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lunedì 5 dicembre 2016

In palude con Krank


NOTE SINTETICHE ALL’ASCOLTO DEL DISCO
GENERE: Post-Punk, Elettronica, Industrial
DOVE ASCOLTARLO Più che dove direi come: in solitudine con la dovuta concentrazione …
Provate su SOUNCLOUD
LABEL: Autoproduzione
PARTICOLARITA’: Elettronica scura, chitarre taglienti e voce inquieta
CITTA’: Bologna
DATA DI USCITA: 2 Novembre 2016

L’INTERVISTA
Come è nato questo tuo ep?
Questo EP non è altro che la conseguenza di aver scelto di far nascere il mio progetto solista Krank. A proposito di questo avvenimento ho nutrito dei sentimenti quantomeno contrastanti per diverso tempo, da un lato è un pensiero che avevo in testa già da tanto, dall’altro non avevo mai provato la prorompente ed effettiva necessità di dare vita ad una creatura che fosse solo ed esclusivamente mia. Forse per la mancanza di tempo, forse perché trovavo già massima realizzazione nei Drunken Butterfly, il mio gruppo di sempre in cui suono da tanti anni. Fatto sta che ad un certo punto mi sono deciso e ci è voluto davvero poco per far uscire qualcosa con la sigla Krank, questo perché avevo moltissime idee già abbozzate chiuse nel cassetto da parecchio. Vecchi appunti dimenticati, cose che magari non sentivo del tutto adatte ai Drunken ma anche idee che sentivo totalmente mie e che sapevo non sarei riuscito a portare avanti con il gruppo. Curiosare in quel cassetto è stato un po’ come aprire il vaso di Pandora.
Perché come titolo il nome della band? … cosa vuol dire?
Krank è un termine tedesco che significa malato inteso non soltanto come aggettivo riferito ad una specifica persona ma anche nell’accezione più complessa di “sistema malato”. È un nome che mi ha colpito moltissimo e immediatamente. È un nome corto e potente, può essere reso benissimo a livello grafico ed ha un significato che può essere associato sia a me, relativamente alla mia natura in perenne stato di inquietudine, che al sistema che stiamo vivendo ovvero la moderna società capitalistica occidentale. Visto che si trattava di pubblicare le mie prime poche canzoni, di un nuovo progetto solista, e che queste avrebbero un po’ rappresentato una sorta di biglietto da visita, ho optato per non dare un titolo e lasciare l’EP semplicemente omonimo.
Perché un ep, e non un disco con più canzoni?
Avevo un sacco di materiale a disposizione, praticamente una quindicina di pezzi belli e pronti, per cui avrei potuto tranquillamente optare per un disco intero ma ho preferito l’EP per una serie di motivi. Intanto si tratta di un progetto nuovo per cui volevo sondare un po’ il terreno, perché sai un conto sono i tuoi buoni propositi, la convinzione che stai facendo qualcosa di buono e interessante, il voler soddisfare una propria urgenza espressiva, un conto è come viene recepito il tuo progetto. In secondo luogo l’ultimo disco dei Drunken Butterfly è ancora relativamente fresco, è uscito circa un anno fa. Infine ho anche riflettuto sul fatto che oggi come oggi le modalità di fruizione della musica sono molto cambiate, il disco ha perso il suo valore sia economico che culturale. Viviamo un mondo che ha tempi velocissimi, distratto, approssimativo, tutto viene consumato in fretta e gettato via per far posto alla cosa successiva. Non che la cosa mi faccia piacere ma purtroppo questo è un aspetto che non riguarda soltanto la musica ma la vita in generale, quindi bisogna farci i conti se si vuole rimanere sul mercato. Oggi vanno molto le playlist su Spotify, i singoli ascolti su YouTube, difficilmente uno trova il tempo per mettersi li ad ascoltare un disco di dieci dodici canzoni dall’inizio alla fine. Pertanto ho scelto di fare una cosa che da un lato abbia sì i giusti contenuti e un buon livello culturale ma che al tempo stesso non appesantisca troppo l’ascoltatore, possiamo dire che ho ricercato la massima qualità in una quantità più contenuta.
Come è stata la genesi del disco, dall’idea iniziale alla sua realizzazione finale?
