NOTE SINTETICHE ALL’ASCOLTO DEL DISCO
GENERE:
Post-Punk, Elettronica, Industrial
DOVE
ASCOLTARLO Più che dove direi come: in solitudine con la dovuta concentrazione …
Provate
su SOUNCLOUD
LABEL:
Autoproduzione
PARTICOLARITA’:
Elettronica scura, chitarre taglienti e voce inquieta
CITTA’:
Bologna
DATA
DI USCITA: 2 Novembre 2016
Come è nato questo tuo ep?
Questo
EP non è altro che la
conseguenza di aver scelto di far nascere il mio progetto solista Krank. A proposito di questo
avvenimento ho nutrito dei sentimenti quantomeno contrastanti per diverso
tempo, da un lato è un pensiero che avevo in testa già da tanto, dall’altro non
avevo mai provato la prorompente ed effettiva necessità di dare vita ad una
creatura che fosse solo ed esclusivamente mia. Forse per la mancanza di tempo,
forse perché trovavo già massima realizzazione nei Drunken Butterfly, il mio gruppo di sempre in
cui suono da tanti anni. Fatto sta che ad un certo punto mi sono deciso e ci è
voluto davvero poco per far uscire qualcosa con la sigla Krank, questo perché avevo
moltissime idee già abbozzate chiuse nel cassetto da parecchio. Vecchi appunti
dimenticati, cose che magari non sentivo del tutto adatte ai Drunken ma anche idee che
sentivo totalmente mie e che sapevo non sarei riuscito a portare avanti con il
gruppo. Curiosare in quel cassetto è stato un po’ come aprire il vaso di
Pandora.
Perché come titolo il nome della band? … cosa vuol dire?
Krank
è un termine tedesco che significa malato inteso non soltanto come aggettivo
riferito ad una specifica persona ma anche nell’accezione più complessa di
“sistema malato”. È un nome che mi ha colpito moltissimo e immediatamente. È un
nome corto e potente, può essere reso benissimo a livello grafico ed ha un
significato che può essere associato sia a me, relativamente alla mia natura in
perenne stato di inquietudine, che al sistema che stiamo vivendo ovvero la
moderna società capitalistica occidentale. Visto che si trattava di pubblicare
le mie prime poche canzoni, di un nuovo progetto solista, e che queste
avrebbero un po’ rappresentato una sorta di biglietto da visita, ho optato per
non dare un titolo e lasciare l’EP semplicemente omonimo.
Perché un ep, e non un disco con più canzoni?
Avevo un sacco di materiale a
disposizione, praticamente una quindicina di pezzi belli e pronti, per cui
avrei potuto tranquillamente optare per un disco intero ma ho preferito l’EP per
una serie di motivi. Intanto si tratta di un progetto nuovo per cui volevo
sondare un po’ il terreno, perché sai un conto sono i tuoi buoni propositi, la
convinzione che stai facendo qualcosa di buono e interessante, il voler
soddisfare una propria urgenza espressiva, un conto è come viene recepito il
tuo progetto. In secondo luogo l’ultimo disco dei Drunken
Butterfly è ancora relativamente fresco, è uscito circa un anno fa.
Infine ho anche riflettuto sul fatto che oggi come oggi le modalità di
fruizione della musica sono molto cambiate, il disco ha perso il suo valore sia
economico che culturale. Viviamo un mondo che ha tempi velocissimi, distratto,
approssimativo, tutto viene consumato in fretta e gettato via per far posto
alla cosa successiva. Non che la cosa mi faccia piacere ma purtroppo questo è
un aspetto che non riguarda soltanto la musica ma la vita in generale, quindi
bisogna farci i conti se si vuole rimanere sul mercato. Oggi vanno molto le
playlist su Spotify, i singoli ascolti su YouTube, difficilmente uno trova il
tempo per mettersi li ad ascoltare un disco di dieci dodici canzoni dall’inizio
alla fine. Pertanto ho scelto di fare una cosa che da un lato abbia sì i giusti
contenuti e un buon livello culturale ma che al tempo stesso non appesantisca
troppo l’ascoltatore, possiamo dire che ho ricercato la massima qualità in una
quantità più contenuta.
Come è stata la
genesi del disco, dall’idea iniziale alla sua realizzazione finale?
