NOTE SINTETICHE ALL’ASCOLTO DEL DISCO
GENERE alt-rock / indie / emo
LABEL
Dotto / Dreamingorilla / è un brutto posto dove vivere / Floppy Dischi
Dotto / Dreamingorilla / è un brutto posto dove vivere / Floppy Dischi
CITTA’
Torino / Verona
Torino / Verona
L'INTERVISTA
Come è nato Indigo?
È nato in maniera del tutto spontanea. A differenza di So Far che è arrivato più come un urlo, come uno sfogo, Indigo ha avuto uno sviluppo molto più naturale e per questo è un album più complesso. Ettore è di Verona, dopo aver registrato uno split con la sua band dell'epoca, i Debris Hill, ci siamo trovati con sempre maggiore frequenza a Torino, una volta al mese, per scrivere e arrangiare le canzoni di Indigo.
Perché questo titolo?
Perché ci siamo ritrovati senza premeditazione con quasi tutti i testi pieni di riferimenti a colori specifici, e oltre a suonarci molto bene come titolo del disco abbiamo scelto il colore più inusuale che ci venisse in mente. La cosa divertente è che nel 2018 stanno uscendo un sacco di dischi che si chiamano Indigo. Sarà il Pantone of the year?
Come è stata la genesi del disco, dall’idea iniziale alla sua realizzazione finale? Indigo è il frutto di un anno di lavoro, condensato però in pochi weekend; tutto molto veloce e intenso, insomma. Si arrivava quasi sempre in sala prove con delle idee, un pezzo solo chitarra e voce da riarrangiare insieme, un groove di batteria. Solo un paio di pezzi sono nati da improvvisazioni strumentali. Nessuna canzone è stata scritta e poi scartata: totalizzato un minutaggio sufficiente per il disco, abbiamo chiamato Michele Zamboni, anche lui ex Debris Hill, che ha premuto REC. Non è stato facile, dati gli impegni lavorativi di tutti e tre abbiamo deciso di registrare le batterie a Verona e il resto a Torino. Delle vacanze di Pasqua alternative, chiusi nello studio Dotto.
Qualche episodio che è rimasto nella memoria durante la lavorazione dell’album?Nulla di specifico, ma le prime cose che ci vengono in mente sono il pranzo di Pasqua da Burger King praticamente deserto, un pranzo di Pasquetta invece salvifico a casa dei genitori di Michele per un primo ascolto, e il folletto Worwerk usato come asta per il microfono del charleston a casa di Ettore.
Se Indigo fosse un concept-album su cosa sarebbe? … tolgo il fosse? Potrebbe essere un concept-album sulla comunicazione, considerando che il verbo più pronunciato è probabilmente "talk". Potrebbe essere anche un disco sul valore della memoria, essendo costellato di momenti personali di un passato consapevolmente superato. Potrebbe essere entrambe le cose e molto di più, tutto dipende, pensiamo, dall'intenzione dell'ascoltatore di leggere tra le righe di queste nove canzoni. C'è anche, sicuramente, l'eco delle break-up songs di So Far, ma Indigo non è più solo un disco di drammatici insuccessi emotivi.
C’è qualche pezzo che preferite? Qualche pezzo del quale andate più fieri dell’intero disco? … che vi piace di più fare live?In quanto a fierezza unanime, sicuramente Catch-22, che è il perfetto anello di congiunzione tra ciò che eravamo e ciò che siamo e saremo. Difficile comunque scegliere una preferita, vogliamo bene a tutte queste canzoni, sia a quelle che ci vengono ad occhi chiusi come Breakdown, sia a quelle più ardue da suonare, come Neglected.
Come è stato produrre Indigo? Chi avete avuto più vicino, dal punto di vista produttivo?
