dei due extraterrestri.
La sua voce, metallica come ve l’aspettereste, mi tranquillizzò un attimo. “Inserisci l’ago nel braccio sinistro,” ordinò il capo della missione.
“Hei! Un momento. Perché mi fate questo?” gridai impaurito in un raro momento di lucidità.
“Terrestre, collabora con noi e non ti sarà torto un capello. Stiamo solo eseguendo un’analisi per saggiare le capacità fisiche della tua razza. Se corrisponderanno alle nostre esigenze invaderemo il pianeta per colonizzarlo e schiavizzare i tuoi simili. Tu diventerai un esemplare da collezione. Un’esemplare che esporremo nel nostro zoo più importante.”
“Allora non è per niente vero che voi extraterrestri siete sul nostro pianeta da molti anni e collaborate segretamente con alcuni governi occidentali. Fox Mulder si è sbagliato, chiapperi!”
“Non conosciamo questo tuo amico… Fox Mulder?”
“Non è un mio amico. È solo il protagonista di una serie televisiva molto interessante alla quale credevo ciecamente. Non la fanno più in televisione adesso. Speriamo producano qualche film per il cinema. Il primo che hanno fatto era veramente bello.”
“Non l’abbiamo visto… Allora! Il responso delle analisi del sangue?”
“Cazzarola, credo sia meglio abbandonare la terra…”
“Spiegati meglio. Cosa dicono le analisi?”
“Il suo metabolismo dipende completamente dall’LSD, la sostanza che indica la strada della verità e della saggezza.”
“LSD? Non ci voleva. Questi esseri sono molto più intelligenti di quello che credevamo. Non bisogna mai giudicare dai governanti al potere.”
“Già. È meglio che scappiamo via prima che sia troppo tardi…”
Gli extraterrestri raggiunsero la loro navicella ad una velocità incredibile, mentre i lacci delle mie scarpe ritornarono al loro posto con altrettanta rapidità.
Libero, finalmente libero. Non volevo più lavorare in questo appartamento e neppure negli altri. L’architetto Ecceteraeccetera poteva andare a farsi fottere. Qualche giovane sveglio e con le palle lo avrebbe di certo trovato. Io ne avevo abbastanza. Inforcai la mia bicicletta e raggiunsi casa in tutta calma. Un viaggetto soave, lento, esaltante. Ridevo come un imbecille senza sapere il perché. Non capivo nulla ma mi sembrava bellissimo.
Finalmente un lavoro anche per me, bambino difficile alle soglie dei trent’anni. Chiamarlo lavoro è forse un’esagerazione, ma non mi viene in mente nessun altro termine al momento e allora lascio la pagina così.
L’avevo trovato sul giornale nella rubrica LAVORO&IMPIEGO, per l’appunto.
Diceva:
ANNUNCIO VIETATO
ai figli di papà;
agli sfaticati;
ai mediocri.
RISERVATO A
giovani determinati;
svegli;
con le palle
Non è che m’interessasse particolarmente lavorare per un tipo che spediva un annuncio del genere, ma desideravo tanto vederlo in faccia. Doveva essere un cazzone di quelli belli grandi ‘sto qua, però dotato di fantasia. Si fantasia, avete capito bene. Dico questo, perché i cazzoni come lui solitamente si limitavano a scrivere il classico quanto assurdo e poco coraggioso ASTENERSI PERDITEMPO, in fondo all’annuncio. Lui no, desiderava far sapere ai suoi futuri dipendenti che li voleva giovani, determinati, svegli, e soprattutto con due palle grosse così. Niente figli di papà, sfaticati e mediocri, per carità. Meglio capirsi al volo. In questo modo non si rischia di perdere tempo. Come si dice? Il tempo è denaro, no?
Così decisi di andarlo a vedere questo cazzone.
Baffettini grigi, capelli radi e pancetta nascosta male. Un architetto che stava ristrutturando delle casupole, dove vi aveva dimorato della povera gente fatta allontanare con la forza. Voleva costruire un grosso centro commerciale con tanto d’appartamentini fichi per gente fica.
