da smemo: intervista agli Offlaga Disco Pax (2005)
INTERVISTA AGLI OFFLAGADISCOPAX
di Diego Alligatore
Nella recensione al loro Socialismo tascabile (prove tecniche di trasmissione) l’ho detto, e ora lo ripeto: gli OfflagaDiscoPax hanno fatto il disco dell’anno, nettamente superiore a tutto ciò che le mie orecchie hanno potuto/voluto ascoltare in questo 2005 ormai agli sgoccioli. Il loro non è un semplice cd, ma un disco, un libro, un film, un vero e proprio oggetto di culto da ascoltare e riascoltare come faccio io, da quando mi sono casualmente imbattuto in una loro canzone su Radio Popolare della mia città parecchi mesi fa.
Come i primi film di Nanni Moretti, come il “Woobinda” di Aldo Nove, come i dischi dei CCCP, il simpatico digipak dei tre musicisti di Reggio Emilia dato alle stampe da Santeria, label gestita direttamente dal distributore indipendente Audioglobe, è un pezzo della nostra Storia, ma siccome non voglio caricarli di eccessive responsabilità e incensarli troppo (tipo un Fede qualunque di fronte al Berlusconi di turno), mi fermo qua e passo la parola a loro, per la solita intervista alligatoriana alla quale hanno gentilmente accettato di sottoporsi tramite e-mail.
La parola ad Enrico Fontanelli (basso, moog, casiotone, premeditazioni grafiche, pensiero debole), Daniele Carretti (chitarre, basso, mutuo quinquennale), Max Collini (voce, testi, ideologia a bassa intensità).
Carmen Consoli ha detto: “Io non credo di fare rock, se lo si intende in un senso troppo comune, con la massa del volume e la distorsione a tutti i costi delle chitarre. Se invece per rock si intende tutto ciò che è destabilizzante, allora si, io suono rock” Che ne dite? Voi, OfflagaDiscoPax, fate rock?
Enrico Un amico che posso tranquillamente nominare, Tiziano di Fooltribe, mi ha scritto poco tempo fa dicendo che avrebbe messo il nostro disco nei <<non ascolti>> di una playlist perchè "non rock". Gli ho risposto di dormire tranquillo che il rock era sì controcultura, e magari nera inizialmente, ma è pur sempre americano. E noi - parlo per me al plurale? - vorremmo starne alla larga, suonare se non italiani allora almeno europei. E che l'ultimo grande gruppo rock sul pianeta - loro stessi si autodefinivano rock - sono stati i Joy Division.
Daniele Se ci atteniamo alla definizione sopra citata direi di sì. Destabilizzanti quanto basta, credo…ma semplicemente faccio musica e non trovo necessario dover sempre etichettarla in un genere.
Max Enrico e Daniele suonano, io racconto storie. Circa. Di più non saprei dire.
Come nasce il vostro originale progetto musicale? Come avete fatto a trovarvi e a decidere “creiamo un gruppo con uno che non canta ma declama sublimi versi ironici sulle miserie del nostro tempo e sui suoi ricordi d’adolescente emiliano”?
E. L'idea è più o meno mia, sollecitato da anni da Daniele a partecipare per gioco a questo concorso dedicato ad Augusto Daolio, da me ribattezzato "come potete giudicar", che da sempre prendeva in considerazione solo testi in italiano mentre io e Daniele in precedenza avevamo separatamente dedicato le nostre ugole alla lingua anglosassone. Ricevevo da un paio d'anni i testi di Max, che trovavo divertenti ed affascinanti per i riferimenti politici e vicini al mio vissuto (pur avendo dieci anni in meno sono cresciuto con due fratelli della sua stessa età). Un giorno, incamminandomi verso il suo ufficio, ho chiamato Daniele e ottenuto il suo appoggio ho chiesto a Max: "Cosa ne pensi di salire su un palco alla tua età?".
D. Max scriveva testi che sia ad Enrico che a me piacevano molto e volevamo fare qualcosa in italiano, viste le nostre precedenti esperienze con cantato in inglese. Inizialmente pensavamo ad una sorta di colonna sonora che accompagnasse storie…Semplicemente ci siamo trovati ed abbiamo fatto quello che ci sentivamo di fare e ci piaceva fare, senza dover preoccuparci del genere e utilizzando quello che avevamo a disposizione.
