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sabato 9 febbraio 2019

In palude con Roberto My

NOTE SINTETICHE ALL’ASCOLTO DEL DISCO
GENERE Alternative rock / indie rock
DOVE ASCOLTARLO su Spotify
LABEL I Dischi del Minollo
PARTICOLARITA’ iscritto al club della musica americana
CITTA’ Roma
DATA DI USCITA 18 gennaio 2019
 
L’INTERVISTA
Come è nato Flares?
Flares nasce dalla voglia di tornare a scrivere e fare musica, dopo più di dieci anni di lontananza dai palchi e dallo studio di registrazione. Afternoon Pleasures, l’ultimo lavoro dei Volcano Heart, la band da me fondata a Bologna a metà degli anni Novanta, era uscito nel 2005. Durante i Novanta, i miei anni universitari, era stato facile fare musica. Io, per esempio oltre a suonare e cantare nei Volcano Heart, suonavo il basso nei Terapia d’Urto, la band noise-rock messa su dai  fratelli Matteo e Luigi Morra, due amici originari come me del Salento; e tra la fine dei Novanta e i primi dei Duemila, ho suonato pure la chitarra nei 3000 Bruchi, una band indie-pop-rock col cui cantante Stefano Rosanelli, un caro amico, ancora sono in contatto. Entrambe le band avrebbero meritato ben altra fortuna, perché la stoffa c’era.
Ad ogni modo la nostra vita in quegli anni era piena di musica e io ne ero entusiasta. Poi siamo cresciuti e il lavoro ha fatto si che una grande passione fosse relegata sempre più ai margini. Io mi sono trasferito a Roma e per quasi dieci anni, tranne un tentativo subito naufragato, niente più canzoni né concerti. Nel 2015 ho deciso che o riprendevo a suonare con continuità, con impegno, o sarei morto dentro, e da questa volontà di “sopravvivenza” che è nato Flares.
Perché questo titolo? Che significa?

“Flare” significa bagliore, ma anche fiammata. E’ luce nella notte. Ho scelto questo titolo perché, se penso a questi ultimi anni, per me questo disco è come una luce in fondo al tunnel.
Come è stata la genesi del disco, dall’idea iniziale alla sua realizzazione finale?

Come dicevo prima, la genesi è una voglia di sopravvivenza. Nel 2015 ho ripreso a scrivere canzoni con l’idea di tornare in studio. Ho anche iniziato a riarrangiare e a sviluppare alcune idee musicali che mi erano venute durante gli anni di vita romana. Quindi prima da solo a casa, e poi con l’aiuto della mia amica Micol Del Pozzo al basso e di Pasquale Montesano (che milita nella band romana Mia Wallace) alla batteria, durante la primavera del 2017, abbiamo testato i brani in sala prove. Sia quelli un po’ più datati (Last Summer Ruins, Black Sky e My Sign on You-Part 1), sia quelli scritti poco tempo prima di iniziare le prove per andare in studio (Motherland, World of Sound e i due strumentali dell’album My Sign on You-Part 2 e Congo). Micol, che io considero la co-pilota di questo progetto musicale, indipendentemente dal fatto che porti il mio nome, mi ha anche suggerito la persona con cui registrare il disco, Danilo Silvestri, l’ingegnere del suono, tra gli altri, della band romana Giuda, che lei conosceva personalmente avendoci già lavorato. E la scelta si è rivelata azzeccatissima visto che Danilo, nel suo GreenMountainAudio, a Roma, ci ha messo a nostro agio ed è stato paziente e prodigo di consigli. Sia durante la fase di registrazione sia durante il missaggio, entrambe lunghe perché in mezzo ci son stati dei periodi all’estero di Danilo, in tour con i Giuda.  
Qualche episodio che è rimasto nella memoria durante la lavorazione dell’album?

Beh, quando ho utilizzato il Big Muff, un pedale distorsore per chitarra molto in voga già a cavallo dei Sessanta e i Settanta tra alcune band storiche quali Stogees di IggyPop, MC5, e a cui i Mudhoney, una delle grunge band che ho amato di più, hanno dedicato il titolo del loro primo Ep, SuperFuzz BigMuff.  Me l’ha proposto Danilo (era in dotazione nello studio) sul brano Last Summer Ruins e io allora ne ho veramente abusato. E tutto il brano è un omaggio al Seattle sound, Afghan Whigs su tutti.
Se Flares fosse un concept-album su cosa sarebbe? … anche a posteriori.
Un concept sul tempo che passa e sul potere salvifico della musica. E in un certo senso lo è. Quest’idea è presente nel testo di alcune canzoni quali Motherland, di cui è uscito il videoclip che ho personalmente scritto e realizzato (clicca qui per vederlo) e in World of Sound.
C’è qualche pezzo che preferisci? Qualche pezzo del quale vai più fiero dell’intero disco? … che ti piace di più fare live?