“È la tua prima occupazione, mi hai detto?” s’informò lui dopo le solite presentazioni.
“Si. Ho lasciato l’università e da allora non ho fatto più nulla di concreto… a parte qualche lavoretto.”
“Bravo, è così che si deve fare. Anche questo è un lavoretto, non so se mi spiego… Insomma, per farla breve, tu devi ripulire per bene questi appartamenti: staccare prese, lampadari, ecceteraeccetera, e gettare tutto dalla finestra. Devono venire svuotate completamente queste catapecchie. Ci metterai un paio di giorni… tre al massimo. Ti pagheremooo… alla fine. Ti pagheremooo…” non gli veniva la parola.
“In nero.” l’aiutai a completare la frase.
“Proprio così. Mi hai rubato le parole di bocca. Poi, la settimana prossima, se avremo bisogno ancora di te, ti richiameremo ecceteraeccetera. Lascia i tuoi dati alla segretaria: nome, cognome, indirizzo ecceteraeccetera… e non ti preoccupare se in giro vedi qualche squatter. Gli abbiamo scacciati dai nostri appartamentini, qualcuno di loro forse tenterà di rientrare… Comunque, in zona ci saranno sempre delle volanti pronte ad intervenire… A dire la verità, lo squatter è solo uno. Gli altri sono tutti dei vecchietti ecceteraeccetera che non hanno opposto nessuna resistenza. Non ti preoccupare, non rischi la pelle ecceteraeccetera.”
“Non vorrei rischiare le palle…sono giovane, determinato e…” buttai lì per ridere.
“Si, si,” disse senza darmi ascolto. “Vai pure dalla segretaria, poi al lavoro. Sono contento per te e un po’ t’invidio, giovane alle prime armi…ah, ah, ah!”
M’invidiava l’architetto Ecceteraeccetera. Chissà se m’invidiava pure il puzzo di chiuso degli appartamentini, i ragni giganteschi che vi dimoravano con le loro artistiche ragnatele e la brutta impressione di toccare qualche scorpione ogniqualvolta raccattavo su qualcosa. Sarà stata forse una paura assurda la mia, ma quando prendevo in mano giornali impolverati, libri ammuffiti o quadri incollati ai muri, temevo sempre di svegliare dal suo letargo quel temibile insetto.
Nel primo appartamento il Che mi fissava dalla parete. Un Che Guevara moltiplicato per nove. Non quello classico, in nero su sfondo rosso, divenuto uno dei poster più gettonati della storia, ma uno in stile pop-art, alla maniera di Andy Warhol. Forse una riproduzione di un suo lavoro, chi lo sa? Un Che Guevara di tutti i colori, privato della mitica scritta HASTA LA VICTORIA SIEMPRE.
Molto probabilmente mi trovavo nell’ex dimora del temutissimo squatter: qualche libro di filosofia, alcuni volumi di fantascienza con Philip K. Dick a farla da padrone, musicassette doppiate di musica etnica, una foto di Genova 2001 con dei giovani che portavano un’enorme bandiera del Che (quello classico, stavolta). Niente armadio e niente comodini nell’enorme stanza da letto. Solo un lettone matrimoniale al centro e un vecchio pesantissimo comò accanto.
Anche la sala da pranzo, l’annesso salottino, il piccolo bagno, si presentavano quasi completamente spogli. Meglio così: liberai il tutto in fretta e furia ricevendo i complimenti dell’architetto Eccetteraeccetera passato a controllarmi.
Dopo la prima, sistemai la catapecchia di un anziano signore. Anche questa appariva molto piacevolmente nuda; solo logori mobili distribuiti male e una parete rivestita quasi completamente dalle foto in bianco e nero di una giovane donna. Poteva benissimo essere la moglie dell’anziano ex inquilino, quella donna. Non vi si trovavano foto recenti, ma solo immensi sorrisi d’epoca in bei vestiti preparati per l’occasione.
