In palude con Tommaso Varisco
NOTE SINTETICHE ALL’ASCOLTO DEL DISCO
GENERE Alternative Rock
DOVE ASCOLTARLO qui, qui o qui
LABEL Autoprodotto
PARTICOLARITA’ Digital Reissue Marzo 2021 con aggiunta di 9 inediti.
CITTA’ Chioggia (Ve)
DATA DI USCITA 23.03.2021
L’INTERVISTA
Come è nato All The Seasons Of The Day?
È nato circa 23 anni fa, avevo 21 anni e un pomeriggio all’Università, fra un corso e l’altro, andai a comprarmi la mia prima chitarra per suonare assieme agli amici. Imparai i primi rudimenti e alcune canzoni molto semplici. Devo dire che strimpellavo parecchio ma senza darmi troppa pena di cosa. Mi interessava esclusivamente sentire “cosa veniva fuori”. Le canzoni sono nate così in fretta che sembrava fossero lì ad aspettarmi. Ho sempre scritto in maniera abbastanza istintiva e tutto sommato veloce. Ho rallentato per forza di cose quando sono nati i miei figli. All The Seasons è quindi lo specchio del mio primo periodo creativo. Anche abbinare i testi alla musica è risultato un processo naturale. Ho frugato fra i miei quaderni e tradotto alcune poesie in inglese che con mia sorpresa si adattavano perfettamente ai pezzi. Altre volte il testo nasceva con la musica canticchiandoci sopra, Big Sleep ne è l’esempio migliore. Le canzoni sono quindi nate fra il 1997 e il 1998 e sono le sole che nel corso degli anni non ho mai fatto arrangiare e non ho mai, o quasi, proposto dal vivo. Come ti accennavo, a un certo punto, ho dovuto mettermi in standby e quando ho ripreso la scelta del nuovo album è ricaduta sui miei primi pezzi.
Come mai questo titolo? … che vuol dire?
Il titolo mi piace molto, è davvero evocativo ed è sempre stata la prima e unica scelta. È un verso di Wisdom dove dico che amerò qualcuno o qualcosa così intensamente da vivere dentro tutte le stagioni del giorno. Identifica una sorta di luogo, uno spazio mentale ma anche fisico, di benessere totale e completo. Non ci sono ancora riuscito, ma spero di arrivarci un giorno perché credo esista e che sia alla portata di ognuno. Da non religioso quale io sono ha a che fare con un modo di concepire le relazioni e il pianeta in maniera differente da come siamo abituati. È una direzione obbligata, ma siamo ancora molto lenti.
Come è stata la genesi dell’album, dall’idea iniziale alla sua realizzazione finale?
Capire cosa fare dopo alcuni anni di forzata inattività non è stato semplice. Puntare su inediti rimasti in un cassetto 20 anni e legati fortemente alla musica degli anni Novanta era sicuramente una mossa azzardata. Poi mi sono convinto che se dovevo ripartire dovevo farlo non da dove avevo lasciato ma da dove tutto aveva avuto inizio. Ho cercato alcune vecchie cassette e un cd contenenti alcuni dei brani di All The Seasons. Non ne avevo un assoluto bisogno perché ricordavo ogni singolo brano quasi alla perfezione. L’ho fatto giusto per capire che tipo di persona e musicista fossi al tempo e mi accorsi che ero sempre io e che non era cambiato nulla. Dovevo solo mettermi a suonare fino a risentirle mie. Una volta pronto contattai lo studio e iniziammo a registrare. A quel punto si trattava soltanto di vedere cosa ne sarebbe uscito. Devo dire che le registrazioni sono andate bene da subito. Do giusto alcune indicazioni base ma lascio i musicisti, che sono poi tutti amici, liberi di creare l’arrangiamento che ritengono più idoneo. Non sempre mi piace il primo risultato, ma non lo dico. Lascio passare il tempo necessario a capire se la direzione è quella giusta. Wisdom, per esempio, lo considero uno dei brani migliori. Ma inizialmente non la pensavo così e, se avessi imposto la mia versione, il risultato sarebbe certamente stato meno interessante.