M. Daniele ed Enrico conoscevano i miei racconti da qualche tempo. Un giorno mi hanno chiesto di tentare un progetto che li utilizzasse in una maniera un po’ diversa dalla motivazione con cui erano stati scritti. Nessuna ambizione, nessuna pretesa e nessunissima aspettativa. E i miei “versi”, all’inizio dell’avventura, somigliavano ai ragli di un asino asmatico. Anche adesso non è che siano migliorati molto. Spesso mi dicono che quando parlo con qualcuno sembro quello sul disco. Uguale. Appunto. Per inciso a quella prima comparsa pubblica al “Premio Daolio” nel 2003, non è che destammo sta grande impressione. Nessuno, neanche noi ovviamente, avrebbe mai potuto prevedere che due anni dopo quegli stessi brani, certamente meno approssimati ma comunque quelli, avrebbero costituito l’ossatura su cui costruire un disco d’esordio tanto bene accolto come è stato “Socialismo Tascabile”.
“Non è facile fare musica con il sintetizzatore. Devi essere un vero musicista e devi avere pratica, sia che suoni un pianoforte o un sintetizzatore. Il fatto che sia facile per chiunque fare suoni divertenti o strani sul sintetizzatore non è una limitazione del sintetizzatore. È una limitazione delle persone che creano i suoni!” Così parlava l’ingegnere Bob Moog, il padre del synth, da poco scomparso. Cosa ne pensate in proposito, visto che la vostra musica è fatta, in parte, con gli strumenti da lui inventati?
E. Non mi considero un vero e proprio musicista, non almeno nel senso tecnico e altolocato del termine. Trovo che le cose siano cambiate e che questa sua affermazione non possa che essere datata se non assolutamente trasferibile oggi all'uso del computer in musica. Lui stesso ha creato il suo ultimo strumento snaturandone completamente l'ideologia originale assegnandovi una memoria digitale, il che rende in linea teorica parzialmente inutili le "manopole" sul quadro e l'approccio molto più adatto ad una generazione che preferisce trovare tutto pronto. Il suo strumento ha dimostrato negli anni (e per fortuna) di poter uscire dal contesto solista progressive a cui molti sono ancora abituati.
D. La limitazione dal mio punto di vista sta nel voler imparare sempre di più sperando che questo ti porti a fare cose belle. Io credo che il fare quello che ci si sente di fare liberamente sia molto più “spontaneo”, senza dover limitarsi a schemi teorici…chiaramente la pratica è molto importante, ma non deve diventare un fattore limitante, come molte volte accade.
“Su la testa! 1994-2004, dieci anni di rock italiano”, recita il titolo di un bel libro curato da John Vignola per Arcana, con alla base la tesi che l’indipendente rock italico (nella sua accezione più vasta) abbia alzato la testa in questi ultimi anni, sia come quantità sia come qualità. Che ne pensate in proposito? È così?
D. Forse negli ultimi anni la quantità è la prima cosa che viene in mente…ci sono molte cose interessanti, ma spesso vengono soffocate da una quantità di uscite esagerata, purtroppo limitante gli ascolti. Chi ha così tanto tempo per ascoltare tutte queste cose? Credo fondamentale in questi ultimi anni il live come approccio ad una band nuova (e non solo), il riuscire ad avere la possibilità di ascoltare direttamente e poi decidere se comprare il disco, in questo modo sostenendo direttamente la musica indipendente.
E. Deridiamo i nostri "nonni" al
ricordo di quelle penose cover di brani americani con testo italiano (trovo che
almeno all'epoca avessero il coraggio di cantare in italiano). Da questo punto
di vista potremmo sentirci più vicini alla scena nostra degli anni ottanta che
a quella attuale.
Immagino che tutto questo puzzi un poco di provincialismo se non di
nazionalismo. O forse invidia per i nostri amici Disco Drive che in questo
momento stanno girando la
Gran Bretagna… Prendeteci con voi!!! La quantità è dovuta
alle nuove tecnologie e queste non aiutano molto a distinguerci l'uno
dall'altro. Riascoltandoli ora, per esempio, un gruppo come i primi
Ustmamo' mi mancano molto, sicuramente
sghembi da morire ma con un coraggio di esprimersi meraviglioso.
