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lunedì 26 febbraio 2018

In palude con i Rigolò



NOTE SINTETICHE ALL’ASCOLTO DEL DISCO
GENERE Rock
DOVE ASCOLTARLO qui
LABEL Antropotopia
PARTICOLARITA’
SITO  FB DEL GRUPPO 
CITTA’: Ravenna
DATA DI USCITA 16/02/2018

L’INTERVISTA
Come è nato Tornado?
Tornado è nato come un’evoluzione del nostro progetto, lo stile caratterizzato da trame  melodiche incisive e familiari è riconoscibile ma il risultato è molto diverso dai  lavori precedenti: i suoni sono più densi, l’ uso dell’elettronica è più determinante pur non essendo la caratteristica saliente. L’aspetto che emerge, fin dal primo ascolto, è forse quello di un nuovo utilizzo della voce, caratterizzata da un unisono di timbro maschile e femminile; fino ad ora, infatti, la voce femminile aveva avuto solo un ruolo marginale nelle nostre canzoni mentre,  in Tornado, ho sentito che dovevo dare più evidenza alla neutralità di genere dei miei testi che parlano dei fatti della vita. Questa voce femminile è stata la strada che ho scelto.
Perché questo titolo?… molto forte.
Brevemente, un ripasso sulla genesi di un tornado: una corrente d’aria calda e una corrente d’aria fredda si incontrano e iniziano a creare un vortice, un elemento unico che potrebbe prendere la forma di un tornado. Proprio mentre stavamo registrando il disco, nell’estate del 2017 a Ravenna,  le due correnti di aria calda e fredda hanno preso la forma di un vero tornado che ha distrutto alberi secolari e macchine appena acquistate; non era mai successo prima, perciò ho preso questo evento come un segno…un po’ come quando nasce tuo figlio e la sua faccia ti suggerisce il suo nome: le voci  diverse nel timbro e nell’espressività che si uniscono in un effetto a tratti straniante, e poi la batteria e il basso che si inseriscono a sostenere il vortice con ritmi incalzanti  dal carattere quasi festoso e “dance anni ‘80”,in costante contrasto con i testi scuri e poco rassicuranti e poi… il vento dell’elettronica… il titolo non poteva che essere questo.
Come è stata la genesi del cd, dall’idea iniziale alla sua realizzazione finale?
L’inizio non è stato propriamente un’idea, direi piuttosto un desiderio. Suonando i brani di Gigantic, il lavoro precedente, abbiamo sentito di volere più suono, di essere meno concettuali avvicinandoci al ritmo, alla matericità e all’immediatezza; volevamo essere meno costretti e più liberi. I due anni di preparazione sono iniziati col dare forma a delle idee strumentali per lo più melodiche sulle quali abbiamo costruito gli arrangiamenti, tutti realizzati a quattro mani;sono stati due anni in cui abbiamo trascorso davvero tanto tempo insieme. Le parole sono l’unico aspetto che ho curato in totale autonomia e sono una sintesi dei suoni che gli strumenti mi hanno suggerito e dei pensieri e delle riflessioni che gli avvenimenti privati e collettivi mi hanno influenzato. I testi completi sono arrivati alla fine, negli ultimi giorni e forse, anche per questo lungo processo che ne ha caratterizzato la genesi,sono così sintetici e, allo stesso tempo, densi di interpretazioni possibili. La lingua utilizzata è l’inglese perché la musica che facciamo mi suggerisce questa lingua.
Anche la parte strumentale risultamolto versatile all’ascolto lasciando spazio all’immaginazione; ci sono suoni nascosti che, una volta individuati, prendono forma sullo sfondo. In registrazione volevamo ottenere un risultato fresco, che non facesse sentire il peso dei due anni di lavoro che sono stati necessari per la realizzazione dei brani; così abbiamo scelto di registrare tutti allo stesso tempo con Coletti che ha avuto un ruolo importante nel sostenere la scelta di non lavorare a tracce separate.
Qualche episodio che è rimasto nella memoria durante la lavorazione del disco?
L’episodio saliente l’ho già raccontato, mi riferisco al tornado che ha colpito Ravenna la scorsa estate,  direi che, fortunatamente, non ci sono stati altri episodi di tale rilevanza.
La cosa più curiosa e che, devo ammettere, mi ha  lasciato più soddisfatto, è stato riscoprire le altissime doti culinarie di Mattia Coletti: durante la registrazione del disco precedente  Mattia si era già palesato come ottimo chef, motivo che ha influito non poco nella scelta di continuare la collaborazione artistica con lui ma quest’anno ha raggiunto un livello ancora superiore e credo che si possa sentire anche ascoltando il disco. L’ingrediente segreto di Gigantic era la scorza d’arancia, questa volta con Tornado, e non è un caso, la cucina ha beneficiato dell’utilizzo del minipimer. Per consentire a Coletti di potersi esprimere al massimo abbiamo scelto di registrare il disco in casa poiché negli studi di registrazione non è sempre possibile avere una cucina.
Se questo cd fosse un concept-album su cosa sarebbe? … tolgo il fosse?
Si il “fosse” si può togliere: il legame tra i braniè nelle melodie che giocano su tonalità vicine o che si ricombinano nelle loro parti e si esplicitano nei testi che raccontano di scelte difficili di personaggi che non riescono più ad aderire agli imperativi familiari e sociali determinando, così, la propria tragica fine.