Della genesi del disco ti ho
già parlato, della serie: ho aperto un cassetto pieno di roba, ho fatto una
prima scrematura prendendo quello che mi convinceva di più, ci ho lavorato in
solitudine dentro casa, prevalentemente di notte con le cuffie. Poi
un’ulteriore cernita mi ha convinto a lavorare con la voce ad una quindicina di
tracce. Ad un certo punto mi era anche venuto in mente di coinvolgere un
produttore, ho avuto diversi contatti con Giulio
Ragno Favero del Teatro degli Orrori
e con Cristiano Santini dei Disciplinatha, con entrambi c’è un’amicizia
pregressa nata a seguito di collaborazioni e lavori fatti insieme. Ci ho pensato
molto, ma lo stesso Giulio mi ha fatto riflettere sul fatto che la produzione
dei brani era già molto avanzata, praticamente compiuta, e che non c’era molto
margine di intervento. Allora ho pensato che era un segno del destino, che
questa cosa era nata era mia e forse doveva rimanere così fino alla fine, senza
il coinvolgimento di nessun esterno. Così ho sistemato le ultime cose, gli
ultimi ritocchi, il master finale e ho mandato il disco in stampa.
Se questo ep
fosse un concept-album su cosa sarebbe? … tolgo il fosse?
Non si tratta di un concept,
perlomeno non è stato pensato in questo modo in maniera consapevole, però indubbiamente
nella mia musica, nei Drunken come in Krank, ci sono degli elementi ricorrenti per
quanto concerne i testi. L’analisi del tessuto sociale, le possibilità che si
hanno di scegliere una determinata vita piuttosto che un’altra, ciò che ci è
permesso fare oppure no, le ripercussioni che derivano dal vivere in un
determinato contesto e gli stati d’animo che viviamo quotidianamente. Quello
che mi interessa esprimere con i testi è uno studio dei turbamenti dell’animo
umano di fronte all’esistenza e in relazione alla moderna società capitalistica
occidentale, che è un po’ quello che ha fatto Albert
Camus con i suoi romanzi, anche se ovviamente lui è inarrivabile. D’altro
canto ho sempre concepito l’arte in generale come qualcosa che deve farci
specchiare nei tempi che si stanno vivendo, deve essere un invito a riflettere,
se vogliamo anche una provocazione che in qualche modo possa innescare un
ragionamento, perché no, controcorrente. Altrimenti tutto diventa piatto,
prevedibile e dunque controllabile. A mio avviso l’arte intesa in questo senso
può svolgere un ruolo fondamentale, nella musica in particolare penso ad autori
come De Andrè e Battiato.
C’è qualche pezzo
che preferisci? Qualche pezzo del quale vai più fiero di questo ep?… che ti
piace di più fare live?
Sono tutte mie creature, c’è
davvero un rapporto molto intimo che mi lega ad ognuna di esse. Tieni conto che
provenendo da un passato in cui ho sempre suonato all’interno di un gruppo,
mettermi alla prova e far uscire qualcosa su cui ho avuto il totale controllo,
che ho realizzato in maniera autonoma al cento per cento, ha avuto su di me un
impatto psicologico notevole. In un gruppo, anche in quello meno democratico
dove prevale la forte presenza di un leader, il compromesso è da mettere in
conto ed è quasi certo che si arrivi a pubblicare qualche cosa che, magari ti
convince ugualmente, ma non è esattamente come lo volevi tu. In questo caso
tutte le parole, i suoni, gli strumenti utilizzati e le strutture delle canzoni
sono stati pensati e decisi da me, se non sei più che certo di quello che stai
facendo non ce la fai ad arrivare alla fine, molli prima. Questo progetto potrà
piacere o meno ma una cosa è sicura: la mia onestà intellettuale nei confronti
della musica è totale, nei brani che scrivo cerco di mettere tutto me stesso,
tutta la cultura che ho, tutte le conoscenze musicali che posseggo, tutta la
mia sensibilità di essere umano.
Qualche episodio
che è rimasto nella memoria durante la lavorazione del disco?
Come
detto si tratta di una totale autoproduzione, ho concepito e lavorato il disco
interamente a casa mia a Bologna. Tutti i
ricordi perciò sono piuttosto intimi, familiari. Mia moglie era incinta, spesso
si addormentava presto con dei veri e propri crolli improvvisi e io ne
approfittavo per mettermi al computer a lavorare sulle canzoni, spesso andando
avanti tutta la notte. È successo che in una di queste notti ho tirato dritto
fino alle prime luci dell’alba, gli occhi impallati, le orecchie fritte dalle
cuffie, sfinito dalla stanchezza; faccio giusto in tempo ad appoggiarmi sul
letto e addormentarmi che mia moglie mi sveglia dicendo semplicemente “è ora”.