M. Alberto Campo ne ha scritto un altro, si intitola: Nuovo? Rock?! Italiano! e si ferma agli anni novanta. La quantità e spesso anche la qualità non mancano ma è il pubblico ad essere relativamente poco e poco interessato alle produzioni indipendenti italiane. La gente si interessa di altro. Ci sarà un perché, ma non sono sicuro che mi piacerebbe saperlo.
Graham Nash, intervistato da Paul Zollo per il libro Songwriters (minimum fax, 2005), sosteneva di aver risparmiato diversi milioni di dollari in visite psichiatriche perché scrivendo canzoni “parlava molto con sé stesso”. Identica cosa sosteneva Hemingway riguardo il processo mentale dello scrivere (quando gli chiesero il nome del suo analista, lui indicò la sua macchina da scrivere). Anche per voi scrivere è terapeutico? E suonare? Visto il numero dei vostri concerti si potrebbe parlare di una terapia di massa permanente …
M. Se ha risparmiato milioni (?) di dollari negli anni sessanta e settanta direi che aveva grandissimi problemi: neanche un trapianto permanente di cuore e fegato gli sarebbe costato così tanto (…gelo). Battuta a parte, direi che per me scrivere è ogni volta che lo faccio più che una terapia palliativa un esorcismo tentato e perennemente fallito.
D. Suonare è sicuramente una delle azioni più terapeutiche che conosca. Mi aiuta molto in qualsiasi situazione, poi a volte come per tutte le cose può essere anche troppo, ma il più delle volte è un ottimo diversivo e un ottimo modo per esprimersi ed imparare a conoscersi veramente…
E. Assoluta musicoterapia personale, prima di tutto. Da sempre.
Tra i tanti premi da voi vinti in questo indimenticabile 2005, c’è pure quello per il video della canzone “Robespierre”, miglior video indipendente assoluto al PVI, Premio Video Italiano a cura di Domenico Liggeri e il Premio Fandango “Videoclipped The Radio Stars” sempre come miglior video. Ci volete parlare della sua realizzazione?
E. Conoscevo i ragazzi del Postodellefragole dai primi del 2000, quando con Marco frequentavo un corso di grafica e si battagliava assieme [Marco Molinelli del collettivo Postodellefragle che ha realizzato il video]. Nel frattempo abbiamo intrapreso percorsi differenti ed è stato del tutto spontaneo affidare loro un abbozzo di idea che ci girava in testa da tempo. Era la prima volta che la nostra linea estetica veniva affidata ad esterni, la fiducia nel loro gusto è stata completamente ripagata e stiamo già parlando di un seguito.
M. Zora la Vampira (Chiara Saccani, l’attrice che la interpreta nel video) non risponde mai ai miei messaggi. Anche questo “perché” non credo amerei conoscerlo. Lo abbiamo girato intorno al Quattordici Luglio del 2005, faceva caldo ed era il 216° anniversario della Presa della Bastiglia. Per un video che si intitola “Robespierre” la coincidenza è perfetta. Ancora grazie ai ragazzi del Postodellefragole, sono stati bravissimi e lavorare con loro è stato istruttivo e divertente. Il video ha vinto quei due premi importanti in modo del tutto inatteso.
D. E’ stato un delirio…due giorni in un teatro di Modena, tantissime riprese e un risultato che ha lasciato stupiti anche noi!!
In molti vi hanno paragonati ai CCCP, visto che provenite dalla stessa zona e avete un simile approccio nell’affrontare tematiche politiche di sinistra. Vi sembra un paragone centrato o no? Quali sono i vostri gusti musicali e a quali altre band vi sentite vicini?
D. Sicuramente la zona di origine è quella e una qualche tematica del periodo si ritrova anche nei racconti di Max, ma non vedo altri punti in comune. Musicalmente poi siamo abbastanza distanti. I miei riferimenti sono vicini ad una certa Nuova Onda inglese di fine settanta inizi ottanta…etichette come 4AD e Factory prima, Creation poi hanno avuto grande importanza…poi una certa fine anni sessanta psichedelica fino ad elettroniche minimali degli ultimi anni. Non mi fermo comunque a generi precisi, spesso la musica che ascolto trasmette emozioni e il genere non conta poi così tanto (escludendo il reggae, quello proprio no…).
