NOTE SINTETICHE
ALL’ASCOLTO DEL DISCO
GENERE grungettone,
bello nostalgico e malinconico, ma con qualche spezia in più.
DOVE ASCOLTARLO su tutti i principali canali (Bandcamp, Spotify,
Apple Music, Deezer…
LABEL I DISCHI DEL
MINOLLO, Vollmer Industries
PARTICOLARITA’
abbiamo 16 occhi in quattro, forse avremmo dovuto dare retta al
parroco…
CITTA’ Bologna
L’INTERVISTA
Come è nato
Polluted Roots?
Be’, innanzitutto
partiamo da una premessa: la palude è un ottimo ambiente per noi
SUBTREES, e in qualche modo possiamo dire che l’umidità ci
appartenga. Questo disco è stato concepito principalmente in un
garage in cui il tasso di umidità dell’aria oltrepassava di non
poco la soglia benefica per l’essere umano. Sicuro, di questo ne
avranno risentito quei girini che sarebbero stati poi i brani del
disco.
Perché questo titolo? … che vuol dire?
In modo
un po’ contorto, nasce da una frase in italiano di Italo Svevo, che
per praticità e coerenza abbiamo tradotto in Italiano. In una delle
ultime pagine della Coscienza
di Zeno, il
protagonista del romanzo all’alba della prima guerra mondiale si
slancia in una riflessione sull’origine del male e della malattia
nel mondo,
e ne
conclude che la
vita è inquinata alle radici. Italo
Svevo non avrebbe potuto prevedere che qualcosa, da queste radici
inquinate, nasce, come la foresta rigogliosa che sorge oggi sul sito
di
Chernobyle.
Polluted
Roots è
la riflessione di un albero storto, malconcio, che fa i conti con le
proprie di radici. Inquinate, sia chiaro.
Come
è stata la genesi del disco, dall’idea iniziale alla sua
realizzazione finale?
Vedere
l’album realizzato è un po’ come prendere l’aereo e vedere i
vari appezzamenti di terra, le linee sul territorio, che formano un
puzzle intricato ma uniforme. Un’unità nella diversità. Se uno è
in mezzo a quel campo, l’unica cosa che vede è del grano. Così
ogni canzone, nei suoi particolari, è un universo a sé stante.
Ognuna di loro è nata da un seme, un riff magari, o una frase, che è
sbocciato in qualcosa di più grande, e poi ha teso le proprie radici
verso le altre.
Qualche episodio che è rimasto nella memoria durante la lavorazione
dell’album?
Oh sì,
le piadine. La registrazione della sezione ritmica è avvenuta ai
Vacuum Studios di Bruno Germano, in campagna appena fuori Bologna, di
fianco al carcere dove Annamaria Franzoni del delitto di Cogne
scontava la sua pena fino all’anno scorso. Le pause pranzo si sono
rivelate il momento più fortuito, scoprendo una delle piadine più
buone di Bologna, all’uscita 6 della Tangenziale, se non sbaglio.
Saremo sempre grati a Enrico Baraldi degli Ornaments per averci
condotto verso tali delizie.
Se
questo cd fosse un concept-album su cosa sarebbe? … tolgo il fosse?
Ah
cavolo, ci siamo bruciati la metafora della veduta aerea nella
domanda 3 ma sarebbe più adeguata in questa… Ah ecco: diciamo che
ogni pezzo è nato come un’isola, che poi è diventato un
arcipelago, un ecosistema in costante correlazione. Okay, forse la
metafora della veduta aerea era più bella. Sì, il disco è
decisamente un concept album, che bazzica i temi della memoria, del
trauma, e come abbiamo detto in precedenza, del fare i conti con le
proprie radici. Inquinate, logicamente.
C’è
qualche pezzo che preferite? Qualche pezzo del quale andate più
fieri dell’intero disco? … che vi piace di più fare live?
Oh sì,
di gran lunga Conversation
#2 (Adam’s Resurrection). Ha
tutto ciò che noi amiamo in una canzone: tempo in 5/4, oscurità
lirica, muri enormi di chitarre elettriche, ma soprattutto un bridge
e assolo squisitamente alla Neil Young.
Come
è stato produrre Polluted
Roots? Chi avete avuto più
vicino, dal punto di vista produttivo?
Forse finirà per
essere più una recensione culinaria che musicale, forse dovremmo
pubblicare un libro gastronomico, “In Cucina con i Subtrees”,
perché anche qui c’entra
il cibo: la pizzeria “da Luigi” a Crespellano, paesotto tra
Bologna e Modena in cui proviamo, per gentile concessione dei nonni
del nostro chitarrista. Oltre a loro, ci teniamo a ringraziare
nuovamente Enrico Baraldi, che oltre ad averci indirizzato verso la
piadina del secolo ha tirato fuori i suoni che sentite nel disco,
insieme a Claudio Adamo dei Cani dei Portici, che ne ha curato il
master.
Copertina rock e nostalgica ... come è nata? Di chi è opera?
La
copertina è frutto di una collaborazione con Valentina De Felice,
artista, grafico e nostra amica di Bologna, che aveva realizzato per
noi l’artwork del nostro primo EP, On
a Broken Rope. È
fantastico come il suo lavoro si sia sviluppato autonomamente e
parallelamente rispetto alle tematiche del disco, finendo per esserne
un commento fondamentale. L’unica cosa che abbiamo fatto noi è
stata darle nostre vecchie foto diricordi, paesaggi, ritratti o, come
nel caso della copertina, una vecchia GoldWing del 1983 che
apparteneva al padre del nostro cantante e chitarrista. Del resto le
abbiamo dato carta bianca e questo ne è stato il risultato:
minimale, efficace e in perfetta linea con l’ambiente dell’album.
Come presentate dal vivo il disco?
Il 20 ottobre
allo SpazioEco di Casalecchio di Reno abbiamo presentato Polluted Roots, altre date sono in via didefinizione.
Altro da dichiarare?
Quarantadue.
Buon esordio di questa giovane band di Bologna che cita Italo Svevo e il grunge, tra le cose migliori del '900 (anche per questo mi piacciono molto).
RispondiEliminaLo fanno con questo Pollutted Roots album dal passo felpato e i giusti umori.
RispondiEliminaSenza strafare, il disco sale che è una gioya, da Syngamy, brano autunnale, perfetto per le piogge e l'atmosfera brumosa di oggi, fin su al liberatorio finale di Jungle/Overexposure, che ci fa sperare nell'arrivo dell'estate, dopo tutto ...
RispondiEliminaTutto quello che c'è nel mezzo, tipo Motorbike, forse la mia preferita perché semplice e diretto rock elettrico e psichdelico Neil Young/Crazy Horse-style.
RispondiEliminaNon male, per gli stessi motivi, Conversation #2 profondamente grunge.
RispondiEliminaNon male anche Everything's Beautiful, Notfhing Hurt, ritmico e ciondolante grunge ... che mi fa tornare giovane quando ascoltavo gli amati Screaming Tress (ma non c'è la voce di Mark Lanegan sarebbe stato troppo, ovvio, quella è unica).
RispondiEliminaMa tutto Pollutted Roots è da ascoltare.
RispondiEliminaPer fare i conti con le nostre radici inquinate che affondano nel secolo breve, maledettamente affascinante.
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