NOTE SINTETICHE ALL’ASCOLTO DEL DISCO
GENERE Ambient, electronic, drone
DOVE ASCOLTARLO: Spotify, YouTube (official), YouTube (playlist), Bandcamp
LABEL Seven Villas Voyage
PARTICOLARITA’ Se c’è, preferisco che a trovarla e definirla sia chi ascolta [onirismo che spacca, secondo definizione dell’Alligatore, che interviene in questi casi]
CITTA’ Verona
DATA DI USCITA 2 gennaio 2024
L’INTERVISTA
Come è nato They, Whom The Gods Want To Destroy?
Seconda uscita di questa nuova fase del mio trentennale percorso musicale, l’album è nato durante i mesi di lockdown del 2020, come migliaia di altri progetti artistici motivati da quella opprimente, angosciante situazione fisica ed emotiva. L’inizio di quel periodo difficile distava appena qualche mese dalla pubblicazione di The Barrier Of Solitude, il primo album, ma già mi trovavo al lavoro sul successivo. È stata una naturale reazione a quanto stava accadendo, un tentativo personale, molto intimo, di vivere il “qui ed ora”, aggrappandomi alla creazione musicale. Ho sentito la necessità di interpretare quegli eventi mentre si svolgevano, come per ridurli ai minimi termini e metterli poi in prospettiva, nel tentativo di accettarli e superarli. Niente è stato più forte di quell’urgenza.
Come mai questo titolo?
Non sono molto incline a
spiegare per filo e per segno il titolo di un’opera composta da brani
strumentali che in fondo dovrebbero essere, per loro stessa natura,
auto-esplicativi come semplici dati di fatto. È giusto che sia chi ascolta ad
interpretare, secondo la propria sensibilità, ciò che quelle parole ed i suoni
ad esse associati possono suggerire. I titoli hanno
una funzione evocativa, è chiaro, perché i nomi hanno potere. Ma questo non
vuol dire che abbiano lo stesso significato per tutti coloro che ascolteranno
l’album. Possono introdurre all’ascolto della musica ed alle emozioni che essa può
generare, questo sì, ma non vogliono necessariamente indicare una direzione. Si
limitano ad aprire una porta. E la medesima porta può dare su stanze diverse. Gli eventi occorsi negli ultimi quattro anni
rappresentano a mio parere un duro banco di prova per l’umanità intera: la
perdurante crisi economica, il riscaldamento globale, la pandemia e quella che
molti analisti definiscono come una terza guerra mondiale combattuta a zone
sono elementi che hanno messo una grave ipoteca sul nostro futuro. Cosa possiamo
fare, di fronte a sfide enormemente più grandi di noi, se non stringerci ai
nostri affetti, aumentare la consapevolezza di quello che stiamo vivendo e
cercare di resistere in qualche modo, immaginando e progettando una vita
migliore, più equa e più giusta? Questo, ripeto, potrebbe essere uno dei
significati attribuibili al titolo dell’album. Alcuni riconosceranno facilmente
questo percorso, altri ne intuiranno uno diverso. Alcuni preferiranno
inventarsi il loro.
Come è stata la genesi dell’album, dall’idea iniziale alla sua realizzazione finale?
Sono un polistrumentista
autodidatta e nel mio caso questo significa non avere un metodo compositivo
preciso. Tutto si basa sull’intuizione del momento, quindi il processo creativo
a volte funziona ed altre no. Tuttavia anche i passi falsi possono regalare
spunti interessanti e soluzioni sonore che non avevo considerato. “Onora il tuo errore come se fosse
un’intuizione nascosta” è un insegnamento di Brian Eno che tengo sempre
presente. Per comporre uso la mia DAW di
fiducia, una tastiera o una chitarra, ma all’occorrenza posso passare al basso
oppure alla batteria, se il tono e la direzione del brano necessitano di una
pulsazione che suoni più umana di quella di un sequencer. Tutto poi viene
editato e processato in modo da curare e controllare ogni minima sfumatura. Una
volta raggiunto il risultato finale - o meglio, il più possibile dei risultati
finali che le mie capacità mi concedono - mi sforzo di osservarlo da lontano al
pari di un fenomeno transitorio, di un oggetto qualsiasi incontrato per caso e
cerco di capire quali associazioni mentali mi suggerisca. Allora penso ad un
titolo, qualcosa che per me ne rappresenti l’essenza, il significato. Altre
volte accade invece che siano delle frasi o delle parole arrivate da chissà
dove nella mia testa a dare il via alla composizione musicale. Da un punto di
vista strettamente tecnico, mentre il primo album è stato mixato da Davide
Saggioro e masterizzato da Lawrence English, questa volta ho affidato le due
fasi a Luca Tacconi. In entrambi gli album si è trattato di esperienze per me
fondamentali a livello professionale, musicale e soprattutto umano.
