NOTE SINTETICHE ALL’ASCOLTO DEL DISCO
GENERE Stoner/punk/rock’n’roll
DOVE ASCOLTARLO Bandcamp, Spotify, Apple Music, Google Play, Deezer, YouTube Music,
LABEL Go Down Records
PARTICOLARITA’ Un amplesso tra lo stoner e il punk.
CITTA’ Bolzano (e valli del Trentino Alto Adige)
DATA DI USCITA 27/11/2020
L’INTERVISTA
Come è nato Human Obsolescence?
In origine l’idea era quella più tradizionale, cioè di registrare, fissare e promuovere un po’ di materiale che avevamo sperimentato nei live, poi è cresciuta la convinzione di voler creare un album che avesse una sua identità e che fosse qualcosa di più di una raccolta, che avesse un senso e una struttura, quindi si sono aggiunti brani pensati apposta per Human Obsolescence.
Come mai questo titolo? … cosa vuol dire?
Nasce da una certa passione per l’immaginario cyberpunk. L’obsolescenza è quel fenomeno per cui a un certo punto un oggetto smette di essere utile e valido. In questo caso è la nostra umanità a diventare obsoleta. Ci siamo immaginati un mondo che potesse dare una sorta di ‘ambientazione’ ai nostri brani, un luogo in cui ha perso di valore la parte più umana di noi esseri viventi, che viene barattata in cambio di tecnologia spicciola e piaceri della comunicazione. È un tema ricorrente nella fantascienza e nel cyberpunk, ma non poi così distante dalla realtà attuale. Inserire tutto in un immaginario è un’operazione di astuzia, che consente di esprimere emozioni e pensieri lasciandoti ampia libertà di azione. È un escamotage, ti permette di dare un valore in più a quello che è pur sempre del brutale rock’n’roll.
Come è stata la genesi dell’album, dall’idea iniziale alla sua realizzazione finale?
Il percorso è stato lungo. Abbiamo scritto, provato, riscritto, lavorato molto sul legame tra i pezzi. Abbiamo cercato di portare in studio il suono che ci siamo creati, e questa è sempre un’operazione difficile e raffinata perché chiunque, dentro e fuori la band, ascolta e sente con orecchi diversi. Fare la sintesi e tradurre il suono che percepisci e desideri riprodurre, anche a te stesso, è qualcosa di complesso. Abbiamo realizzato una prima pre-produzione di tutto l’album presso i Beat Studios di Bolzano con Andrea Polato, poi registrazione per il disco, mix e master sono stati effettuati e curati da Daniel Grego al Mal de Testa Studio con la collaborazione di Pif (Frizzer Studio, Trento).
Qualche episodio che è rimasto nella memoria durante la lavorazione del disco?
Tanti incontri per parlare e discutere di suoni e brani. Forse abbiamo discusso fin troppo, ma ognuno ha il suo modo di procedere. La registrazione finale è stata rapida, molto stancante. Abbiamo dormito pochissimo. Era davvero umido e caldo. Zanzare. Ma a quanto pare torturano solo alcuni prescelti.
Se fosse un concept-album su cosa sarebbe? … tolgo il fosse?
Sì, in effetti, potrebbe essere recepito come un concept-album, anche se la nostra intenzione non è mai stata quella di creare un ‘concept’. Il nostro desiderio era che i pezzi non fossero del tutto indipendenti tra loro, ma che ci fosse un collante nascosto, che fossero accomunati da una stessa sensazione all’ascolto, da un’atmosfera, e da alcune tematiche che si rincorrono nei testi, volutamente non dichiarate. Diciamo che il nucleo profondo potrebbe essere il rapporto tra uomo e tecnologia. Ma più che raccontare in modo narrativo e lineare, come avviene nei concept in senso stretto, qui vogliamo solo suggerire, e lasciare all’ascoltatore i dubbi e il piacere di cogliere suoni e riferimenti.
C’è qualche pezzo che preferite? Qualche pezzo del quale andate più fieri di Human Obsolescence? … che vi sembra ideale da fare live?
Beh ovviamente – come tanti – amiamo le nostre creature in egual modo. Nei live sono sempre tutti divertenti da eseguire, spingono molto e non deludono mai, anche se di sicuro ognuno ha il suo preferito. Forse, dal punto di vista del suono i più rappresentativi sono Got no choice e The Show must go wrong, per le parole e il significato invece, Fluck of Faith e Seed.
Go Down Records a produrre… come mai con loro? Come vi siete trovati?
