Come oggi, 14 anni fa, ci lasciava Charles Bukowski. Mi piace ricordarlo e salutarlo riproponendo una mia parodia di un suo racconto, già apparsa sul sito di Smemoranda in occasione del decimo anniversario della sua morte.
Una cover, come le chiama l’amico e maestro Moroz, che sul sito della rivista Fernandel ne propone spesso di sue, tutte un sacco divertenti.
VAI AL SITO DI FERNANDEL RIVISTA http://www.fernandel2.it/rivista
LEGGI LA MIA COVER
ieri sera, tra le altre cose che non mi divertivano, c’era quel continuo parlare di angeli. l’amica del mio amico sosteneva di credere negli angeli. diceva che sono tutti belli, alti, biondi e che aiutano le persone in difficoltà. lo fanno anche se noi non ce ne rendiamo conto, blaterava.
poi ha raccontato una storia assurda riguardo il salvataggio di una sua cuginetta al mare da parte di un angelo. che cosa insopportabile!
sparava tutte quelle fesserie solamente per rimarcare che lei ha la villa lungo la spiaggia: a Portofino mi pare, o in un altro di quei posti fichetti. e così ha sbrodolato per più di mezzora sull’esistenza degli angeli.
tutto sommato, esibizionismo cafone a parte, penso che una piccola porzione di quello che lei ha detto sia giusta: è vero, gli angeli vengono in aiuto delle persone in difficoltà. a volte.
a volte invece no. sembrano farlo, ma poi…
io posso dirlo perché ne ho conosciuto uno. a quel tempo occupavo la poltrona di una grossa squadra di calcio di serie a, come direttore sportivo. una nobile decaduta, dicevano i giornali. e non avevano tutti i torti: a quasi metà del campionato ci trovavamo a 25 punti dalla prima in classifica e le teste di tre allenatori erano già saltate.
perdevamo sempre. i gol entravano nella nostra porta ogni maledetta domenica e i nostri giocatori non ne facevano quasi mai. beccarci pernacchie a fine partita era il minimo.
nelle trasmissioni sportive ci accoglievano con dei sorrisi ampi e sfottenti. non ci chiamavano più con il nome della nostra squadra, ma dicevano semplicemente: - ECCO A VOI LA FORMAZIONE CHE PERDE SEMPRE. ECCO A VOI I BROCCHI DEL CAMPIONATO -.
dopo il licenziamento del nostro terzo allenatore, io mi trovavo nell’ufficio societario con il presidente. mi sentivo a disagio e avrei preferito starmene in qualche altro posto.
mi sarei sentito meno in imbarazzo tra le braccia di una signora con le chiappe al vento, mentre il marito rientrava in casa, o al cimitero, di fronte agli occhi tristi e privi di perdono dei genitori ai quali avevo schiacciato con la macchina il loro unico figlioletto. esagero, giusto perché possiate capirmi.
il presidente non inveiva, non gridava, non parlava, non fiatava, semplicemente mi fissava, ed io sentivo la pesantezza di tutto quel silenzio penetrare nelle mie viscere.
non mi restava che dimettermi e suicidarmi.
in quel momento, drammatico e interminabile, bussarono alla porta dell’ufficio societario: TOC, TOC.
entrò un giovane alto e robusto, con una barba appena accennata e due grandi ali. lo fissammo ammutoliti, pensando all’ennesima presa per i coglioni.
“salve,” disse il giovane. “sono venuto per giocare nella vostra formazione.”
“di pagliacci ne abbiamo fin troppi,” rispose impassibile il presidente. “fa il santo piacere di levarti dalle palle.”
“ma io non sono un pagliaccio. sono un angelo tifoso della vostra squadra. con me in campo vincerete tutte le partite.”
io e il presidente ci guardammo negli occhi, poi scoppiammo in una grassa risata liberatoria. lunghissima.
qualche istante dopo il presidente telefonò al capo della tifoseria, un picchiatore soprannominato simpaticamente l’animale. uno dei pochi rimasti fedeli.
l’animale si precipitò nell’ufficio societario munito della sua inseparabile spranga di ferro.
“quest’imbecille con le ali è venuto a prenderci per le palle. credo si meriti una lezione. pestalo a dovere,” ordinò il presidente.
l’animale cercò di manganellare il tipo con le ali, ma quest’ultimo volò fuori della finestra come un uccello. rientrò dalla porta.