Qualche episodio che è rimasto nella memoria durante la lavorazione del disco?
L’episodio più insolito è avvenuto, se devo dirla tutta, a disco concluso. Successe che ad una festa in spiaggia mi imbattei in un’amica di vecchia data che viveva da alcuni anni in Austria e sapeva del disco. Quindi mi chiese un sacco di cose e io le dissi che c’era un brano a cui tenevo particolarmente, Flower, che si ispirava al flauto presente in Bolivia di Gato Barbieri. La canzone stava in piedi ma io sapevo che non c’era il flauto e non ero sereno, al punto da non voler inserire Flower, che consideravo incompleta, nel disco. Mi rispose che suo fratello, eccellente flautista adesso in Spagna, suonava ancora e aveva allestito uno studio casalingo. Lo contattai e dopo un paio di settimane arrivò qualcosa di imprescindibile. Soprattutto nella coda finale dove il flauto si intreccia al mandolino. Diciamo che, all’interno di un disco abbastanza scuro, c’è Flower che dà quel tocco mediterraneo e multietnico che non mi dispiace, soprattutto di questi anni.
Se fosse un concept-album su cosa sarebbe? … tolgo il fosse?
Lo può ben essere. È la storia di un ventenne che esce un po’ ammaccato dall’adolescenza e non ha troppe certezze; preferisce inoltre non affrontare la realtà ma cercare una pace e un legame affettivo lontani e quindi fragili e illusori. L’incapacità di vedere chiaramente il futuro lo porta alla convinzione di non poter vivere un giorno pienamente. L’insoddisfazione genera un desiderio di rivalsa che potrebbe trasformarsi in violenza; in Flower stringe il pugno contro qualcuno o qualcosa ma poi si ferma. Il disco si chiude con una cocente ma prevedibile delusione amorosa. I Still Cannot Understand cala il sipario e non svela cosa sarà poi. Bisognerà aspettare il seguito. Credo che le canzoni di All The Seasons siano anche un monito: dovremmo tutti rivedere le nostre posizioni e vivere in maniera meno egoista e individualista. Solo il benessere delle collettività dà un senso al nostro essere e un futuro per la specie.
C’è qualche pezzo che preferisci? Qualche pezzo del quale vai più fiero di All The Seasons Of The Day? … che ti sembra ideale da fare live?
Afternoon è sicuramente il mio brano. Ne ho scritti tanti, qualcuno forse migliore, ma Afternoon occupa un posto molto importante. È vero che il disco è nato in fretta e quasi da sé però non è che lo capii al volo. Suonavo da pochi mesi e non avevo mai cantato sul serio. Sicuramente amavo in maniera viscerale la musica e sognavo un giorno di scrivere il mio disco. Mi ero ritrovato, forse casualmente, con una chitarra fra le mani e questa cosa si stava avverando. Afternoon fu quindi una sorta di spartiacque. Ricordo benissimo che venni influenzato dal riff di Come As You Are (Nirvana) e dagli accordi principali di Immortality (Pearl Jam). Il testo prende spunto da un pomeriggio annoiato e senza direzione. Fantasticando arriva a toccare un’altra mia grande passione il Cinema. Ci sono riferimenti al film Basquiat di Schnabel e a Prima dell’Alba di Linklater. Ma poi prende una direzione piuttosto intima e narrativa. Sono molto legato a un verso in particolare: “Ti innamori ed è così facile/Ed è la cosa più facile, io ondeggio (oppure oscillo)!” Mi faceva sentire abbastanza fuori dalle cose, ma non potevo fingere fosse diversamente. Per quanto riguarda i live sicuramente mi andrebbe di farne tantissimi, sia elettrici che acustici, comunque tutti con band. Mi piacerebbe regalare un po’ di buona energia pulita. I tempi non sono ancora dei migliori. Vedremo.