Che fosse morta da parecchi anni?
Non c’erano né libri né riviste, che tristezza. A rendere la dimora ancora più fosca notai alcune gabbie vuote per uccelli, un mazzo di strane carte e un’infinità di scatolette di medicinali. Controllai tutte le scatolette con una pignoleria inedita: alcune di queste presentavano una data di scadenza molto vecchia. Ne trovai una prodotta in Svizzera addirittura nel 1964. Si leggeva a malapena il nome: DELYSID (ndr nome commerciale dell’LSD quando veniva legalmente venduto dalla casa farmaceutica elvetica Sandoz).
A cosa serviva? mi domandai incuriosito.
Non l’avevo mai vista prima questa medicina. La lunga e stretta confezione del DELYSID conteneva alcune fiale incolori da 0,1 mg. Mentre cercavo di estrarne una dal suo alloggiamento, la scatola lunga e stretta mi sfuggì di mano, scivolò sul pavimento rompendosi dannatamente in mille fragili vetri. Il liquido gironzolava libero e gioioso dopo molti anni di prigionia. Se ne poteva trovare un po’ sulle mie scarpe, qualche goccia sui jeans e tutto il resto deliziosamente per terra.
Cercai di raccattare la poltiglia per mezzo di una cazzuola. Con la mano, attento a non tagliarmi, spinsi i vetri su di essa. Quindi, gettai tutto in un secchio. Mi accorsi solo alla fine di una piccola ferita dalla quale usciva un po’ di sangue. Inavvertitamente presi a ciucciarmi il dito e poi ricominciai a sfacchinare.
Il lavoro di sgombero, rivelatosi più faticoso del previsto, mi spinse a adagiarmi timidamente sul logoro divano giallo vomito. Temevo fosse infestato da insetti pericolosi, forse anche scorpioni, però la stanchezza prese il sopravvento su di me costringendomi alla resa.
Sonnecchiante e vuoto me ne stavo adagiato nell’attesa della pausa pranzo. Come prime ore di lavoro mi pareva potessero bastare. Mancavano all’incirca una trentina di minuti alle dodici.
Dopo quasi un quarto d’ora una nebbiolina di fumo bluastro inondò la stanza. La sensazione di vuoto e leggerezza si faceva dentro me sempre più concreta. Mi pareva quasi di volare. Le campane annuncianti mezzogiorno risuonarono strambe, monotonamente decise:
DLOON, DLOOON, DLOOOON!
Mai prima d’ora l’annuncio della pausa pranzo mi era parso così intenso e invadente. Si, lo so, prima di allora la pausa pranzo per il sottoscritto non esisteva, essendo io un disoccupato, ma quello che intendo dire è che le campane suonavano diverse dal solito. Esse parevano partire direttamente dall’interno del mio padiglione auricolare e continuare all’infinito in una melodia lunatica, una melodia arricchita da note nuove sconosciute ai più, una melodia densa e terrificante, figlia di qualche geniale mente psichedelica. Syd Barret era forse tornato tra di noi?
DLOON, DLOOON, DLOOOON!
Ad un certo punto, le campane si rivelarono alla mia vista sostituendo il lampadario. Il soffitto mancava ed esse mi sorridevano maligne e splendenti sopra la mia testa: lassù nel cielo, con il batacchio luccicante e tutto il resto a farmi sgradita compagnia.
Che cosa mi stava mai accadendo? Ero forse allergico al lavoro? Mia madre aveva ragione allora.
Scomparse le campane e il loro fastidiosissimo rumore, mi parve di essere ritornato in me. Questa sensazione non durò molto, però. Dopo quel piccolo istante di ritrovata serenità s’innalzò improvvisa ed inaspettata la coda imponente di uno spaventoso scorpione nero. E poi tutto il suo corpo. Sulla sua schiena potevo ammirare un turbinante contrasto di perline colorate. Perline dipinte con una tonalità vivida e potente. Uno scorpione bello da morire. Uno scorpione grande da impazzire. Sempre più vicino a me.