“visto che non vi prendevo per le palle? io riesco a volare e con me in squadra le domeniche senza gol saranno solo un ricordo.”
“come ti chiami, figliolo?” s’affrettò a chiedergli il presidente.
“Angelo. Angelo Salvatore.”
“tu sia benedetto, Angelo Salvatore. vuoi mettere una firmetta qui, per favore?”
l’animale se ne stava in ginocchio sbalordito e implorava perdono, mentre il nostro angelo salvatore firmava un contratto con parecchi zeri.
la domenica seguente l’angelo era in campo. ovviamente con il numero 10, il numero dei fantasisti del pallone.
nessuno riusciva a rubargli la palla che con tanta classe appoggiava spesso nella rete avversaria. volava in gol con estrema facilità, dovevate vederlo.
certo, le ali davano al nostro salvatore un indubbio vantaggio su tutti gli altri giocatori, ma nessun regolamento vietava esplicitamente di farne uso.
ricordo ancora con piacere le facce sbalordite del pubblico e dei giornalisti alla sua prima partita. tutti pensavano ad una trovata pubblicitaria per risollevare l’interesse verso la nostra squadra, e non si accorgevano che si trattava invece di una cosa seria: la riconquista delle vette della classifica da parte dei brocchi del campionato.
il giorno dopo il primo esaltante incontro, mi venne voglia di scommettere sulla vittoria dello scudetto per la nostra squadra.
“e così vuoi gettare al vento i tuoi soldi,” scherzò l’amico del totonero al quale mi ero rivolto.
“sempre meglio che investire in borsa. a quanto me li dai?”
“i tuoi brocchi con l’angelo?”
“i miei brocchi con l’angelo.”
“dici sul serio?”
“dico sul serio.”
“a 250 contro uno,” sputò il tipo, ancora scettico sulle nostre possibilità.
“allora punto mille.”
“contento tu. mai visto buttare via i soldi così stupidamente.”
“ride bene chi ride ultimo.”
“questo è vero, ma è più facile che nevichi ai tropici…”
“ci sentiamo a fine campionato.”
e così, nonostante le proteste di tutte le altre società, la nostra formazione macinava vittorie su vittorie, ripetendo al contrario la prima parte della stagione.
tutti parlavano bene di noi, la squadra rivelazione della seconda parte del campionato. la televisione e la carta stampata volevano sapere tutto sull’angelo protagonista della nostra incredibile rimonta. gli sponsor se lo contendevano, i giornali scandalistici facevano a gara per fotografarlo sotto la doccia, i tifosi si picchiavano selvaggiamente per un autografo o una palpatina alle ali. io intanto aspettavo la fine della stagione per incassare la scommessa e andarmene ai tropici.
all’ultima partita del campionato, ci trovavamo primi in classifica a pari punti con i vincitori dello scorso anno e dovevamo affrontare proprio loro. uno scontro diretto ultraspettacolare.
FINALE DI STAGIONE AL CARDIOPALMA, gridavano tutti i giornali in prima pagina, esibendo la loro eterna mancanza di fantasia.
lo stadio era esaurito in ogni ordine di posti, la partita veniva seguita in diretta tv in ogni parte del globo e il presidente si leccava i baffi. mi divertivo un sacco in sua compagnia. andava bene, troppo bene per essere vero.
mentre aspettavamo l’inizio della partita, gustandoci dell’ottimo vino nell’ufficio societario, udimmo delle urla provenire dallo spogliatoi privato del nostro angelico campione. lo raggiungemmo di corsa e lo trovammo a terra senza più le ali.
“mi hanno fregato,” piagnucolava disperato. “mi hanno costretto ad aprire la porta e zac…”
“chi è stato?,” s’informò subito il presidente.
“una donna. una gran figa, con due tette e un culo che dovreste vedere. una donna incredibile, strepitosa…”
“si è fatto infinocchiare come un grosso idiota,” dissi sottovoce.
“con tutte le veline che gli potevo procurare,” rincarò il presidente.
“altro che veline,” si difese l’angelo. “mai visto una donna così. manco in paradiso. indossava un vestito rosso e non portava le mutandine. l’ho fatta entrare, ci siamo spogliati in un nanosecondo e ho cercato di farmela, ma appena sono montato sopra alla gnocca hanno fatto irruzione due brutti ceffi. uno fumava un lungo sigaro e sembrava essere il boss. ha ordinato all’altro di segarmi le ali. questo ha eseguito all’istante, approfittando vigliaccamente della mia scomoda posizione. non potevo volare via e così mi hanno fregato…”
“SIAMO FOTTUTI, SIAMO FOTTUTI,” gridò il presidente.
