NOTE SINTETICHE ALL’ASCOLTO DEL DISCO
GENERE musica d'autore, cantautorato
DOVE ASCOLTARLO su tutte le principali piattaforme digitali, tipo youtube, spotify, apple music...
LABEL Artist First
PARTICOLARITA’ tutte le parti pianistiche e orchestrali sono state scritte ed eseguite dall’Autore sovrapponendo le tracce con l’ausilio di un solo pianoforte elettrico modificato volta per volta nei timbri; lo stile di scrittura unisce la Musica Classica alla Canzone d’Autore
CITTA’ Savona
DATA DI USCITA 01/2020
L’INTERVISTA
Come è nato “Il Giardino di Mai”?
È nato dalla creatività di un ragazzo schivo alle persone, esule volontario in un’oasi incantata sulle colline dell’astigiano per quasi tutta la giovinezza e l’adolescenza.
A 39 anni mi sono voltato e mi sono accorto di aver fotografato la mia vita in 35 canzoni. Successivamente, mi sono accorto che ancora 4 e facevo 39 su 39. Peccato.
Ora, visto che sapevo più o meno suonare e cantare, ho ragionato fosse corretto lavorare a un disco.
Cosi, quando ho avuto abbastanza soldi per inciderlo e non abbastanza per coinvolgere dei musicisti veri, la necessità mi ha portato a sovrapporre tastiere elettriche a tastiere di pianoforte, per creare un’orchestra immaginata e possente che accompagnasse la mia voce nel racconto delle storie.
Come mai questo titolo? Cos’è il Giardino di Mai?
È un luogo che non può esistere. È la dimensione in cui ogni diversità è sollevata dal giudizio, per dirla semplicemente.
Più compiutamente, è la trasposizione per musica e parole della Stanza degli Orologi di Mastro Hora nel Momo di Michael Ende.
Come è stata la genesi dell’album, dall’idea iniziale fino alla sua realizzazione finale?
Parlai distrattamente con una ex collega del fatto che avessi delle canzoni.
Lei disse: fammele ascoltare.
Sono belle, disse, dovresti inciderle.
E così ebbe inizio tutto.
La realizzazione fu ogni mercoledì e giovedì notte per due mesi, dalle 22:00 alle 03:00 circa, presso una piccola Sala di Incisione di Torino. Nei week end scrivevo sul pianoforte di casa le musiche per piano e orchestra, in settimana le incidevo e non vedevo l’ora di riascoltarle, per sentirne l’effetto.
Poi la mattina mi alzavo e andavo a lavorare, fino a sera. E la cosa mi piaceva.
È stato come un sogno dove provi un dolore lontano, ma ti senti stanco e felice, e non vedi bene, e non capisci se è vero o no.
Qualche episodio che è rimasto impresso nella lavorazione del disco?
Quando ho visto per la prima volta quante note riuscivo a suonare con il piano elettrico in un bpm. Il piano elettrico ha una tastiera decisamente più leggera di un pianoforte vero e andavo come una lepre.
Quando i puntini delle note sono comparsi sul pentagramma senza righe del software Apple, il ragazzo al mixer, che era chiaramente un chitarrista, ha detto: “Non avevo mai visto così tante note in un bpm!”
Io, che ero soddisfatto e cosciente del miracolo, ho stretto la bocca e ho risposto: “Ah, sì?”
Se fosse un concept album, su che cosa sarebbe? Tolgo il “fosse...”
Sarebbe il romanzo di formazione di un uomo che diventa un uomo sconfitto, dopo che non è stato mai davvero un ragazzo.
C’è qualche pezzo che preferisci? Qualche pezzo del quale vai più fiero de Il Giardino di Mai? Che ti sembra ideale da fare live?
Sicuramente Due Quadri di Chagall: ha un ritmo incalzante dalle cadenze gitane, una combinazione rapida e insistita di archi che simulano buffi di vento, un pianoforte indiavolato che arpeggia velocissimo sulla tastiera, un’anima nobile e alta radicata nelle magie del genio onirico di Chagall.
E poi è un canto che sa di terre lontane e di radici profonde e di misteri senza tempo.
Sono contento di averla scritta e amo eseguirla anche solo nell’arrangiamento semplificato piano/percussioni/voce.
Come è stato produrre questo disco? Chi hai avuto vicino maggiormente?
E’ stato un viaggio ogni notte diverso. Una volta nella follia de Il Paroliere, un’altra nel Per Sempre di un amore perduto, un’altra ancora nel Castello di Prospero governato dalla Maschera della Morte Rossa, e poi via sull’ultimo viaggio de La Donna di Uri, tra la velata malinconia de Il Gatto del Pianista.
Sicuramente la compagnia e la solitudine del fonico è stata fondamentale per la buona riuscita del progetto. Ho avuto la fortuna di collaborare con un professionista capace e desto nell’intuire i miei desiderata, nell’anticipare le mie indicazioni.
