Dopo tre concept-album
consecutivi con la Classica Orchestra Afrobeat sentivo l'esigenza di dedicarmi
ad un tipo di composizione meno strutturata e più votata alla dimensione live,
dichiaratamente da ballare. Senza una connotazione precisa di genere, ho messo
insieme alcune (tante) idee che prendono spunto da un sentire globale di
resistenza, di voglia di aprirsi al mondo e non di chiudersi. Per questo ho
imbastito un ensemble abbastanza ridotto (sei elementi), di tamburi tribali e
strumenti elettrici, ruvido e un po' punk.
Perché questo nome? … al progetto
musicale, come al disco.
La cucòma dalle mie parti è la
caffettiera. Da anni vado raccogliendo diversi tipi di caffè in giro per il
mondo, sotto forma di strumenti, ritmi, voci, danze e incontri. In Romagna, in
un casolare di campagna che chiamo casa, ho macinato e tostato pazientemente i
chicchi che avevano mantenuto il profumo più intenso e la miscela che ho
ottenuto possiede ora un aroma tutto suo, originale ed inebriante. E poi
l'immagine della caffettiera rimanda a quel preciso momento in cui vuoi
svegliarti, stare sveglio, partire con la giusta carica. No?
Come è stata la genesi del disco,
dall’idea iniziale alla sua realizzazione finale?
I brani li ho composti tutti tra
il 2017 e il 2018 e questa volta non ho voluto scrivere nulla. Sono partito
scegliendo con cura i musicisti più adatti, alcuni tra i miei collaboratori più
assidui e intimi come Fabio Mina e Jandu Detti, altri "arruolati"
apposta come la cantante/polistrumentista Martina Fadda e il chitarrista Daniel
Corbelli. Avevo inizialmente alcune idee chiare: ad esempio che il basso e la
chitarra dovessero stare incollati alla batteria (vedi Tony Allen) e che
l'armonia della band dovesse essere naturale e vissuta, anche fuori dal palco.
Perciò, come quando si aveva vent'anni, ci siamo presi il tempo di suonare
tanto insieme in sala prove in campagna, senza orari, cucinando e ascoltando
vinili. Credo che al giorno d'oggi sia un atteggiamento contro-corrente che
paga in termini di verità e di onestà verso ciò che fai e che produci.
Qualche episodio che è rimasto
nella memoria durante la lavorazione di Cucoma Combo?
Beh, ad esempio che il musicista
da cui ero partito nel formare il nuovo gruppo, il bassista, si è
clamorosamente ritirato poco dopo aver registrato l'album. La cosa positiva è
che il nuovo bassista subentrato è un amico e collaboratore di lunga data,
Andrea Taravelli, un musicista meraviglioso, che nel frattempo si era reso
disponibile. Ora, manco a dirlo, è un elemento fondamentale per il gruppo.
Se il tuo album fosse un
concept-album su cosa sarebbe?… togliamo il fosse?
Sarebbe sull'urgenza di
svegliarsi, di darsi una mossa. Ballare ha un forte significato politico:
significa essere attivi, non cedere alla noia o all'abitudine.
C’è qualche pezzo che preferisci?
Qualche pezzo del quale vai più fiero dell’intero disco? … che ti piace di più
fare live?
Dal vivo ci sono alcuni brani che possono
durare in eterno come Passa Passa, Sakpata o JJD di Fela Kuti, una delle due
cover presenti nell'album. Ma se devo scegliere due brani forse scelgo Sereia
che è nato da una melodia di mbira a cui Martina ha aggiunto un bellissimo
testo e Suda, una cumbia sorniona e irresistibile che incita, appunto, a
svegliarsi!
Come è stata la produzione del
disco? … chi, in fase produttiva ti è stato più vicino?
Abbiamo registrato in studio come
fossimo dal vivo, dopo un breve ma intenso crash-tour in cui abbiamo testato i
brani davanti al pubblico. Due preziosissimi collaboratori nella produzione
artistica sono stati Andrea Duna Scardovi (sound engineer e mix al Duna Studio
di Russi-Ra) e Davide Domenichini di Black Sweat Records.
Copertina particolare, casalinga
e internazionale, con quella variopinta moka. Come è nata? Chi l’autore?