E. Ci sembra un paragone scontato, sin troppo; non siamo mica scemi e sapevamo da subito che occorreva mettere le cose in chiaro. Purtroppo alcuni di questi tentativi pratici hanno clamorosamente fallito, tipo la citazione in “Cinnamon” su disco e dal vivo, dimostrazione d'affetto più vicina ad un rapporto discendente-avo che figlio-padre, almeno nelle intenzioni. Musicalmente o comunque nell'insieme trovo analogie con Lcd soundsystem per amor di analogico, ironia dei testi e nella forma spesso parlata di questi. Pil, This Heat, De Andrè, tutte le prime produzioni di Martin Hannet su Factory e non, Loveless, Big Black, Kraftwerk, Shostakovich, Ligeti, Drexcyia, Tim Buckley, Kinks, Sonic Youth, Autechre, Boards of Canada, The Velvet Underground, John Carpenter, Satie, Anticon, To rococo rot, Hood, Low, Phonem, Altro, Smiths, Unwound, Piano magic, Tuxedomoon, Labradford, Constellation, Stanze, Sebadoh....
M. L’ironia e l’autoironia dei primi CCCP erano più marcate di quanto normalmente si creda, secondo me. Il paragone è estremamente lusinghiero ma un po’ fuorviante. Grandissima storia, la loro. Sono passati vent’anni e noi siamo una cosa ben più modesta e diversa. Tascabile al loro confronto, confronto che tra l’altro troviamo abbastanza imbarazzante per chi insiste nel sostenerlo se non per esigenze di estrema semplificazione. Non credo ci siano affinità nel mio modo di scrivere racconti con lo stile del Ferretti, anche se i CCCP sono stati da me talmente vissuti nel loro periodo storico che magari qualcosa nel dna ha sedimentato. Tra i gruppi che amo di più certamente Diaframma, Baustelle, dEUS, Depeche Mode, Black Heart Procession e molti altri, ma le mie influenze musicali nel gruppo hanno relativa importanza visto che mi limito alla scrittura dei testi. In questo senso credo abbiano contato di più le letture di autori come Paolo Nori, Simona Vinci, Silvia Ballestra, Giuseppe Caliceti e Jonathan Coe oltre all’influenza esercitata sulla mia formazione da Arturo Bertoldi, storico fondatore del Movimento per il Socialismo Tascabile e del club dei Gysi Fans in periodi insospettabili.
Mio nipote sedicenne sta mettendo in piedi una band con alcuni amici. In questo momento, mentre scrivo, li sento provare nel mio garage. Che consigli dareste loro e a tutti quelli che sognano un futuro come gli OfflagaDiscoPax? Ad esempio, come vi siete scelti il nome?
D. Sicuramente di fare quello che gli piace e che sente affine al proprio gusto, poi ci vuole anche una buona dose di fortuna per cogliere il momento giusto. L’importante è che si diverta… Per il nome…mmm…il nome…
M. Il nome è uscito abbastanza in fretta, unendo due opzioni inizialmente distinte: Offlaga e Disco Pax. Non è facile memorizzarlo, ma quando è nato il gruppo chi mai avrebbe osato pensare che saremmo andati oltre a qualche concertino dalle nostre parti? A tutti quelli che sognano di fare un disco con due rubli e trovarsi otto mesi dopo a ricevere premi, onore e gloria (soldi sempre pochi, ovviamente) consiglio di rivolgersi alla Santeria come abbiamo fatto noi. No, non la nostra etichetta, ma la religione cubana dai misteriosi riti voo-doo (…gelo). Direi che l’unica cosa che mi colpisce davvero in un gruppo di solito è la sincerità in quello che fa. Se poi sceglie l’italiano per i testi meglio ancora, che non mastico molto l’inglese e non ci capisco mai quasi niente.
E. Il nome è nato immediatamente dopo aver
ricevuto l'assenso partecipativo da parte di Max. Pochi minuti. Ai
"giovani" consiglio di staccare i poster dai muri della propria
camera da letto e di attaccare delle proprie foto, per cominciare.
DISCOGRAFIA
- Socialismo tascabile (prove tecniche di trasmissione)
Santeria 2005
SITO INTERNET
www.offlagadiscopax.splinder.com
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