Vito
Solfrizzo, La terra dei re
Autoproduzione
Secondo album solista del cantautore rock
pugliese, tra impegno e cose sue, dopo l’esordio Nove del 2017. Come in quello, anche in La terra dei re, mostra un’impronta personale, belle chitarre,
belle tastiere, cose da dire sul mondo e ciò che ci gira attorno. Tutto questo
in undici pezzi diretti e onesti, senza voler strafare.
Grande attacco rock nell’iniziale Il paradiso dei sogni, voce/chitarra,
ovviamente elettrica, sull’utilità dei sogni anche se …, chiusura con un bel
pezzo dedicato al nonno, che molto ha insegnato a lui Una canzone nel vento, il pezzo più pop classico del mazzo. Grande blues,
che dice molto sull’Italia di oggi che non va Conquiblues, con parole sentite sulla propria pelle, come la
seguente Mi adatterò, rock da giovane
indignato. Patos e intensità in L’ombra
del sole, sul lato oscuro dentro di noi.
“Chi siede lassù vorrebbe un mondo da poter
comandare e gestire a proprio piacimento, ma io credo che ci sia ancora
speranza, il mondo sta cambiando, e sono sicuro che saremo noi a mettere
l’ultimo mattone per costruire il nostro destino…” queste le parole di
presentazione di La terra dei re. Mi piace
questo spirito.