L'artwork di copertina, così come
quelle dei tre album della Classica Orchestra Afrobeat, è opera di mio fratello
Matteo Zanotti (vedi instagram), con cui, manco a dirlo, condivido
sempre idee e percorsi artistici. In realtà, la caffettiera disegnata è la
copia di quella vera che utilizzo (anzi, suono) dal vivo e nel disco. L'ho
disegnata io di getto, senza neanche pensarci, con degli Uni-posca, in un
pomeriggio prima di mettersi in marcia verso un concerto.
Come presenti dal vivo il disco?
Dal vivo i brani restano fedeli
alle registrazioni, dato che in studio abbiamo usato pochissime sovraincisioni
e abbiamo suonato praticamente live cercando il più possibile l'energia che
viene naturale quando il pubblico ti è vicino e balla. Tuttavia ho creato anche
una versione live allargata per i concerti speciali, chiamata Cucoma Gran
Combo. Si aggiungono un sax baritono (Gianni Perinelli, che ha messo lo zampino
anche in due brani del disco) e di Sourakhata Dioubate (Guinea Conakry) alle
percussioni.
Rispetto al repertorio, ai dodici
brani del cd aggiungiamo dal vivo (come bis) un pezzo di Thomas Mapfumo chiamato
originalmente Haruna. Gli abbiamo sostituito il testo con una frase
che recita a mo' di mantra "è che io non ho paura". Il concerto
finisce con il pubblico che canta questa formula magica, se la porta a casa
come un eco.
Torna qui con questo progetto esplosivo, etnico, etico, pieno di patos, come una bella mocca di buon caffé (e lo dico, amando il caffè, anche se l'ho abbandonato da circa un mese e più, per altre bevande, per motivi miei, ma l'ho amato tanto).
Ma potrei dire anche Aguacante, che apre in modo perfetto il disco dando la direzione, Sereia dalla voglia incontenibile di ballare, Allenko quasi jazz dedicato a Tony Allen, la title-track che spacca, Funky Oli, lagoa, Passa Passa ... tutto, tutto il disco, che qui in palude ascoltiamo e riascoltiamo fino alla noia.
Critico rock del web. Pacifista integrale.
Collaboratore del sito della nota agenda
Smemoranda dalla lontana estate del 2003 e del Frigidaire cartaceo dall'autunno 2009. Dall'aprile 2017 collabora anche con Il Nuovo Male, e dall'estate del 2017 con il portale I Think Magazine, dall'autunno 2018 con MeLoLeggo.it. A gennaio 2018 fonda con Elle il sito L'ORTO DI ELLE E ALLI . Metà veneto, metà altoatesino (la mamma è dello stesso paese di Lilli Gruber), è nato nei primi anni Settanta, il giorno del compleanno di Jack Kerouac.
10 Commenti:
Gran disco!
Che aggiungere? ... ascoltatelo e fatevi prendere dal ritmo, dai suoni, dalle parole di questo esordio folgorante.
Ma chi segue questo blog, già conosce Marco Zanotti, ospite qui la sua Classica Orchestra Afrobeat.
Torna qui con questo progetto esplosivo, etnico, etico, pieno di patos, come una bella mocca di buon caffé (e lo dico, amando il caffè, anche se l'ho abbandonato da circa un mese e più, per altre bevande, per motivi miei, ma l'ho amato tanto).
Il disco è fatto per ballare, lottare e pensare, con i suoi dieci pezzi originali più due cover.
Canzoni preferite? Tutte.
Anche se capisco quando mette tra i suoi pezzi preferiti Sakpata mantrico più di tutti, intenso, corale ... fiati da panico.
O JJD cover di un pezzo del grande di Fela Kuti, con fiato e fiati, ritmo, magia, lunga 10 minuti e passa per chiudere alla grande il disco.
Un altro pezzo che resta molto è Suda, organetto magico subito in evidenza, con ritmi caraibici, gran testo libertario da mandare a memoria.
Ma potrei dire anche Aguacante, che apre in modo perfetto il disco dando la direzione, Sereia dalla voglia incontenibile di ballare, Allenko quasi jazz dedicato a Tony Allen, la title-track che spacca, Funky Oli, lagoa, Passa Passa ... tutto, tutto il disco, che qui in palude ascoltiamo e riascoltiamo fino alla noia.
Posta un commento
Iscriviti a Commenti sul post [Atom]
<< Home page