Se proprio devo indicarne qualcuna, sul disco, oltre le due appena citate, anche Black Sky, che è il brano più vecchio presente sull’album. Dal vivo mi piace  soprattutto Motherland. Ha un testo che sento molto e un mood malinconico ed energico allo stesso tempo. Credo che ben rappresenti l’idea che ho della mia musica: un mix, spero ben riuscito, di luce e ombra. 
Come è stato produrre il disco con la ormai mitica Dischi del Minollo? Chi altri vicini a te, dal punto di vista produttivo?
Sono molto contento di essere entrato a far parte della family de I Dischi del Minollo. Francesco Strino che dell’etichetta è l’animatore, è un vero appassionato di rock alternativo in tutte le sue declinazioni (post, noise, indie etc.). Ha un grande background musicale e con la sua label (che esiste da più dieci anni) è, al contrario di tante altre etichette italiane che operano nel settore, immune alla moda del momento.  Essere stato “notato” da Francesco mi inorgoglisce.
Per ciò che riguarda la produzione artistica oltre a Danilo Silvestri, che è stato sia l’ingegnere del suono, sia un gran suggeritore di idee durante la registrazione, devo molto anche a Federico Festino, un caro amico, polistrumentista, che per un periodo ha suonato nei Volcano Heart e che ora vive a Copenaghen dove partecipa a vari progetti musicali, il più importante dei quali è la sua band Me after You. Federico ha suonato il piano elettrico in due brani, World of Sound e My Sign on You-Part 2, impreziosendoli. In quest’ultimo brano citato c’è anche il sax tenore di Gianluca Varone, che era presente nell’ultima line-up dei Volcano Heart.
Copertina notturna, da film intimista … come è nata? Di chi è opera?

Le foto della copertina sono opera di Valentina Paniccià. Ritraggono delle strade, sfocate, di Dublino. Le foto risalgono ad alcuni anni fa e appena le ho viste me ne sono subito innamorato. Mi richiamano alla memoria alcuni quadri impressionisti che mi piacciono molto. E poi, allo stesso tempo sono profondamente moderne, cinematografiche appunto. Raccontano un paesaggio urbano piuttosto desolato, malinconico. Ma non c’è solo malinconia, perché se da un lato c’è il blu della notte, dall’altro ci sono i colori caldi delle luci della città. L’artwork poi è opera di Federico Festino, che di professione fa il grafico.
Come presenti dal vivo il disco?

Finora sul palco il disco lo abbiamo presentato come power trio (chitarra e voce, basso e batteria), necessariamente semplificando alcuni dei brani, che hanno trame chitarristiche abbastanza articolate. Non è escluso però, che in un futuro non remoto allargheremo la line-up con l’ingresso di un altro chitarrista.
Altro da dichiarare?

Solo un invito ad ascoltare il disco. 
Dategli una chance e magari vi ritroverete a canticchiarne qualche motivetto andando a spasso!


11 commenti:

  1. Fa molto piacere ospitare in palude Roberto My, per questo suo ritorno in musica ... ne aveva bisogno, come dice nell'intervista, un bisogno fisico, e ascoltando Flares si capisce cosa intende.

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  2. Fa molto piacere poi,che sia uscito con una label spesso ospite in palude, quella I Dischi del Minollo che lo scorso anno ha compiuto i 10 anni di vita (quindi l'ho seguita fin dall'inizio), label che fa dischi per passione, come noi qui si ascoltano per lo stesso motivo.

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  3. E anche questo Flares è fatto per passione, con i suoi sei pezzi dilatati/dilatanti ...

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  4. Sei pezzi soltanto, sì, ma il numero 4 è doppio, per la lunghezza e quel (Part 1 & 2) nel titolo ...

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  5. Da Motherland, pezzo orgogliosamente rock, con le chitarre in primo piano, un bel cantato intenso e partecipe ... bello il video che consiglio di vedere (si veda il link nell'intervista stessa) ... da cinema underground

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  6. ... a Last Summer Ruins, gran bel pezzo, con una certa vibra, una certa attitudine grunge, non solo per l'uso del Big Muff (un pedale distorsore per chitarra) ... Aggressivo e rock come piace a noi (anche dal vivo deve fare la sua porca figura).

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  7. Piatto forte è, come detto prima, My Sign On You (Part 1 & 2), ballatona acida molto youngiana (da Neil Young), con chitarre a briglia sciolta, un'elettricità di fondo e un gran bel ritmo nella prima parte, il brano diventa poi strumentale, con la band a darci dentro come un solo uomo (e ogni volta ci senti cose diverse), il sax, la dilatazione a mille ...

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  8. Bello, bello, ma non è da meno il pezzo seguente Black Sky.

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  9. Black Sky, malinconico indie-rock all'inizio, con l'armonica, il ritmo lento, poi il cantato, corale, che ne fa un piccolo inno dell'indie-rock nostrano, nei suoi quasi 7 intensi, intensissimi minuti.

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  10. Chiusura poetica, con lo strumentale Congo, la chitarra a deliziarci, così tanto da farci venire voglia di farlo ripartire.

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  11. Bravo Roberto My, ripartito con questa fiammata!

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