Michele Zamboni ci ha seguito per gran parte del processo produttivo del disco, ha anche registrato il disco e suonato in alcuni pezzi; è stato a tutti gli effetti il quarto membro della band e Deus ex machina di Indigo. Michele è anche un amico, cosa che facilita non poco il processo produttivo: ogni qualsivoglia attrito o divergenza artistica passano in secondo piano quando conosci bene e stimi la persona a cui vuoi affidare un ruolo così importante. L'obiettivo comune era quello di tirare fuori un album che ci piacesse e così è stato. Nessuno di noi ricorda di aver mai registrato un album in maniera così rilassata.
Copertina decisamente interessante, che mi ricorda opere d’avanguardia anni ‘50/’60 ... come è nata? Di chi è opera?
La copertina, così come tutto l'artwork dell'album, è opera di Marco Fasoli. Ci piaceva molto il l'approccio a metà strada tra grafico e fotografico dei suoi lavori (https://www.marcofasoli.com/). Siamo davvero contenti di avergli lasciato carta bianca: gli abbiamo fatto ascoltare il disco perché crediamo che ogni artista debba essere libero di muoversi nel suo mondo, senza troppe restrizioni, chiedendogli solo di usare pochi colori. È uscito fuori questo delicato collage marittimo con un sole rosso. Bellissimo, buona la prima.
È nato in maniera del tutto spontanea. A differenza di So Far che è arrivato più come un urlo, come uno sfogo, Indigo ha avuto uno sviluppo molto più naturale e per questo è un album più complesso. Ettore è di Verona, dopo aver registrato uno split con la sua band dell'epoca, i Debris Hill, ci siamo trovati con sempre maggiore frequenza a Torino, una volta al mese, per scrivere e arrangiare le canzoni di Indigo.
Perché questo titolo?
Perché ci siamo ritrovati senza premeditazione con quasi tutti i testi pieni di riferimenti a colori specifici, e oltre a suonarci molto bene come titolo del disco abbiamo scelto il colore più inusuale che ci venisse in mente. La cosa divertente è che nel 2018 stanno uscendo un sacco di dischi che si chiamano Indigo. Sarà il Pantone of the year?
Come è stata la genesi del disco, dall’idea iniziale alla sua realizzazione finale? Indigo è il frutto di un anno di lavoro, condensato però in pochi weekend; tutto molto veloce e intenso, insomma. Si arrivava quasi sempre in sala prove con delle idee, un pezzo solo chitarra e voce da riarrangiare insieme, un groove di batteria. Solo un paio di pezzi sono nati da improvvisazioni strumentali. Nessuna canzone è stata scritta e poi scartata: totalizzato un minutaggio sufficiente per il disco, abbiamo chiamato Michele Zamboni, anche lui ex Debris Hill, che ha premuto REC. Non è stato facile, dati gli impegni lavorativi di tutti e tre abbiamo deciso di registrare le batterie a Verona e il resto a Torino. Delle vacanze di Pasqua alternative, chiusi nello studio Dotto.
Qualche episodio che è rimasto nella memoria durante la lavorazione dell’album?Nulla di specifico, ma le prime cose che ci vengono in mente sono il pranzo di Pasqua da Burger King praticamente deserto, un pranzo di Pasquetta invece salvifico a casa dei genitori di Michele per un primo ascolto, e il folletto Worwerk usato come asta per il microfono del charleston a casa di Ettore.
Se Indigo fosse un concept-album su cosa sarebbe? … tolgo il fosse? Potrebbe essere un concept-album sulla comunicazione, considerando che il verbo più pronunciato è probabilmente "talk". Potrebbe essere anche un disco sul valore della memoria, essendo costellato di momenti personali di un passato consapevolmente superato. Potrebbe essere entrambe le cose e molto di più, tutto dipende, pensiamo, dall'intenzione dell'ascoltatore di leggere tra le righe di queste nove canzoni. C'è anche, sicuramente, l'eco delle break-up songs di So Far, ma Indigo non è più solo un disco di drammatici insuccessi emotivi.
C’è qualche pezzo che preferite? Qualche pezzo del quale andate più fieri dell’intero disco? … che vi piace di più fare live?In quanto a fierezza unanime, sicuramente Catch-22, che è il perfetto anello di congiunzione tra ciò che eravamo e ciò che siamo e saremo. Difficile comunque scegliere una preferita, vogliamo bene a tutte queste canzoni, sia a quelle che ci vengono ad occhi chiusi come Breakdown, sia a quelle più ardue da suonare, come Neglected.