Qualche episodio che è rimasto nella memoria durante la lavorazione del disco?
A ben vedere si tratta sempre di situazioni che nulla hanno a che fare con la sfera musicale. Cose relative alla mia vita privata, che quindi custodisco gelosamente. Grandi e significative per me e magari piccole ed inutili agli occhi degli altri. Parlarne non ha molto senso.
Se fosse un concept-album su cosa sarebbe? … tolgo il fosse?
Considero sia questo che The Barrier Of Solitude dei concept-album, così come lo è quello a cui sto lavorando in questi giorni e come lo saranno i successivi. C’è sempre un concetto di base attorno al quale i vari elementi si intrecciano. Sarebbe lo stesso se si trattasse di canzoni vere e proprie anziché di brani strumentali. Per They, Whom The Gods Want To Destroy il tema è la resistenza. Non la resilienza, si badi bene. Quest’ultimo è un concetto ormai abusato, inaridito e comunque implicito nel primo, che invece non passa mai di moda e che non dobbiamo dimenticare mai. Inoltre, il metodo d’ascolto di oggi è molto diverso da quello del passato: lo streaming musicale ha cambiato le abitudini degli ascoltatori e persino il modo in cui la musica è concepita, registrata e mixata. È una cosa di cui tener necessariamente conto, che da una parte è un limite spesso frustrante ma dall’altra è una sfida per trovare nuove soluzioni creative e d’espressione. In questo senso credo che l’ottica del concept-album possa risultare come un invito ad un ascolto più personale, più attento, più attivo, anche se fatto su di una piattaforma, attraverso le cuffie di un telefono. Anche per questo motivo non concepisco la mia ambient come semplice musica d’arredamento. Più Cage ed Eno che Satie, insomma.
C’è qualche pezzo che
preferisci? Qualche pezzo del quale vai più fiero di They, Whom the Gods Want to Destroy che ti sembra
ideale da fare live?... altri tuoi brani?
Sono legato a tutti i brani presenti nel disco. Esattamente come per quello precedente. Sono parti di me che hanno ricevuto la medesima attenzione, il medesimo rispetto, in ogni fase. Sono affezionato a tutti loro, ma se proprio dovessi sceglierne alcuni allora direi See You In The Next World e My Last Cup Of Coffee On The Way To Basel da The Barrier Of Solitude e The Ghost Of The Future e Never Let Me Go da They, Whom the Gods Want to Destroy, per motivi che non voglio approfondire. Discorso a parte merita invece I Talked With My Shadow che Francisco López aveva inserito in Audiosphere, la sua installazione tenutasi al museo Reina Sofia di Madrid nell’ottobre del 2020. E’ stato un onore per me. Di conseguenza provo un affetto particolare per quel brano.
Come è stato produrre questo disco... chi ti è stato più vicino?
Gli amici. La mia compagna. Anche se non potevamo vederci di persona per via del lockdown, tutti loro hanno contribuito in diversi modi ed in diverse fasi con le loro impressioni e le loro opinioni. A volte anche una semplice frase può cambiare il corso degli eventi, indicandomi sentieri o spalancando porte che non avevo notato in precedenza.
Come è nata la copertina?
È opera di Shelby Boszor, un fotografo che collabora spesso con la Seven Villas e che aveva firmato anche la copertina di The Barrier Of Solitude. Mi piace il suo stile perché c’è molto silenzio nelle sue immagini.
Come presenti il disco dal vivo?
A differenza di quando suono in concerto con le mie due band - Kailashnero e Die By Law – trovare una dimensione live per della musica ambient presuppone un approccio radicalmente diverso, soprattutto da un punto di vista concettuale. Nell’ultimo album ci sono tracce, come Like Rain In An Old Movie, che contengono parti registrate durante un concerto di qualche anno fa e mi piaceva l’idea di decontestualizzarle e trascinarle dal passato fin qui nel presente, per far assumere loro un significato diverso da quello per cui erano state pensate. Vorrei elaborare una struttura musicale della durata di diverse ore e basata interamente sul dream chord di La Monte Young e vedere il pubblico entrare nella sala o lasciarla a suo piacimento, oppure portarsi una coperta ed un cuscino per dormire sul pavimento. Le luci e la parte visiva dovrebbero avere un ruolo cruciale. Robert Rich, un altro artista che apprezzo molto, allestisce happening simili. Mi piace l’idea che chi ascolta una musica così atemporale abbia la libertà totale di viverla come crede più opportuno, a differenza di un tipico concerto rock, persino annoiandosi e decidendo di tornare a casa. A volte vorrei comporre panorami sonori che possano diventare, per chi vuole immergercisi, come una sorta di rifugio, di luogo sicuro, lontano dal clangore di questa società impazzita. Non si tratta semplicemente di usare sintesi sottrattiva e accordi in maggiore, bensì uno stato mentale più positivo, più illuminato. Una condizione a cui io, per primo, sento che dovrei tendere.