C’è qualche pezzo che preferite? Qualche pezzo del quale andate più fieri di Tornado?… che vi piace di più fare live?
Credo che ognuno di noi abbia il suo pezzo preferito quello in cui sente di riconoscersi maggiormente. Per quanto mi riguarda mi piace molto suonare i primi due pezzi Gone e Happyness, scritto con la y perché così mi è stato suggerito dal testo. Questi due brani sprigionano una grande energia e quando li suono sento che mi si muovono … le gambe. Ho sempre amato molto ballare e la musica che fa ballare e pensare allo stesso tempo mi attrae ancora. Credo che Jenny apprezzi Mexico forse perché è molto attaccata al senso letterale e non metaforico della canzone che dice di voler superare il muro per il Messico.
A produrre voi  Mattia Coletti con Antropotopia. Come mai con loro? Altri nomi da citare attorno/dentro/inparte al disco?
Una presenza determinante in questo disco è stata quella di Francesco Tedde, l’incontro con lui è avvenuto col lavoro di sonorizzazione di The Great Withe Silence con cui è iniziata la collaborazione tra Rigolò e il Collettivo la Melassa; l’amicizia è scaturita di conseguenza anche se per alcuni di noi è stato un ritrovarsi dopo tanti anni. Durante la registrazione di Tornado Francesco è stato costantemente presente e partecipe; ha potuto ascoltare i pezzi nel loro farsi digitale con un orecchio non condizionato da un ascolto ripetutoe, siccome   conosceva abbastanza bene il nostro stile e i nostri intenti,ha potutodarci dei suggerimenti utili. La sua presenza ha poi consentito un lavoro di spessore sulle parti elettronichetanto che attualmente è diventato parte integrante del progetto e, quando sarà possibile ci accompagnerà nei live. I suoi interventi, così come la sua presenza durante la registrazione ci ha dato molta energia e ci ha fatto divertire riuscendo a contagiarci conil suo cinismo buono e la sua ironia.
Brando è l’autore dei disegni del videoclip e il protagonista principale; le sue immagini e un commento di Francesco alla fantasiosa distruzione che trasmettono,hanno suggerito l’idea del video: niente è così assurdo da non essere già stato pensato o ancor più tristemente realizzato dagli esseri umani; nel video la luce diventa così oscurità. Il videoclip di Borders è stato girato e prodotto dai fratelli Tedde per Antropotopia,un progetto che nasce come scuola del cinema e che ora produce anche progetti musicali; Francesco e suo fratello Alessandro  ne sono i fondatori, hanno lavorato per realtà molto importanti  in campo teatrale ma non solo.
I principi alla base di questo progetto, che indica un luogo per gli uomini, ci ha fatto sentire molto vicini e abbiamo voluto entrare a farne parte, con l’auspicio di poter contribuire così anche alla produzione di tanti nuovi progetti che condividano con noi questa attitudine.
Brando è figlio mio e di Jenny, direi che la nostra grande famiglia è stata molto importante e non possiamo non citare Emma, sua sorella maggiore, che ha sempre collaborato con noi ed ora si vive la sua adolescenza. Un’altra persona da ricordare è Brian Deck non della famiglia ma sicuramente personaggio di rilievo in questa produzione: quest’estate mentre era in tour con i Califone l’ho incontrato, ci siamo conosciuti, gli ho prestato un mio effetto in cambio di una cena; il suo lavoro per il  mastering di Tornado è stato il frutto della stima sincera nei confronti del nostro lavoro e della nostra musica.
Copertina molto indie-rock, con questo incantevole/incantato volto di donna?...Come è nata e chi è l’autore?
Non vorremmo che Margherita Manzelli, autrice della copertina e pittrice di fama internazionale con quadri esposti al MOMA si offendesse per l’indie-rock attribuito al suo disegno. In realtà non è indie-rock nemmeno la musica, senza offesa, ma a me il termine indie-rock non è una definizione in cui mi riconosco. Preferisco definire la musica dei Rigolò dipendente dal contesto in cui prende vita e dagli incontri con le persone che sentono di volersi far coinvolgere.
Come presenterete dal vivo Tornado?
Siamo molto contenti di iniziare questa nuova avventura di Tornado e quindi sicuramente lo presenteremo con entusiasmo e con tanta voglia di farlo conoscere cercando di mantenerci aderenti al disco ma rendendo speciale il live con parti inedite. Stiamo studiando un lavoro sulle luci perché anche gli aspetti visivi siano guidati come quelli uditivi, ma questa è una sorpresa. Penso che l’ascolto dal vivo sia un’esperienza importante nel nostro caso e alla quale sono molto legato e che suggerisco. La mia faccia è molto performativa. Vi ho convinti? 
Altro da dichiarare?
Un ruolo importante in questo momento è quello di Alessandro Favilli di Promorama che ha scelto di aiutarci e si cura di una parte per noi più difficile quella della promozione. Ci piace molto fare la musica ma ancora nonostante l’età e l’esperienza non siamo diventati bravi imprenditori di noi stessi.