Come è stato produrre questo disco? Chi hai avuto vicino maggiormente?
Lorenzo Mazzilli è stato colui che mi ha rimesso in carreggiata. Contattandomi per un paio di serate quando ero fermo già da alcuni mesi e facendomi conoscere suo cugino, Matteo dall’Aglio, con cui aveva registrato, all’Anakonda Studio di Montagnana vicino Padova, il suo ottimo esordio: The Weak, sotto lo pseudonimo di The Giant Undertow. Hanno suonato rispettivamente basso e batteria. Lorenzo anche la chitarra su Afternoon e il mandolino su Lake e Flower. Lorenzo ha svolto inoltre un ruolo di consulenza artistica ma l’intero lavoro di registrazione in Studio, missaggio e master finale è stato opera di Matteo che, con mia sorpresa, richiese la mia presenza nella finalizzazione del missaggio, cosa che non mi era successa con gli album precedenti. Non li ringrazierò mai abbastanza. La buona riuscita di All The Seasons ha fatto sì che la nostra collaborazione continuasse. Stiamo infatti registrando altri album dando un senso cronologico alla mia produzione artistica.
Nell’ottobre del 2019 (il disco sarebbe uscito inizialmente per Seahorse il mese dopo) ci siamo ritrovati per parlare del recupero di alcune alt.takes che potevano essere interessanti. Abbiamo ripreso una versione di Hey D con solo accompagnamento di ukulele e basso. Una versione di 9 minuti di I Still Cannot Understand (forse migliore dell’originale). Lake dove Lorenzo aveva trovato nell’intro un interessante giro di basso e dove, in coda, è presente il mio primo modestissimo “assolo” con la chitarra elettrica, che quindi potete ascoltare in questa Reissue digitale uscita a marzo di quest’anno. L’occasione era ghiotta e siccome avevo escluso alcuni brani li ho suonati e registrati in presa diretta. Ci sono Blind To see, la prima canzone che abbia mai scritto e 20 Years, forse la seconda. Ma anche I See che avrei dovuto inserire in All The Seasons ma che non avevo mai completato con soddisfazione. Non poteva inoltre mancare una versione di Afternoon in solo. La Reissue digitale di All The Seasons mi ha dato la possibilità di arricchire il disco e riproporlo in un periodo in cui ancora si fatica a suonare dal vivo.
Copertina molto particolare, psichedelica direi... Come è nata? Chi è l’autore?
Il disco e la sua copertina coprono uno scarto temporale di 20 anni esatti. Un amico grafico ha quindi sovrapposto uno scatto londinese dell’agosto del 1998 con uno più recente. Devo dire che mi ha tolto un grosso peso in quanto io optavo per una cabina telefonica. Cioè il mezzo con il quale io e la mia ragazza, che viveva a 300 km di distanza, comunicavamo. La foto del me giovane l’ha fatta lei, sono abbastanza sicuro che fossimo a Regent’s Park. Parte del disco è stato composto e suonato per pochi intimi nel nostro appartamentino di Aldgate East in quella splendida estate.
Come presenteresti il disco se fosse possibile?
Mi piacerebbe suonarlo con la band che ha suonato nel disco, cioè con i miei amici. Non credo molto a turnisti che si ritroverebbero a riprodurre qualcosa che non li ha toccati da vicino. Arrangiare, tanto quanto scrivere, è un processo intimo. Ma di musica non si vive e perciò siamo costretti a tenere una parte importate di noi perennemente in standby. Mi chiedo dove vada a finire tutta questa energia. Purtroppo dispersa probabilmente. Ad ogni modo il live sarebbe impostato con un primo set da pogo per poi toccare brani più intimi o particolari come Afternoon e September Is, fino ad arrivare a una conclusione in pieno stile Neil Young with the Crazy Horse con Coffee. Forse allargherei il gruppo a un quinto elemento in quanto vorrei potermi dedicare al solo cantare.