Altro da aggiungere?
Amo la musica. Per me è impensabile vivere senza. Mi piacciono William Basinski, Liz Harris e Johann Johannsson, che gusto con parsimonia, come faccio con i Joy Division o i Nine Inch Nails, in momenti scelti con cura, come si fa con le cose preziose. Per il resto ascolto di tutto, detesto diverse cose e molte altre mi lasciano assolutamente indifferente. Alcune invece le odio e basta. L’ispirazione arriva da un libro, un film, un luogo che ho visitato, una persona che ho incontrato. Un ricordo. Un sogno. È bello ricevere l’ispirazione da un sogno, dalla propria parte inconscia, più profonda. Si possono imparare molte cose da questo. Il che mi fa pensare che dovrei dormire di più e sognare meglio. Ma non ci riesco. Forse avrò tempo di farlo, in futuro.
ALTRE MIE ESPERIENZE:
Colony (progetto di ricerca musicale in ambito elettronico, attivo dal 2007 al 2018)
We Are Invisible Now (tre compilation con artisti ambient internazionali che ho ideato e curato)
Per Fare Spazio (album del cantautore John Mario che ho prodotto)
Kailashnero (band di cui sono il chitarrista solista)
Die By Law (band dove sono il batterista da giugno 2023)
Ospite per la prima volta in palude Sebastiano Effe e la sua musica elettronica di Resistenza, in un disco nato nell'anno di disgrazia 2020, ancora una volta fecondo di cose che fanno riflettere (e ci portiamo dietro, come riflesse in uno specchio).
RispondiEliminaMi fa piacere ospitarlo perché l'ho conosciuto di persona , proprio in questi anni pessimi, scoprendo poi che era un ottimo musicista (come si legge nell'intervista, è presente in più di un progetto musicale, ed essendo della mia città sono riuscito a sentirlo in qualche concerto).
RispondiEliminaMa veniamo al disco, They, Whom the Gods Want to Destroy musica elettronica, "più Cage ed Eno che Satie" come ci tiene a dire nell'intervista, e direi che si sente, la sua non è un semplice bel sottofondo...
RispondiEliminaLa mia preferita, anche se, devo ammettere, non è facile segliere è What Is Left In This World Is Enough To Make You Smile, che ti sembra di vedere delle nubi che girano in testa in un mondo che sta finendo, e tu provi a ridere con la faccia di Joker (ovviamente quello di Joaquin Phoenix, del 2019, poco prima che il mondo scoppiasse)
RispondiEliminaE qui, si aprirebbe un mondo: un critico si fa influenzare dai titoli dei brani?... come accennda nell'interista Sebastiano.
RispondiEliminaDreams Will Remember Me brano giocattoloso quasi, come possono essere i sogni, anche se non avrei mai pensato di usare un termine così per questo disco (e mi immagino la risata di Seba).
RispondiEliminaThe Day After The Arrest dilatato, cosmico, da fantascienza, ma anche da dramma attuale, semplice. un arresto di una semplice persona sconosciuta, in mezzo alle montagne, oppure in una grande città un intellettuale anticonformista arrestato per le sue idee (a me viene in mente Assange).
RispondiEliminaNever Let Me Go è una breve scheggia di 1 minuto e 29', che ha dentro tutto ... non è difficile capire il perché Sebastiano Effe la citi tra le sue preferite.
RispondiEliminaMa anche The Ghost Of The Future ha dentro tutto, non solo musicalmente, e non è difficile capire perché la ritenga importante... per i motivi suoi, che possono essere anche i miei e/o i vostri. Mi sembra di vedere delle nubi moinacciose mentre l'ascolto...
RispondiEliminaMusica elettronica che apre la mente, giri onirici e giri concreti nel cervello... ascoltate Sebastiano Effe.
RispondiElimina