Soffocai un gemito di terrore. Cercai di razionalizzare meglio che potevo. L’impresa si rivelò ardua di fronte a quel bestione magico e impossibile… Si, impossibile. Questa dolce parolina passata quasi per caso nel mio cervello cancellò per sempre l’immagine dello scorpione, liberando la mente mia dall’allucinante sequestro.
Mi ritrovai sul divano giallo vomito, tranquillo e sereno come non mai. Dopo le campane e lo scorpione mi potevo aspettare qualsiasi cosa. Nonostante la ritrovata serenità non riuscivo a muovermi normalmente. Mi sembrava di possedere delle gambe molli e allungate. Faticavo da matti a scorgere i miei piedi laggiù in fondo, però non mi preoccupavo della cosa perché le mani, anch’esse mostruosamente allungate, riuscivano a toccare i lacci. Quei lacci rossi e lucenti che presero l’inedita iniziativa di staccarsi dalle mie clark per imprigionarmi al divano. Mi legarono orribilmente ad esso impedendomi qualsiasi movimento autonomo. Poi nella stanza atterrò un’astronave. Una navicella spaziale di tipo classico: tondeggiante, variopinta e silenziosissima. Ne discesero due strani esseri. Il loro corpo era formato da grandi rotelle di liquirizia spruzzate di verde smeraldo.
“È vero che avete rapito la sorella di Fox Mulder?” mi saltò in mente di chiedergli non appena li vidi.
“Non conosciamo Fox Mulder,” mi rispose uno dei due extraterrestri.
La sua voce, metallica come ve l’aspettereste, mi tranquillizzò un attimo. “Inserisci l’ago nel braccio sinistro,” ordinò il capo della missione.
“Hei! Un momento. Perché mi fate questo?” gridai impaurito in un raro momento di lucidità.
“Terrestre, collabora con noi e non ti sarà torto un capello. Stiamo solo eseguendo un’analisi per saggiare le capacità fisiche della tua razza. Se corrisponderanno alle nostre esigenze invaderemo il pianeta per colonizzarlo e schiavizzare i tuoi simili. Tu diventerai un esemplare da collezione. Un’esemplare che esporremo nel nostro zoo più importante.”
“Allora non è per niente vero che voi extraterrestri siete sul nostro pianeta da molti anni e collaborate segretamente con alcuni governi occidentali. Fox Mulder si è sbagliato, chiapperi!”
“Non conosciamo questo tuo amico… Fox Mulder?”
“Non è un mio amico. È solo il protagonista di una serie televisiva molto interessante alla quale credevo ciecamente. Non la fanno più in televisione adesso. Speriamo producano qualche film per il cinema. Il primo che hanno fatto era veramente bello.”
“Non l’abbiamo visto… Allora! Il responso delle analisi del sangue?”
“Cazzarola, credo sia meglio abbandonare la terra…”
“Spiegati meglio. Cosa dicono le analisi?”
“Il suo metabolismo dipende completamente dall’LSD, la sostanza che indica la strada della verità e della saggezza.”
“LSD? Non ci voleva. Questi esseri sono molto più intelligenti di quello che credevamo. Non bisogna mai giudicare dai governanti al potere.”
“Già. È meglio che scappiamo via prima che sia troppo tardi…”
Gli extraterrestri raggiunsero la loro navicella ad una velocità incredibile, mentre i lacci delle mie scarpe ritornarono al loro posto con altrettanta rapidità.
Libero, finalmente libero. Non volevo più lavorare in questo appartamento e neppure negli altri. L’architetto Ecceteraeccetera poteva andare a farsi fottere. Qualche giovane sveglio e con le palle lo avrebbe di certo trovato. Io ne avevo abbastanza. Inforcai la mia bicicletta e raggiunsi casa in tutta calma. Un viaggetto soave, lento, esaltante. Ridevo come un imbecille senza sapere il perché. Non capivo nulla ma mi sembrava bellissimo.
