Silvia Pareschi, fra le righe...
Questa mattina mi ha svegliato il tagliaerba del vicino, ironia della sorte. Dico questo perché ieri ho visto l’amica Silvia Pareschi, che non sopporta i tagliaerba, anche se, mi ha detto, riesce a sfuggire loro andando via dal paesello quando iniziano a rompere (non amando l’estate, se ne va al fresco). Ma non voglio divagare. Silvia Pareschi è una traduttrice e scrittrice, stavo scrivendo blogger, ma forse, è una cosa superata, i blog non vanno più tanto come 10 o 15 anni fa, quando comunicavamo un sacco, e lei era una di noi. E poi, ormai, si può dire che Silvia Pareschi è una traduttrice, questa è la sua professione, la sua identità forte, avendo tradotto il meglio della letteratura angloamericana degli ultimi venticinque anni.
L’ho rivista dopo un po’ di tempo a Pagina12, bella libreria della mia città. Davanti a un pubblico attento, moderata dalla collega Cinzia Bigliosi, ha raccontato con ironia il mestiere di traduttrice, presentando il libro Fra le righe - Il piacere di tradurre, Editori Laterza. Camicetta rossa e sguardo intelligente, ha parlato del rapporto con gli scrittori che traduce e/o ha tradotto, dal più famoso, con il quale c’è una bella amicizia, Franzen, a DeLillo (che rispondeva tramite il fax), McCarty, Zadie Smith, Denis Johnson e poi Hemingway, del quale ha ritradotto di recente Il vecchio e il mare.
Ritradurre serve, perché la lingua cambia, perché si sanno altre cose, anche grazie al pc, dove in poco tempo si possono trovare migliaia di informazioni, mentre una volta ci volevano settimane. Quindi, non temendo il confronto con la grande Fernanda Pivano (mi viene da dire, lei è la nuova Pivano, e non me ne voglia Silvia per questo paragone immenso) ha voluto ritradurre Hem, e da quello che mi ha detto, lo farà ancora…
È stato un bell’incontro per chi ama la lettura e la scrittura quello di ieri. Silvia ha rivelato molte cose durante la presentazione, ma anche dopo, tra un bicchiere di vino e l’altro oltre a firmare un bel po’ di copie di Fra le righe. Tante cose fra le righe del tradurre: traduzione buone e meno buone (alcuni, dice, traducono non sapendo bene le lingue e senza viaggiare, come ha fatto lei, e conoscere il paese della lingua che si traduce). Oppure come tradurre un libro brutto (si può migliorarlo? È giusto farlo? … poi, se è brutto, comunque danno la colpa al traduzione).
Altro capitolo spinoso è quello dell’Intelligenza Artificiale, contro la quale si batte giustamente. C’è un abbassamento culturale, che si vede da articoli così tradotti, senza manco poi una revisione. Perché è la velocità, richiesta ormai dal sistema in ogni campo, che ti frega. La revisione è importante, anche in libri tradotti dall’intelligenza umana, figurarsi da quella artificiale. Ma qui mi fermo, voglio leggere sto libro.
Aggiungo solo che è stato bello rivedere Silvia in questo contesto, attorniata da alcuni suoi allievi dei tanti corsi che ha fatto. Ormai è un guru della traduzione, oltre ad essere una scrittrice (ricordo, prima di questo saggio, la bella raccolta di racconti I jeans di Bruce Sprigsteen e altri sogni americani, Giunti 2016). Altra cosa: dopo le presentazioni di Brescia e Verona, sarà a Roma. Non perdetela.
Per
gli amici che passano qui da poco, questo è il suo blog Nine hours of separation
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1 Commenti:
Ah, un guru della traduzione :-D
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