Come è stato produrre Indigo? Chi avete avuto più vicino, dal punto di vista produttivo?
Michele Zamboni ci ha seguito per gran parte del processo produttivo del disco, ha anche registrato il disco e suonato in alcuni pezzi; è stato a tutti gli effetti il quarto membro della band e Deus ex machina di Indigo. Michele è anche un amico, cosa che facilita non poco il processo produttivo: ogni qualsivoglia attrito o divergenza artistica passano in secondo piano quando conosci bene e stimi la persona a cui vuoi affidare un ruolo così importante. L'obiettivo comune era quello di tirare fuori un album che ci piacesse e così è stato. Nessuno di noi ricorda di aver mai registrato un album in maniera così rilassata.
Copertina decisamente interessante, che mi ricorda opere d’avanguardia anni ‘50/’60 ... come è nata? Di chi è opera?
La copertina, così come tutto l'artwork dell'album, è opera di Marco Fasoli. Ci piaceva molto il l'approccio a metà strada tra grafico e fotografico dei suoi lavori (https://www.marcofasoli.com/). Siamo davvero contenti di avergli lasciato carta bianca: gli abbiamo fatto ascoltare il disco perché crediamo che ogni artista debba essere libero di muoversi nel suo mondo, senza troppe restrizioni, chiedendogli solo di usare pochi colori. È uscito fuori questo delicato collage marittimo con un sole rosso. Bellissimo, buona la prima.
Come presentate dal vivo il disco?
Recuperando
e riarrangiando dal passato, abbiamo messo su uno show che può
raggiungere l’ora di live. Tendiamo in questa fase a voler eseguire
l’intero album: la sensazione è che le registrazioni suonino già molto
simili al live, e che quindi verranno accantonate molte meno canzoni
nell’arco del tempo, cosa che non si può dire dei dischi precedenti. Per
il momento non ci siamo ancora stufati, ecco, e l'avere voglia di
suonare quelle canzoni che ti porti dietro da mesi come se fosse la
prima volta ci sembra un bel traguardo.
Altro da dichiarare?
Siamo bravi ragazzi, non trasportiamo nulla di illecito
Gran piacere ospitare in palude una band in parte della mia città ... nell'ultimo periodo ne ho ospitate meno del solito.
RispondiEliminaQuesti New Adventures In Lo-Fi hanno infatti un componente di Verona e due di Torino e sono al loro secondo LP, Indigo
RispondiEliminaNove pezzi intensi e indipendenti, di pop-rock indipendente e emozionale come il loro nome fa giustamente intendere ...
RispondiEliminaUn disco molto equilibrato, teso dall'inizio alla fine, un disco che ti prende e non vorresti mai smettere di ascoltarlo ... stiamo facendo così, qui in palude ... preparando la cena.
RispondiEliminaDifficile dire quindi una preferita, o le preferite ...
RispondiEliminaPoterei citare Fault, che apre 'album con poesia indie, chitarre vibranti, e un ritmo che sale e salirà nel pezzo e pezzo dopo pezzo.
RispondiEliminaImportante e giustamente citata nell'intervista Catch-22, lento e malinconico, elettrico e sognante, con delle chitarre che restano ... bell'omaggio a quel mitico libro diventato film e un modo di dire ... contro la guerra.
RispondiEliminaMolto bello anche Jellyfish, pezzo tirato, di rock acido e saltellante, che può ricordare il miglior indie-rock a livello internazionale
RispondiEliminaMa anche i due brani in coda Pitcairn Blues, blues romantico e indipendente, e Neglected dalle gran scosse di chitarra, un ritmo bello, che sale, il pezzo adatto per chiudere e lasciare un bel ricordo ... tanto da volere ripartire ...
RispondiEliminaE noi facciamo così, e finalmente ceniamo con Indigo a farci gradita compagnia ...
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