“lo so, sono stato un coglione, ma dovevate vederla. non potevo resisterle: le ali non impongono la castità.”
me ne andai a vedere la partita, lasciando i miei due amici nella più completa disperazione. piangevano e si consolavano l’un l’altro, farcendo la conversazione con francesismi che non oso ripetere.
prima di scendere nella tribuna vip, ripassai un momento nell’ufficio societario. rubai la pistola del presidente, perché non potevo permettere di dire addio ai miei soldi senza prendermi qualche soddisfazione.
individuai la donna strepitosa che aveva fregato l’angelo. indossava un vestito rosso molto corto e pareva essere priva di mutandine. solo un eunuco avrebbe potuto resisterle. povero angelo.
accanto a lei troneggiavano due brutti ceffi. uno era il capo del totonero, un mio ex collega cacciato dal mondo del calcio perché ne aveva fatte troppe. e quando dico troppe, dico troppe!
“non vedo in campo il vostro campione,” mi accolse il gran bastardo.
“già,” masticai amaro. “se non lo dici a nessuno ti rivelo cosa gli è successo.”
“che cosa?” fece finto tonto.
“due gran figli di troia lo hanno incastrato con una puttanella: lui e lei si trovavano nudi come vermi in posizione orizzontale e uno dei bastardi, zac, gli ha tagliato via le due cose che aveva più a cuore.”
“il calcio non è uno sport per signorine e il mondo è un luogo inadatto alla vita degli angeli; anche loro rischiano di corrompersi,” filosofeggiò il gran bastardo.
la mia squadra perdeva per tre a zero, i miei soldi se ne stavano andando in fumo e il responsabile di tutto ciò si permetteva di prendermi per le palle filosofeggiando. non mi restava che estrarre il cannone e vendicarmi.
“E’ VERO, IL CALCIO NON E’ UN GIOCO PER SIGNORINE E IL MONDO NON E’ PER GLI ANGELI,” urlai in faccia al gran bastardo.
poi sparai tre colpi di fuoco sul suo cuore marcio. mi portarono via.
già, il nostro pianeta è un gran brutto posto dove vivere e la galera è ancora peggio. il mio soggiorno in quella lurida cella iniziò in maniera beffardamente imprevedibile. un foglio di giornale svolazzante arrivò per caso nelle mie mani: era la prima pagina di un quotidiano sportivo. gridava a tutta forza la vittoria della mia squadra per 4 reti a 3. PARTITA E CAMPIONATO.
capite anche voi che la mia esperienza con gli angeli è da buttare. ecco perché, quando ho sentito tutte quelle storie sugli angeli mi sono girate le palle e appena sono tornato a casa non ho potuto fare a meno di scrivere questa parodia di un racconto del grande Bukowski. l’originale lo trovate a pagina 17 di Taccuino di un vecchio sporcaccione, accanto ad altri sublimi pezzi di schifa vita.
Una cover, come le chiama l’amico e maestro Moroz, che sul sito della rivista Fernandel ne propone spesso di sue, tutte un sacco divertenti.
VAI AL SITO DI FERNANDEL RIVISTA http://www.fernandel2.it/rivista
LEGGI LA MIA COVER
ieri sera, tra le altre cose che non mi divertivano, c’era quel continuo parlare di angeli. l’amica del mio amico sosteneva di credere negli angeli. diceva che sono tutti belli, alti, biondi e che aiutano le persone in difficoltà. lo fanno anche se noi non ce ne rendiamo conto, blaterava.
poi ha raccontato una storia assurda riguardo il salvataggio di una sua cuginetta al mare da parte di un angelo. che cosa insopportabile!
sparava tutte quelle fesserie solamente per rimarcare che lei ha la villa lungo la spiaggia: a Portofino mi pare, o in un altro di quei posti fichetti. e così ha sbrodolato per più di mezzora sull’esistenza degli angeli.
tutto sommato, esibizionismo cafone a parte, penso che una piccola porzione di quello che lei ha detto sia giusta: è vero, gli angeli vengono in aiuto delle persone in difficoltà. a volte.