Come se la passa la musica indie oggi?
Una volta a poter proporre la propria musica erano in pochi e produrre album era molto costoso. Quindi solo un numero esiguo di band riusciva a strappare un contratto discografico. Poi si sa, non era tutto rosa e fiori. Col mio lavoro posso permettermi di trovare una casa alle mie canzoni realizzando degli album. Poi metto la musica in rete e poi? Quanti siamo? Chi ha davvero voglia di ascoltarci? Riusciremo a promuovere i nostri dischi con delle date? Sposterei però la riflessione all’intero mondo della musica, sia questa pop, rock, elettronica o altro. Quando moriranno i nostri idoli e noi che li ascoltiamo cosa resterà? Parliamo di ascoltatori prevalentemente dai 35/40 anni in su e di artisti, di un certo spessore, che ormai hanno superato i 50/60 anni. Siamo in grado di sopportare e pensare un mondo senza un certo tipo e modo di fare e ascoltare musica, al quale siamo sempre stati abituati fino a non troppo tempo fa? La risposta che mi do è che fin quando abbiamo idee abbiamo il dovere di buttarle fuori e nel migliore dei modi possibile, promozione inclusa.
Etichette: All The Seasons Of The Day, Alternative Rock, Autoproduzione, Bolivia, Cantautorato, Chioggia, Gato Barbieri, In palude con ..., Intervista, Neil Young, Nirvana, Rock, Tommaso Varisco, Venezia
10 Commenti:
Gran piacere ospitare in palude Tommaso Varisco ... che ho ritrovato grazie alla riapertura di FB, dove mi ha trovato e scritto dicendomi che aveva il suo nuovo disco da farmi sentire ... ero solo in casa quel sabato pomeriggio e ho cominciato subito ad ascoltarlo, e riascoltarlo, cucinando e poi pure mangiando.
Mi è subito piaciuto un sacco, tanto che l'ho ricontattato per chiedere intervista per parlare di questo magico All The Seasons Of The Day ... riportanto Tommi in palude dopo ben 10 anni.
Bello come ha ricostruito questo disco, scritto da adolescente, e ora ha avuto il coraggio di riproporlo in maniera molto personale... musica che ricorda molto gli anni Novanta, come ha lui stesso palesato... a partire dagli amatissimi Pearl Jam (e si sente).
Tante canzoni, tante belle canzoni, tra le quali è veramente difficile scegliere ... l'andamento è da concept, si sente nei suoni, nelle accellarazioni e nelle dilatazioni. Un disco molto bello, molto chitarristico, quindi molto gradito all'Alligatore.
Si capisce perché Afternoon è il suo pezzo preferito, semplicemente ascoltandolo: semplice chitarra/voce, a tratti da pelle d'oca, molto vedder-style.
A questo contrapporrei il maestoso Coffee: pezzo lunghissimo, inizialmente ricorda i Led Zeppelin, si inerpica in maniera circolare, con le chitarre a guidare il tutto, senza dimenticare il ritmo... e un cantato molto psichedelico. Rock maiuscolo, che sembra improvvisato a ogni ascolto.
Affascina molto anche Lake, per esaltare il lato oscuro. C'è molta psichedelia anche qui e poi un suono denso e ipnotico.
Altro pezzo citato nell'intervista è Flower e lo cito pure io, tra i miei pezzi preferiti: gran vibra, un suolo che sale, l'inserimento del mandolino ...e un gran ritmo. Più il flauto in coda.
Ma anche il finale malinconico, dilatato/dilatante I Still Cannot Understand è da pelle d'oca. Intenso, magico, commovente chitarra/voce molto vedderiano. Bel modo di chiudere, che fa venire voglia di riascoltare subito All The Seasons Of The Day
Bravo Tommi, questo è il rock che piace molto a me.
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