Siamo andati in ospedale, io un po’ allucinato e sconvolto tra emozione e
mancanza di sonno, e nel pomeriggio è nata la nostra piccola peste Lilia. E chi
se le scorda più quelle ventiquattro ore.
In copertina una figura
geometrica, bianco e grigio, molto hard-rock. O no? Come è nata e chi è l’autore?
Non saprei, l’hard rock mi fa
pensare agli anni settanta, ai Led Zeppelin, in questo senso devo dire che non trovo
molto riscontro tra la mia immagine e quel periodo storico. Anzi, al contrario,
penso sia un’immagine molto attuale, contemporanea, forse addirittura
futuristica; mi fa pensare ad una società controllata abitata da semi automi, a
qualcosa di sintetico. Anche a qualcosa di freddo e distaccato se vogliamo,
forse per la mancanza del colore. L’autrice della cover è mia moglie Federica,
come del resto di tutta la grafica e dell’immagine in generale, lo faceva già
con i Drunken
ed ha proseguito naturalmente anche con questo mio nuovo progetto solista. Lei
ha lavorato diversi anni per IRMA Records a Bologna e si è sempre occupata di gestire
tutti i nostri spazi su internet, del merchandising, delle foto e dei video.
Ancora oggi realizza l’artwork di molti artisti. Devo confessare che
difficilmente pubblico qualcosa se non percepisco la sua totale convinzione,
lei è sempre il punto di vista in più che arricchisce e completa le mie
intuizioni e riflessioni.
Come presenti dal vivo la tua musica?
In questi mesi ho lavorato
molto in sala prove, volevo capire se era possibile gestire da solo anche
l’aspetto live, mettere in piedi uno spettacolo che risultasse comunque un bel
concerto anche se con un’unica presenza sul palco. Mi preoccupava un po’ l’idea
che il tutto potesse risultare una sorta di karaoke. Poi a forza di provare ho
preso fiducia, mi sono reso conto che pure utilizzando delle basi al computer
c’era comunque il modo di interagire parecchio suonando chitarre e sinth, oltre
che cantare ovviamente. Sono molto soddisfatto del risultato e credo che la
cosa funzioni poi oh, si tratta del mio modestissimo parere, Krank deve
ancora fare il suo debutto live per cui staremo a vedere come risponderà il
pubblico! Di sicuro c’è il fatto che occorre una massima concentrazione per
affrontare un live da soli, non puoi contare su nessun altro, sei consapevole
che i tuoi eventuali errori non saranno coperti dal suono degli strumenti dei
tuoi compagni e questo ti mette addosso una responsabilità molto più pesante.
Altro da dichiarare?
È sempre un piacere
ritrovarsi in palude, ormai sento di potermi considerare un ospite di vecchia
data per il quale c’è sempre un posto per fare quattro chiacchiere sincere.
Spero che questa intervista sia di buon auspicio e che potremo incontrarci di
nuovo per l’uscita del primo vero e proprio disco di Krank!
Ed ora, dopo l'infinita campagna elettorale, un po' di musica ... dura, radicale, senza comporomessi, come piace a me.
RispondiEliminaDel resto, l'esordio solista di Lorenzo Castiglioni dei Drunken Butterfly non poteva che essere così ... se conoscete i dischi della sua band, spesso ospite in palude, non vi potrete sorprendere.
RispondiEliminaUn EP di 5 densi pezzi, che sembra quasi un LP, vista la forza e consistenza delle cose dette.
RispondiEliminaDal durissimo pezzo che apre il disco Bunker, sarcasmo a piene mani con un organo che resta e un testo giosamente estremista, al pezzo che lo chiude, La Peste che spacca dentro e colpisce duro, si respira la malattia, il disgusto, la perdita della speranza di questi ultimi anni.
RispondiEliminaSi sta proprio male ... come ascoltando Carne fresca sensuale canzone d'amore malato senza rime baciate, o L'esecuzione, duro oggettino elettrico/elettrizzante tra Brecht e De André, o L'onda, dalle pulsioni elettroniche pesanti e un cantato diretto sull'agonia di un mondo in guerra.
RispondiEliminaGrande Krank, un disco duro, tutto da ascoltare ... in attesa di uno ancora più lungo.
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