a volte invece no. sembrano farlo, ma poi…
io posso dirlo perché ne ho conosciuto uno. a quel tempo occupavo la poltrona di una grossa squadra di calcio di serie a, come direttore sportivo. una nobile decaduta, dicevano i giornali. e non avevano tutti i torti: a quasi metà del campionato ci trovavamo a 25 punti dalla prima in classifica e le teste di tre allenatori erano già saltate.
perdevamo sempre. i gol entravano nella nostra porta ogni maledetta domenica e i nostri giocatori non ne facevano quasi mai. beccarci pernacchie a fine partita era il minimo.
nelle trasmissioni sportive ci accoglievano con dei sorrisi ampi e sfottenti. non ci chiamavano più con il nome della nostra squadra, ma dicevano semplicemente: - ECCO A VOI LA FORMAZIONE CHE PERDE SEMPRE. ECCO A VOI I BROCCHI DEL CAMPIONATO -.
dopo il licenziamento del nostro terzo allenatore, io mi trovavo nell’ufficio societario con il presidente. mi sentivo a disagio e avrei preferito starmene in qualche altro posto.
mi sarei sentito meno in imbarazzo tra le braccia di una signora con le chiappe al vento, mentre il marito rientrava in casa, o al cimitero, di fronte agli occhi tristi e privi di perdono dei genitori ai quali avevo schiacciato con la macchina il loro unico figlioletto. esagero, giusto perché possiate capirmi.
il presidente non inveiva, non gridava, non parlava, non fiatava, semplicemente mi fissava, ed io sentivo la pesantezza di tutto quel silenzio penetrare nelle mie viscere.
non mi restava che dimettermi e suicidarmi.
in quel momento, drammatico e interminabile, bussarono alla porta dell’ufficio societario: TOC, TOC.
entrò un giovane alto e robusto, con una barba appena accennata e due grandi ali. lo fissammo ammutoliti, pensando all’ennesima presa per i coglioni.
“salve,” disse il giovane. “sono venuto per giocare nella vostra formazione.”
“di pagliacci ne abbiamo fin troppi,” rispose impassibile il presidente. “fa il santo piacere di levarti dalle palle.”
“ma io non sono un pagliaccio. sono un angelo tifoso della vostra squadra. con me in campo vincerete tutte le partite.”
io e il presidente ci guardammo negli occhi, poi scoppiammo in una grassa risata liberatoria. lunghissima.
qualche istante dopo il presidente telefonò al capo della tifoseria, un picchiatore soprannominato simpaticamente l’animale. uno dei pochi rimasti fedeli.
l’animale si precipitò nell’ufficio societario munito della sua inseparabile spranga di ferro.
“quest’imbecille con le ali è venuto a prenderci per le palle. credo si meriti una lezione. pestalo a dovere,” ordinò il presidente.
l’animale cercò di manganellare il tipo con le ali, ma quest’ultimo volò fuori della finestra come un uccello. rientrò dalla porta.
“visto che non vi prendevo per le palle? io riesco a volare e con me in squadra le domeniche senza gol saranno solo un ricordo.”
“come ti chiami, figliolo?” s’affrettò a chiedergli il presidente.
“Angelo. Angelo Salvatore.”
“tu sia benedetto, Angelo Salvatore. vuoi mettere una firmetta qui, per favore?”
l’animale se ne stava in ginocchio sbalordito e implorava perdono, mentre il nostro angelo salvatore firmava un contratto con parecchi zeri.
la domenica seguente l’angelo era in campo. ovviamente con il numero 10, il numero dei fantasisti del pallone.
nessuno riusciva a rubargli la palla che con tanta classe appoggiava spesso nella rete avversaria. volava in gol con estrema facilità, dovevate vederlo.
certo, le ali davano al nostro salvatore un indubbio vantaggio su tutti gli altri giocatori, ma nessun regolamento vietava esplicitamente di farne uso.
ricordo ancora con piacere le facce sbalordite del pubblico e dei giornalisti alla sua prima partita. tutti pensavano ad una trovata pubblicitaria per risollevare l’interesse verso la nostra squadra, e non si accorgevano che si trattava invece di una cosa seria: la riconquista delle vette della classifica da parte dei brocchi del campionato.
il giorno dopo il primo esaltante incontro, mi venne voglia di scommettere sulla vittoria dello scudetto per la nostra squadra.
“e così vuoi gettare al vento i tuoi soldi,” scherzò l’amico del totonero al quale mi ero rivolto.
“sempre meglio che investire in borsa. a quanto me li dai?”