Della genesi del disco ti ho già parlato, della serie: ho aperto un cassetto pieno di roba, ho fatto una prima scrematura prendendo quello che mi convinceva di più, ci ho lavorato in solitudine dentro casa, prevalentemente di notte con le cuffie. Poi un’ulteriore cernita mi ha convinto a lavorare con la voce ad una quindicina di tracce. Ad un certo punto mi era anche venuto in mente di coinvolgere un produttore, ho avuto diversi contatti con Giulio Ragno Favero del Teatro degli Orrori e con Cristiano Santini dei Disciplinatha, con entrambi c’è un’amicizia pregressa nata a seguito di collaborazioni e lavori fatti insieme. Ci ho pensato molto, ma lo stesso Giulio mi ha fatto riflettere sul fatto che la produzione dei brani era già molto avanzata, praticamente compiuta, e che non c’era molto margine di intervento. Allora ho pensato che era un segno del destino, che questa cosa era nata era mia e forse doveva rimanere così fino alla fine, senza il coinvolgimento di nessun esterno. Così ho sistemato le ultime cose, gli ultimi ritocchi, il master finale e ho mandato il disco in stampa.
Se questo ep fosse un concept-album su cosa sarebbe? … tolgo il fosse?
Non si tratta di un concept, perlomeno non è stato pensato in questo modo in maniera consapevole, però indubbiamente nella mia musica, nei Drunken come in Krank, ci sono degli elementi ricorrenti per quanto concerne i testi. L’analisi del tessuto sociale, le possibilità che si hanno di scegliere una determinata vita piuttosto che un’altra, ciò che ci è permesso fare oppure no, le ripercussioni che derivano dal vivere in un determinato contesto e gli stati d’animo che viviamo quotidianamente. Quello che mi interessa esprimere con i testi è uno studio dei turbamenti dell’animo umano di fronte all’esistenza e in relazione alla moderna società capitalistica occidentale, che è un po’ quello che ha fatto Albert Camus con i suoi romanzi, anche se ovviamente lui è inarrivabile. D’altro canto ho sempre concepito l’arte in generale come qualcosa che deve farci specchiare nei tempi che si stanno vivendo, deve essere un invito a riflettere, se vogliamo anche una provocazione che in qualche modo possa innescare un ragionamento, perché no, controcorrente. Altrimenti tutto diventa piatto, prevedibile e dunque controllabile. A mio avviso l’arte intesa in questo senso può svolgere un ruolo fondamentale, nella musica in particolare penso ad autori come De Andrè e Battiato.
C’è qualche pezzo che preferisci? Qualche pezzo del quale vai più fiero di questo ep?… che ti piace di più fare live?
Sono tutte mie creature, c’è davvero un rapporto molto intimo che mi lega ad ognuna di esse. Tieni conto che provenendo da un passato in cui ho sempre suonato all’interno di un gruppo, mettermi alla prova e far uscire qualcosa su cui ho avuto il totale controllo, che ho realizzato in maniera autonoma al cento per cento, ha avuto su di me un impatto psicologico notevole. In un gruppo, anche in quello meno democratico dove prevale la forte presenza di un leader, il compromesso è da mettere in conto ed è quasi certo che si arrivi a pubblicare qualche cosa che, magari ti convince ugualmente, ma non è esattamente come lo volevi tu. In questo caso tutte le parole, i suoni, gli strumenti utilizzati e le strutture delle canzoni sono stati pensati e decisi da me, se non sei più che certo di quello che stai facendo non ce la fai ad arrivare alla fine, molli prima. Questo progetto potrà piacere o meno ma una cosa è sicura: la mia onestà intellettuale nei confronti della musica è totale, nei brani che scrivo cerco di mettere tutto me stesso, tutta la cultura che ho, tutte le conoscenze musicali che posseggo, tutta la mia sensibilità di essere umano.
Qualche episodio che è rimasto nella memoria durante la lavorazione del disco?
Come detto si tratta di una totale autoproduzione, ho concepito e lavorato il disco interamente a casa mia a Bologna. Tutti i ricordi perciò sono piuttosto intimi, familiari. Mia moglie era incinta, spesso si addormentava presto con dei veri e propri crolli improvvisi e io ne approfittavo per mettermi al computer a lavorare sulle canzoni, spesso andando avanti tutta la notte. È successo che in una di queste notti ho tirato dritto fino alle prime luci dell’alba, gli occhi impallati, le orecchie fritte dalle cuffie, sfinito dalla stanchezza; faccio giusto in tempo ad appoggiarmi sul letto e addormentarmi che mia moglie mi sveglia dicendo semplicemente “è ora”. Siamo andati in ospedale, io un po’ allucinato e sconvolto tra emozione e mancanza di sonno, e nel pomeriggio è nata la nostra piccola peste Lilia. E chi se le scorda più quelle ventiquattro ore.