Etichette: 102, Albert Hofmann, Allucinogeni, Bici, Cover, Cultura, Fredric Brown, IconePop, LSD, Morte, Rock, Smemoranda, Svizzera
12 Commenti:
Grande cover Alligatore!
Sonia
Ciao Alligatore, ho letto il tuo racconto: veramente bello. Non ci crederai ma questa mattina prima di leggere il giornale ed apprendere di Hoffmann, ho messo sul platorello del cdp "Surrealistic Pillow" dei Jefferson Airplane e pensavo con le idee che ci sono in questo album, al giorno d'oggi, alcuni gruppi, ci costruirebbero una discografia. Gran disco e merito anche ad Hoffmann ed alla cultura lisergica. Periodo irripetibile. Buon primo maggio Alligatore.
ciao, silvano.
Wow Ally!
E' sempre un piacere leggerti!
Buon 1 maggio a precari, disoccupati, occupati, bamboccioni...
Red Press Sheep
Ciao Silvano, ciao Red Press Sheep. Sono tornato da poco a casa dopo un viaggio in bicicletta sui monti di Trento, mi fa piacere leggervi. La musica di oggi, difficilmente raggiungerà le vette del periodo Jefferson Airplane, e in parte, il merito è di quel distinto signore svizzero e della sua stupefacente scoperta fatta per caso. Buon primo maggio anche a voi, ora vado a vedere cosa succede al Concertone, spero di non essermi perso niente...
Ciao Ally, buon 1 maggio in ritardo anche a te. Notevole il racconto!
G
Grazie G. e auguri anche a te. Il racconto è caduto a fagiolo, con la festa del lavoro, la precarietà, gli incidenti sul lavoro (anche quello di Albert lo è stato, in un certo senso; finito bene in quel caso, forse l'unico caso ...). Rinnovo l'invito a leggere "LSD, Il mio bambino difficile", che ho scoperto, si trova tutto pure in rete. Trovarlo non è difficile ...
Bello, bello, bello!
Anche a me ha colpito molto la notizia di un "attempato" ex-tossico (perchè alla fine questo era...). Sto seriamente riconsiderando la mia idea di "salutismo" :-)
Ciao Lucia. In realtà Albert era uno scienziato, che durante la sua lunga vita ha provato su di sé (prima per caso, poi per esperimenti scientifici sotto stretto controllo) gli effetti dell'LSD. Definirlo ex tossico è eccessivo, anche perchè lui ha sempre condannato gli effetti ludici (l'LSD è un potente allucinogeno, che tira fuori l'essenza più vera che c'è in te, e se in te c'è qualcosa di negativo, l'amplifica e ci possono essere dei brutti incidenti, dei brutti "viaggi", come purtroppo, è accaduto). Ecco perchè lui consigliava un uso sotto controllo (è stata usato molto in psicanalisi) ed era contrario ad un uso sconsiderato. Sulle droghe e sulla cultura che ne vieta una e ne esalta un'altra ci sarebbero da dire mille cose (io sono dichiaratamente antiproibizionista per tanti buoni motivi); per farsi un'idea consiglio ancora una volta la lettura del suo splendido libro "LSD Il mio bambino difficile", tra l'altro, un romanzo appassionante, che conferma ancora una volta quanto siano dei bravi scrittori gli scienziati (vedi Primo Levi). La sua lunga vita, (e per quanto ne sappiamo in gran forma fisica) nella sua tranquilla Svizzera, in un meraviglioso posto verde, è stata una causa dei suoi viaggi? Non lo sapremo mai, di sicuro ha influito l'attività fisca (lui, come me, andava molto in bici...). Quindi non riconsiderare il salutismo!
Oggi, avrei quasi bisogno di un po'di lsd!
... io sempre il lunedì.
...io ne sono sempre sotto l'effetto... Ally, mi hai illuminato sull'origine dei miei disegnini! :)
Press Sheep on trip
Sì Press Sheep, i tuoi disegnini sono molto psichedelici ...
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