“i tuoi brocchi con l’angelo?”
“i miei brocchi con l’angelo.”
“dici sul serio?”
“dico sul serio.”
“a 250 contro uno,” sputò il tipo, ancora scettico sulle nostre possibilità.
“allora punto mille.”
“contento tu. mai visto buttare via i soldi così stupidamente.”
“ride bene chi ride ultimo.”
“questo è vero, ma è più facile che nevichi ai tropici…”
“ci sentiamo a fine campionato.”
e così, nonostante le proteste di tutte le altre società, la nostra formazione macinava vittorie su vittorie, ripetendo al contrario la prima parte della stagione.
tutti parlavano bene di noi, la squadra rivelazione della seconda parte del campionato. la televisione e la carta stampata volevano sapere tutto sull’angelo protagonista della nostra incredibile rimonta. gli sponsor se lo contendevano, i giornali scandalistici facevano a gara per fotografarlo sotto la doccia, i tifosi si picchiavano selvaggiamente per un autografo o una palpatina alle ali. io intanto aspettavo la fine della stagione per incassare la scommessa e andarmene ai tropici.
all’ultima partita del campionato, ci trovavamo primi in classifica a pari punti con i vincitori dello scorso anno e dovevamo affrontare proprio loro. uno scontro diretto ultraspettacolare.
FINALE DI STAGIONE AL CARDIOPALMA, gridavano tutti i giornali in prima pagina, esibendo la loro eterna mancanza di fantasia.
lo stadio era esaurito in ogni ordine di posti, la partita veniva seguita in diretta tv in ogni parte del globo e il presidente si leccava i baffi. mi divertivo un sacco in sua compagnia. andava bene, troppo bene per essere vero.
mentre aspettavamo l’inizio della partita, gustandoci dell’ottimo vino nell’ufficio societario, udimmo delle urla provenire dallo spogliatoi privato del nostro angelico campione. lo raggiungemmo di corsa e lo trovammo a terra senza più le ali.
“mi hanno fregato,” piagnucolava disperato. “mi hanno costretto ad aprire la porta e zac…”
“chi è stato?,” s’informò subito il presidente.
“una donna. una gran figa, con due tette e un culo che dovreste vedere. una donna incredibile, strepitosa…”
“si è fatto infinocchiare come un grosso idiota,” dissi sottovoce.
“con tutte le veline che gli potevo procurare,” rincarò il presidente.
“altro che veline,” si difese l’angelo. “mai visto una donna così. manco in paradiso. indossava un vestito rosso e non portava le mutandine. l’ho fatta entrare, ci siamo spogliati in un nanosecondo e ho cercato di farmela, ma appena sono montato sopra alla gnocca hanno fatto irruzione due brutti ceffi. uno fumava un lungo sigaro e sembrava essere il boss. ha ordinato all’altro di segarmi le ali. questo ha eseguito all’istante, approfittando vigliaccamente della mia scomoda posizione. non potevo volare via e così mi hanno fregato…”
“SIAMO FOTTUTI, SIAMO FOTTUTI,” gridò il presidente.
“lo so, sono stato un coglione, ma dovevate vederla. non potevo resisterle: le ali non impongono la castità.”
me ne andai a vedere la partita, lasciando i miei due amici nella più completa disperazione. piangevano e si consolavano l’un l’altro, farcendo la conversazione con francesismi che non oso ripetere.
prima di scendere nella tribuna vip, ripassai un momento nell’ufficio societario. rubai la pistola del presidente, perché non potevo permettere di dire addio ai miei soldi senza prendermi qualche soddisfazione.
individuai la donna strepitosa che aveva fregato l’angelo. indossava un vestito rosso molto corto e pareva essere priva di mutandine. solo un eunuco avrebbe potuto resisterle. povero angelo.
accanto a lei troneggiavano due brutti ceffi. uno era il capo del totonero, un mio ex collega cacciato dal mondo del calcio perché ne aveva fatte troppe. e quando dico troppe, dico troppe!
“non vedo in campo il vostro campione,” mi accolse il gran bastardo.
“già,” masticai amaro. “se non lo dici a nessuno ti rivelo cosa gli è successo.”
“che cosa?” fece finto tonto.
“due gran figli di troia lo hanno incastrato con una puttanella: lui e lei si trovavano nudi come vermi in posizione orizzontale e uno dei bastardi, zac, gli ha tagliato via le due cose che aveva più a cuore.”