Molti colleghi e amici, in passato, ci avevano consigliato vivamente di pensare alla Go Down Records, sia per il genere musicale che promuovono, sia per l’attitudine nel modo di pensare la musica. Ci siamo messi in contatto e le cose sono andate per il meglio. Go Down Records è una realtà tra le principali e trainanti non solo in Italia, per il nostro genere (e molto altro), basta dare un’occhiata al loro catalogo per farsi un’idea. Ci troviamo del tutto a nostro agio.
Molto forte la copertina, direi d’impatto, buona per un romanzo di Philip K. Dick. Chi l’ha pensata? Chi l’autore?
Ottimo riferimento. In effetti la fantascienza di Dick è una delle ispirazioni che ci hanno portato a fantasticare sull’ambientazione dei nostri suoni e testi. L’immagine è ancora un rimando al tema uomo/tecnologia di cui si parlava prima. La copertina è un’idea e opera originale di Tomas (voce e chitarra degli Shame on Youth!).
Come presentereste il disco dal vivo … una volta possibile?
In modo compatto e collaudato, come in parte lo abbiamo portato in giro già prima della pubblicazione. Ci sarebbe piaciuto fare una presentazione e un tour ufficiale, magari si farà, ma nel frattempo, visti i tempi, stiamo già preparando i materiali per un nuovo album. Quindi vedremo, forse uniremo più cose, chissà.
Come se la passa l’underground italico oggi, tra un lockdown e l’altro?
La situazione è assolutamente difficile. A livello ‘di cuore’ immaginiamo che tutti gli artisti abbiano tanta voglia di fare e tornare a vivere la musica in tutti i suoi aspetti, sai, la carica accumulata in un anno di blocco non aspetta altro che esplodere. Purtroppo, dal punto di vista pratico, al momento le cose vanno in senso negativo. Abbiamo avuto notizie preoccupanti di persone in difficoltà a portare avanti la propria attività, non solo musicisti, ma soprattutto lavoratori del settore musicale e dello spettacolo. L’underground, essendo appunto un ‘mondo di mezzo’, vive della partecipazione e della collaborazione reale tra le persone, ha il uso apice e il suo luogo naturale nella musica eseguita dal vivo e nella presenza vera del pubblico e degli affezionati. Inoltre, tutto il circuito indipendente/underground non è mai abbastanza considerato come reale valore culturale, rimane sempre escluso dai discorsi che riguardano la cultura. Come sempre, vengono salvati solo gli eventi grandi e di facciata. Certo, si è ovviamente incrementato l’ascolto sulle piattaforme in rete ma non può esistere solo quello, sarebbe proprio come dichiarare la musica dal vivo l’ennesimo fenomeno di ‘obsolescenza umana’. Il web è un orizzonte di isolamento, non di incontro. Non si può sostituire la dimensione del concerto, con tutti i suoi piaceri connessi.
Un vero piacere ospitare in palude a notte fonda (quando sennò?) i Shame on Youth!, con un disco uscito sul finire dello scorso anno, ma attualissimo e tutto da ascoltare (anche se, come dicono nell'intervista, ne stanno pensando già uno nuovo).
RispondiEliminaUn disco che scivola via liscio nelle sue massicce nove tracce per 31',17''.
RispondiEliminaMusica radicale fin dalle iniziali Got No Choice e The Show Must Go Wrong, non a caso citate come le più rappresentative come suono ...stoner rock'n'roll tirato, senza sconti, con un gran ritmo e le chitarre presenti/pressanti.
RispondiEliminaCome del resto è giustamente indicata Seed, canzone robotica, forte, malata, dilatata/dilatante come la realtà che vuole rappresentare.
RispondiEliminaMolto buona anche A Bunch Of Crap (I Don't Care About) con la chitarrache si fa strada tra il basso e la batteria, liberando energia che si porta poi avanti con il cantato.
RispondiEliminaPiacevolissima e d'impatto Premium 9,90, che ricorda i buoni vecchi Led Zeppelin.
RispondiEliminaE che dire del singolo?... Uniform decisamente ben calibrato ... un classico dello stoner fin dal primo ascolto, che ci ricorda come abbiamo perso l'umanità (stupendo il video, tra l'altro, che potete godervi a fine intervista).
RispondiEliminaInsomma mi sono piaicuti questi Shame On Youth! all'esordio ... auguro loro di poter fare molti altri dischi, con al stessa vibra e spirito radicale. Alla Philip K. Dick
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