In copertina una figura geometrica, bianco e grigio, molto hard-rock. O no? Come è nata e chi è l’autore?
Non saprei, l’hard rock mi fa pensare agli anni settanta, ai Led Zeppelin, in questo senso devo dire che non trovo molto riscontro tra la mia immagine e quel periodo storico. Anzi, al contrario, penso sia un’immagine molto attuale, contemporanea, forse addirittura futuristica; mi fa pensare ad una società controllata abitata da semi automi, a qualcosa di sintetico. Anche a qualcosa di freddo e distaccato se vogliamo, forse per la mancanza del colore. L’autrice della cover è mia moglie Federica, come del resto di tutta la grafica e dell’immagine in generale, lo faceva già con i Drunken ed ha proseguito naturalmente anche con questo mio nuovo progetto solista. Lei ha lavorato diversi anni per IRMA Records a Bologna e si è sempre occupata di gestire tutti i nostri spazi su internet, del merchandising, delle foto e dei video. Ancora oggi realizza l’artwork di molti artisti. Devo confessare che difficilmente pubblico qualcosa se non percepisco la sua totale convinzione, lei è sempre il punto di vista in più che arricchisce e completa le mie intuizioni e riflessioni.
Come presenti dal vivo la tua musica?
In questi mesi ho lavorato molto in sala prove, volevo capire se era possibile gestire da solo anche l’aspetto live, mettere in piedi uno spettacolo che risultasse comunque un bel concerto anche se con un’unica presenza sul palco. Mi preoccupava un po’ l’idea che il tutto potesse risultare una sorta di karaoke. Poi a forza di provare ho preso fiducia, mi sono reso conto che pure utilizzando delle basi al computer c’era comunque il modo di interagire parecchio suonando chitarre e sinth, oltre che cantare ovviamente. Sono molto soddisfatto del risultato e credo che la cosa funzioni poi oh, si tratta del mio modestissimo parere, Krank deve ancora fare il suo debutto live per cui staremo a vedere come risponderà il pubblico! Di sicuro c’è il fatto che occorre una massima concentrazione per affrontare un live da soli, non puoi contare su nessun altro, sei consapevole che i tuoi eventuali errori non saranno coperti dal suono degli strumenti dei tuoi compagni e questo ti mette addosso una responsabilità molto più pesante.
Altro da dichiarare?
È sempre un piacere ritrovarsi in palude, ormai sento di potermi considerare un ospite di vecchia data per il quale c’è sempre un posto per fare quattro chiacchiere sincere. Spero che questa intervista sia di buon auspicio e che potremo incontrarci di nuovo per l’uscita del primo vero e proprio disco di Krank!


6 commenti:

  1. Ed ora, dopo l'infinita campagna elettorale, un po' di musica ... dura, radicale, senza comporomessi, come piace a me.

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  2. Del resto, l'esordio solista di Lorenzo Castiglioni dei Drunken Butterfly non poteva che essere così ... se conoscete i dischi della sua band, spesso ospite in palude, non vi potrete sorprendere.

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  3. Un EP di 5 densi pezzi, che sembra quasi un LP, vista la forza e consistenza delle cose dette.

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  4. Dal durissimo pezzo che apre il disco Bunker, sarcasmo a piene mani con un organo che resta e un testo giosamente estremista, al pezzo che lo chiude, La Peste che spacca dentro e colpisce duro, si respira la malattia, il disgusto, la perdita della speranza di questi ultimi anni.

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  5. Si sta proprio male ... come ascoltando Carne fresca sensuale canzone d'amore malato senza rime baciate, o L'esecuzione, duro oggettino elettrico/elettrizzante tra Brecht e De André, o L'onda, dalle pulsioni elettroniche pesanti e un cantato diretto sull'agonia di un mondo in guerra.

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  6. Grande Krank, un disco duro, tutto da ascoltare ... in attesa di uno ancora più lungo.

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