“il calcio non è uno sport per signorine e il mondo è un luogo inadatto alla vita degli angeli; anche loro rischiano di corrompersi,” filosofeggiò il gran bastardo.
la mia squadra perdeva per tre a zero, i miei soldi se ne stavano andando in fumo e il responsabile di tutto ciò si permetteva di prendermi per le palle filosofeggiando. non mi restava che estrarre il cannone e vendicarmi.
“E’ VERO, IL CALCIO NON E’ UN GIOCO PER SIGNORINE E IL MONDO NON E’ PER GLI ANGELI,” urlai in faccia al gran bastardo.
poi sparai tre colpi di fuoco sul suo cuore marcio. mi portarono via.
già, il nostro pianeta è un gran brutto posto dove vivere e la galera è ancora peggio. il mio soggiorno in quella lurida cella iniziò in maniera beffardamente imprevedibile. un foglio di giornale svolazzante arrivò per caso nelle mie mani: era la prima pagina di un quotidiano sportivo. gridava a tutta forza la vittoria della mia squadra per 4 reti a 3. PARTITA E CAMPIONATO.
capite anche voi che la mia esperienza con gli angeli è da buttare. ecco perché, quando ho sentito tutte quelle storie sugli angeli mi sono girate le palle e appena sono tornato a casa non ho potuto fare a meno di scrivere questa parodia di un racconto del grande Bukowski. l’originale lo trovate a pagina 17 di Taccuino di un vecchio sporcaccione, accanto ad altri sublimi pezzi di schifa vita.
ehehehehe.. Grande! Bella davvero, la parodia.
RispondiEliminaDetto da te Rob, scrittore e tifoso interista, è un grande complimento. Forse oggi molto meno, ma qualche anno fa, quando scrissi la cover, si poteva pensare alla tua squadra (perchè grande e decaduta, non per la dirigenza, naturalmente). In realtà non avevo in mente nessun modello di squadra, tantomeno il Verona, come qualcuno mi ha scritto fuorionda. Non sono un gran tifoso di calcio, preferisco la lotta nel fango e se proprio devo dire la mia squadra del cuore, è quella degli aseni che volan, diretti concorrenti per la risalita in A del Bologna del Moroz (quello sì che è un tifoso).
RispondiElimina...azzo, che racconto!
RispondiEliminaMarc
CLAP CLAP CLAP per Ally!
RispondiEliminaMa un autografo con la tosatrice... sul vello... me lo fai?! :)
Press Sheep
...e poila maliziosa sarei io?! Grande vecchio Alligatore, anzi, vecchio sporcaccione...
RispondiEliminaG
Grazie Marc, grazie Press Sheep, sempre troppo buona, ma niente autografo con la tosatrice (sono allergico a tutti i tipi di rasoio), grazie G (ma io non ho mai detto che sei maliziosa, sei stata tu a definirti tale ...)
RispondiElimina...a chi lo dici dell'allergia alle tosatrici... ma se l'alternativa è un autografo con marcatura a fuoco... :)
RispondiEliminaPress Sheep
Auguri Ally! Cento di questi racconti!!!
RispondiEliminaSimona
Buon compleanno Vecchio sporcaccione.
RispondiEliminaMarco
Una storia fichissima. Dei dialoghi oliatissimi. Una morale centratissima. Da far leggere a tutti quelli che parlano retoricamente dei valori sportivi, soprattutto nel calcio. Grazie Alligatore! ...e buon compleanno.
RispondiEliminaMichele
Un calcio nelle palle al calcio ...bravo Bukalligatore.
RispondiEliminaSonia
Che dirvi? Grazie per i bukcomplimenti, per gli auguri (spero non siate stati così buoni perchè è il mio compleanno), per il sadomasochismo di certe proposte, per il calcio nelle palle al calcio, per il pane e le rose ... e anche il vino, ovvio.
RispondiEliminaVeramente bella la cover Alligatore.
RispondiEliminaCiao, silvano.
Grazie Silvano, è un bel complimento da un interista bukowskiano come te ...
RispondiEliminaPotenzialmente potresti essere un mio ottimo compagno di sbronze a sud di nessun nord, ma l'importante è grattarsi sotto le ascelle.
RispondiElimina@Dimitri
RispondiEliminaVisto quello che dici, potremmo anche fare delle Urla dal balcone oppure scrivre insieme un romanzo Pulp, e venderlo poi a Hollywood, Hollywood...