Ne ho apprezzato soprattutto la discrezione: avrei potuto fare un pessimo disco e non mi avrebbe detto nulla.
Copertina molto particolare, ricorda il mondo di Tim Burton, per certi aspetti… Come è nata? Chi è l’autore?
L’indicazione per la grafica era quella di ideare una crasi tra le illustrazioni de “Il Piccolo Principe” e quelle di “Alice nel Paese delle Meraviglie”: figure semplificate, più simili all’abbozzo di un bambino che allo studio di un disegnatore collaudato.
Il risultato è stato spettacolare: tutti i miei personaggi fermi oltre il cancello della tenuta di famiglia, bianchi su sfondo nero lucido, ognuno con la sua storia e la sua buona parte di tragedia.
L’autore è un giovane torinese, laureando in Arti Grafiche: un talento di cui probabilmente sentiremo parlare.
Come presenteresti il disco, se fosse possibile?
Con un’orchestra vera, un piano a coda Steinway e una soprano per i controcanti della titletrack.
Oppure con un Klingmann mezzo scordato di fine Ottocento, reduce da migliaia di miglia nautiche, una percussionista formidabile e veloce e una corista a cui scrivere appositamente i temi delle seconde voci.
Con mille persone di pubblico o una persona sola, in una qualunque notte stellata, in un qualunque posto del mondo.
Insomma non importa come, purché non svanisca mai la magia.
Come se la passa la musica indie?
Prima di rispondere, ho cercato cosa significhi “Musica Indie”. L’origine del termine, intendo.
Significa: “Musica indipendente, generalmente autoprodotta, di filosofia contrapposta alla cultura delle Major e alla loro macchina produttiva.”
Poi, sono andato a trovare quali siano i cantanti riconosciuti più rappresentativi di questa tipologia di musica, e ho visto che questi cantanti hanno tutti contratti milionari con le Major.
Indie per cui, ho avuto da subito chiaro come se la passi. E dove.
Passa esattamente dove sono passate tutte le musiche che dicono di non essere interessate al successo universale proprio mentre bestemmiano perché non lo raggiungono e non si spiegano come mai tutti gli altri sì e loro no.
Probabilmente, chiamiamo indie la presunzione di libertà dei musicisti poveri finché non diventano ricchi.
Dunque, per rispondere, se la passa come una cosa che esiste giusto finché non diventa esattamente quello che giurava di non voler essere.
Ad ogni buon conto, e per concludere, penso che la sola musica propriamente indie sia quella di un cantautore che non si esibisca mai. E quella sì, che se la passa bene: sicuramente indie venire...
Un disco particolare, da un talento particolare, questo Diego Bitetto. Da ascoltare bene, bene sia per i suoni, sia per le parole... e poi è un disco di quasi un'ora, cosa rara di questi tempi veloci.
RispondiEliminaCanzoni stralunate e naif alla Tricarico, secondo l'amico Jonathan Giustini, e che a me fanno venire in mente anche Dino Fumaretto.
RispondiEliminaCome dice nell'intervista, è un disco con tante canzoni perché è il disco che raccoglie canzoni di una vita, i suoi primi 40 anni... di musica, di parole (Bitetto è anche poeta aulico, e si sente).
RispondiEliminaLa mia canzone preferita, tra le tante, tantissime che mi piacciono, è la title-track Il giardino di Mai.
RispondiEliminaMagica la title-track, molto Edward Mani di Forbice, come la copertina (anche se nell'intervista dove la cito, ha svicolato, forse non ha visto quel film). Ma lo ricorda sia nella musica, nei cori angelici, nella storia d'amore difficile, diverso ....
RispondiEliminaAnche Bolivar Bridge mi ricorda quel mitico film, in particolare per i coretti angelici. C'è poi il piano, che è onnipresente in questo bel disco, e un certo andamento poetico-politico surreale.
RispondiEliminaImpossibile non pensare a De André in canzoni come Nascondino, filastrocca carnale e ironica (ricorda Volta la carta) o in Onoterapia, favola satirica sulla mancanza di soldi.
RispondiEliminaMi piace molto anche L'amore che toglie per l'ironia e il testo duro, crudo, e la musica da favola gotica (ancora lui, Edward mani di forbice).
RispondiEliminaGran finale con La Maschera della Morte Rossa, citazione del grande E.A.Poe, esplicitamente letto all'inizio. Citazione che ci sta tutta, visti i tempi pandemici. Profonda riflessione su se stesso e la (a)socialità.
RispondiEliminaMa è un disco tutto da ascoltare questo del mio omonimo Diego Bitetto. Ascoltatemi, ascoltatelo.
RispondiEliminaDa ascoltare con attenzione, mi pare.
RispondiEliminaAscolterò con attenzione
😉
Bravo Albert, vedo che ascolti i miei consigli attentamente 😉.
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