8 commenti:

  1. Per me è un gran onore, e piacere ospitare in palude i Rigolò, band di Ravenna dal respiro internazionale giunta al quarto album.

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  2. Coprodotto da Mattia Coletti, che ne ha curato anche la fase di missaggio, e da Brian Deck, che si è occupato del mastering, è un disco intenso, pieno di belle cose.

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  3. Si, otto pezzi tra i quali è difficilissimo scegliere ... perché farlo poi? Quando un disco piace, piace tutto, o quasi.

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  4. Che dire allora? Con una pistola puntata alla testa direi Gone per la tensione e l'elettricità di una chitarra nella notte, la voce ipnotica di Jenny e Andrea, coppia anche nella vita (e si sente), tutto il pathos ... gran bel modo di entrare in scena, non c'è che dire.

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  5. Poi direi Borders dal passo lento e felpato, per un rock ipnotico e tenebroso, nervoso, a descrivere i pensieri di un uomo che si scontrano con i luoghi comuni di una società.

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  6. Direi anche Two tickets to fly, che mi ricorda l'introspezione alla The The, con quelle tastierine, il cantato apparentemente rilassato, il violoncello distorto ...

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  7. E poi direi anche del pezzo che chiude l'album, Bon voyage dal bel ritmo sparato, più di tutte, sia nelle voci, nelle chitarre, nel cantato vero e proprio ... starebbe bene nel finale di un film del vecchio Wenders o Guadagnino o Assayas. Del resto i Rigolò sono da sempre abituati a lavorare con le immagini in movimento (e si sente).

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  8. Buona visione ... anzi, buon ascolto con i Rigolò.

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